(Di Maria Luna Moltedo) ARCHEOLOGIA. Nelle ultime settimane sono stati scoperti quattro relitti di epoca greco-romana nell’arcipelago tra Capo milazzese e l’isola di Basiluzzo, nelle acque di Panarea. Decisiva la collaborazione con la Fondazione statunitense Aurora Trust. Un’ulteriore dimostrazione che dal ridisegno del rapporto pubblico-privato passa la nuova frontiera della tutela e della valorizzazione dei beni culturali.
Splendide testimonianze del passato emergono dai fondali delle isole Eolie. Sin da età preistorica, grazie alla loro posizione geografica, le Eolie hanno avuto un importante ruolo nelle rotte commerciali che interessavano ad ampio raggio il Mediterraneo da Oriente a Occidente passando attraverso lo stretto di Messina. Punti insidiosi per la navigazione erano la secca di Capistello e la secca del Bagno di Lipari, oltre alla secca di Capo Graziano di Filicudi.
Per le navi cariche di ceramiche e anfore piene di vino, olio, grano e garum (la salsa di pesce particolarmente gradita ai Romani), le Eolie costituivano stazioni di sosta nel Tirreno meridionale.
Il materiale archeologico finora recuperato, frutto di scavi effettuati a partire dagli anni Sessanta o di recuperi occasionali, proviene da circa venti relitti. Lo si può ammirare visitando la sala di Archeologia Marina del Museo Archeologico “Luigi Bernabò Brea” a Lipari. A Filicudi e Panarea sono state trovate parecchie anfore di età greca, mentre una macina in pietra vulcanica proviene dalla secca del Bagno di Lipari. Il relitto di Filicudi, denominato relitto F, e quello della secca di Capistello di Lipari, risalgono al III sec. a.C. Le navi trasportavano vino in anfore fabbricate nell’Italia centro-meridionale (note come anfore greco-italiche) e ceramiche varie, acrome e a vernice nera. Parecchie anfore provengono da relitti di età romana individuati a Filicudi, Panarea e Vulcano. Singolare il carico di una nave tardo romana, naufragata a Lipari, presso Punta Crapazza (di fronte all’isola di Vulcano): lingotti di stagno, nocciole e zolle di solfuro di arsenico usato nell’antichità come colorante.
Le isole prendono nome dal dio Eolo, re dei venti. Secondo la mitologia greca, Eolo riparò su queste isole e diede loro nome, grazie alla sua fama di domatore dei venti. Viveva a Lipari e riusciva a prevedere le condizioni del tempo osservando la forma delle nubi sbuffate da un vulcano attivo, probabilmente lo Stromboli. Grazie a questa abilità, determinante per gli isolani che erano in gran parte pescatori e necessitavano di conoscere gli eventi meteorologici che sarebbero avvenuti, Eolo si guadagnò grande popolarità nell’arcipelago.
Nelle ultime settimane sono stati scoperti quattro relitti di epoca greco-romana proprio in quest’arcipelago: tra Capo milazzese e l’isola di Basiluzzo, nelle acque di Panarea. La missione di ricerca è stata organizzata dalla soprintendenza del Mare della Regione siciliana, guidata da Sebastiano Tusa, assieme alla Fondazione statunitense Aurora Trust diretta da Ian Koblick e Craig Mullen. Il programma di quest’anno prevede il completamento della ricognizione dei fondali intorno all’isola di Panarea e l’inizio delle ricerche nelle acque di Salina. Intorno all’isola di Salina saranno scandagliate le acque tra Lingua, Santa Marina, Capo Faro e Pollara.
La ricerca viene effettuata mediante un sonar a scansione laterale di ultima generazione, con una gittata di circa 100 metri, su rotte parallele rettilinee di varia lunghezza.
I quattro relitti ritrovati in questa prima fase di ricerca sono giacenti su un fondale compreso tra i 100 e i 150 metri di profondità. La chiarezza delle immagini registrate con il sonar permette di individuare il carico di anfore, che mantiene l’originale assetto di carico parzialmente sconvolto dal naufragio. Dalla disposizione del carico di anfore è possibile con chiarezza leggere la fisionomia dei relitti e le dimensioni originarie delle imbarcazioni, che oscillano tra i 13 e i 15 metri di lunghezza e i 4 di larghezza, elevandosi dal fondo per circa 2 metri al colmo del cumulo delle anfore.
