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giovedì 5 maggio 2022

Il manifesto del 1° maggio e il lavoro. Le riflessioni di Federalberghi

Federalberghi Isole Eolie pur stigmatizzando la forma e il contenuto – ritenuto offensivo, fazioso e inappropriato – del manifesto affisso sui muri delle strade di Lipari la notte che ha preceduto la festività del primo maggio, vista la grave denuncia e il dibattito che ne è scaturito e considerato l’impegno da sempre profuso nell’interesse del settore e della comunità, ritiene utile coglierne in modo costruttivo la provocazione e propone di avviare un confronto serio che possa affrontare la tematica a 360 gradi, coinvolgendo nelle modalità opportune le istituzioni e le parti sociali.

Siamo convinti che solo da una trattazione ampia e proattiva della questione possano scaturire indicazioni utili per migliorare le condizioni tanto dei lavoratori quanto delle imprese e dell’intera comunità locale, nella consapevolezza che sia, ormai da tempo, comunque necessario ripensare il nostro modello di sviluppo, ponendolo sui binari della sostenibilità economica, sociale ed ambientale.

Riflessioni
Il manifesto affisso ai muri di Lipari nella notte che ha preceduto la giornata del primo maggio e il dibattito che ne è scaturito, in prevalenza sui social, impongono alcune riflessioni che non possono essere affrontate né faziosamente né in modo semplicistico o asettico.

Il manifesto, volutamente sgradevole e provocatorio, è risultato sicuramente offensivo per quanti (lavoratori e datori di lavoro) operano in modo lecito e rispettoso dei contratti nazionali di lavoro e solleva alcune questioni inerenti alle legittime tutele dei lavoratori.

Stando a quanto affermato da Repubblica, sembrerebbe che il testo del manifesto sia sostanzialmente identico a quello “lanciato anni fa da “Schiavi in riviera”, collettivo di lavoratori del turismo della riviera romagnola impegnato nella battaglia per strappare condizioni di lavoro migliori in bar, alberghi e lidi. Da allora, il medesimo manifesto è comparso a più riprese e in diverse occasioni in varie città della penisola, da Sud a Nord”.

È bene sottolineare che a poco servono le difese d’ufficio delle categorie datoriali basate su aspetti altrettanto importanti ma che forniscono una risposta solo parziale alla questione: le gravi mancanze o illegittime richieste avanzate in alcuni casi da parte dei lavoratori stessi, l’eccessivo costo del lavoro, gli effetti distorsivi del reddito di cittadinanza, le problematiche economiche che affliggono le imprese o le difficoltà inerenti alla stagionalità e alla volatilità della domanda di lavoro nel nostro arcipelago.

L’applicazione del contratto di lavoro non è una scelta e non è negoziabile. È prevista dalla legge. Punto e basta. Un saggio grado di elasticità e di flessibilità reciproca è nell’ordine delle cose ed attiene ai buoni rapporti tra datore e lavoratore nel reciproco interesse e di quello dell’azienda che permette il sostentamento di entrambi

Altrettanto improduttive risultano le prese di posizione che dipingono i datori di lavoro come dei mostri che non avrebbero riguardo dei propri collaboratori e che utilizzerebbero i maggiori proventi derivanti dal loro sfruttamento per mantenere un tenore di vita al di sopra delle proprie possibilità. Né tantomeno hanno senso altre gravi insinuazioni su presunti accordi tra imprenditori tesi ad operare in modo concertato una riduzione delle retribuzioni per categorie di lavoratori.

Vanno altresì fatte le dovute distinzioni tra chi propone soluzioni ricorrendo a contratti di lavoro che poco garantiscono i lavoratori e i datori di lavoro – non riconosciuti ad esempio dalla nostra associazione di categoria sottoscrittrice assieme ai sindacati e ad alte associazioni a livello nazionale del CCNL turismo – e quanti invece operano in modo palesemente illegale.

Tra le premesse, va inoltre sottolineato come la questione dei contratti irregolari o del lavoro nero o della mancata applicazione delle tutele dei lavoratori interessi spesso “imprese” che tali non sono e che operano nel sommerso, sfuggendo quindi a qualsivoglia controllo. È, infatti, sin troppo semplice ed avviene regolarmente, operare verifiche sulle imprese riconosciute e regolari.