La presenza umana nell’arcipelago risulta sin dalla notte dei tempi. Le genti preistoriche vennero infatti sicuramente attratte dalla presenza di grandi quantità di ossidiana, minerale di origine vulcanica grazie al quale le Eolie furono al centro di fiorenti rotte commerciali sin dai tempi di Roma antica. I primi insediamenti si ebbero già alcuni secoli prima del 4000 a.C., nell’età neolitica. L’ossidiana, che a quei tempi era un materiale ricercatissimo grazie al fatto di essere il più tagliente di cui l’uomo dell’epoca disponeva, generò traffici commerciali così intensi da conferire grande prosperità alle isole. Da Lipari l’ossidiana era esportata in gran quantità verso l’Italia meridionale, la Liguria, la Provenza e la Dalmazia.
Nacque così uno degli insediamenti più popolosi del Mediterraneo, e a partire dal 3000 a.C. la ricchezza di Lipari si estese alle altre sei isole, che cominciarono ad essere popolate. Tra il XVI e il XIV secolo a.C. divennero importanti perché poste sulla rotta commerciale dei metalli, che riguardava in particolare lo stagno che giungeva via mare dai lontani empori della Britannia e transitava per lo stretto di Messina verso oriente. Mentre in Sicilia si affermava la Cultura di Castelluccio, a Capo Graziano, nell’isola di Filicudi ma anche a Lipari si diffondeva la cosiddetta Cultura Eoliana caratterizzata dal commercio più che dall’agricoltura, con le sue capanne circolari con pareti di pietre a secco, quasi a strapiombo sul mare e una propria ceramica.
Nel 260 a.C. le isole furono teatro della battaglia di Lipari tra Roma e Cartagine. In epoca romana divennero centri di commercio dello zolfo, dell’allume e del sale. L’archeologia subacquea continua ad essere tutelata grazie alla prima Soprintendenza del Mare in Italia, istituita nel 2004 sotto la direzione del professor Sebastiano Tusa. I ritrovamenti archeologici a Panarea dimostrano come le campagne di ricerca nel mare di Sicilia, grazie anche all’ausilio della tecnologia, possano permettere significativi risultati. Dalla collaborazione pubblico-privato passa la nuova frontiera della tutela e della valorizzazione dei beni culturali. «That’s the way», direbbero gli anglosassoni.
IL MUSEO DI LIPARIA Lipari, l’isola più grande dell’arcipelago eoliano, vale la pena visitare il Museo Archeologico Eoliano “Luigi Bernabò Brea”, sull’acropoli in via del Castello. Con i suoi reperti, il Museo conserva le testimonianze di oltre 5.000 anni di civiltà dell’isola e dell’arcipelago. È uno dei più importanti del Mediterraneo e presenta in ordine cronologico esposizioni di corredi funerari, vasi, cippi, steli tombali e sarcofagi in pietra che testimoniano l’evoluzione del culto dei defunti. Inoltre sono esposte ceramiche di diverse epoche e fogge varie, maschere teatrali e statue fittili.
Il Museo, costituito da sei padiglioni che accolgono rispettivamente la Sezione Preistorica, la Sezione Epigrafica, la Sezione delle Isole Minori, la Sezione Classica, la Sezione Vulcanologica, la Sezione di Paleontologia del Quaternario, documenta e illustra, attraverso i complessi dei reperti esposti, gli insediamenti umani e lo sviluppo delle civiltà succedutesi nell’Arcipelago Eoliano: dalla Preistoria alle soglie dell’Età Moderna.
Il percorso scientifico è agevolato dal ricco ed esaustivo apparato didattico e da postazioni informatiche di facile accesso per quanti vogliano più ampi spunti di approfondimento sia sui complessi esposti nel Museo sia sulle emergenze archeologiche e/o monumentali del Castello.
È da ricordare che il progetto e la direzione dell’allestimento museografico della Sezione delle Isole Minori si deve all’architetto Franco Ceschi che per molti anni ha lavorato in Sicilia, in collaborazione con la Soprintendenza, valorizzando positivamente l’archeologia.