Allo stesso tempo va sottolineato che nel nostro arcipelago – stando alle domande che ci pervengono – la richiesta di addetti del settore, nel periodo della stagione turistica, spesso supera abbondantemente la disponibilità di lavoro. Tanto che molte imprese sono costrette a dover reperire collaboratori esterni all’arcipelago con relativi aggravi di spesa per l’inserimento/training iniziale e per poter garantire loro anche vitto e alloggio. Questo surplus di domanda, metterebbe in effetti i lavoratori, soprattutto se un minimo qualificati e motivati, abbastanza facilmente nella posizione di poter scegliere le aziende più consone alle proprie aspettative e ovviamente rispettose delle condizioni previste dai contratti e quindi di non dover subire le evidenziate vessazioni.

Fatte queste doverose premesse, unitamente ai distinguo tra quanti operano correttamente – lavoratori e datori di lavoro – e quanti invece ricorrono ad espedienti irregolari per massimizzare i propri introiti in nero (lavoratori) e ridurre i propri costi (imprese), la questione va posta in un campo più ampio che abbraccia tematiche di natura sociale ed economica e che travalica i confini del nostro arcipelago.

Tali aspetti sono in parte riferiti a questioni che interessano l’intero territorio nazionale quali ad esempio l’esosità della componente fiscale del costo del lavoro e l’assenza di strumenti adeguati di lavoro agile, sui quali la nostra associazione si impegna costantemente a livello nazionale in un confronto continuo con i sindacati e il governo. A questo si associa l’inadeguatezza del welfare in Italia e in particolare al sud e la mancata rispondenza degli ammortizzatori sociali alle reali esigenze dei lavoratori stagionali.

Altre questioni attengono alle caratteristiche del settore turistico, dove la stragrande maggioranza di figure richieste si concentra in settori prettamente operativi: addetti di sala e bar, receptionist, personale di cucina, camerieri ai piani, bagnini, autisti, lavapiatti, tuttofare ecc. E dove, quindi, ad esclusione dei capi servizio o di alcune figure chiave, con un più alto livello di specializzazione, ci si ritrova con una grossa richiesta per personale chiamato a ricoprire incarichi con una retribuzione medio-bassa, difficile da motivare e che non presuppone titoli di studio che vanno oltre la scuola dell’obbligo o quella secondarie. Da qui anche la difficoltà di riuscire a trattenere sul territorio i giovani laureati o addirittura specializzati.


Focalizzandoci su alcune delle dinamiche specifiche ma non esclusive del nostro arcipelago, occorre evidenziare come questo si basi, principalmente, su una mono-economia turistica a carattere prettamente stagionale. Alla quale consegue un reale fabbisogno di occupazione che supera l’offerta nei periodi estivi e uno pressocché assente per lunghi periodi dell’anno. Tale fenomeno, porta la maggior parte delle aziende a caricarsi di costi extra nei periodi di bassa stagione per potersi poi assicurare gli addetti in quelli medio-alti. Allo stesso tempo, gli addetti del settore si trovano ad essere poco produttivi in bassa stagione e a dover poi subire dei picchi impegnativi di lavoro nei periodi di alta con i relativi carchi di stress che questo comporta. In ogni caso, il numero degli addetti nei vari periodi stagionali risulta spesso essere una media di quanto effettivamente richiesto: con un numero di addetti in più in bassa stagione e con qualche unità in meno in alta. Di questo ne risente la qualità del servizio delle singole imprese come, di conseguenza, quello complessivo dell’intera destinazione turistica.

L’assenza poi di una domanda turistica per circa metà dell’anno, comporta un grave disagio economico e sociale che mette in serie difficoltà tanto le imprese che devono sobbarcarsi alcuni costi fissi per tutto l’anno e quindi anche nei periodi di chiusura, quanto i lavoratori che possono contare sono sul sussidio (insufficiente) della naspi che copre un periodo pari a solo la metà del periodo lavorato con l’eventuale (se spettante) integrazione del reddito di cittadinanza.

Non vanno, inoltre, sottovalutati gli acclarati svantaggi ai quali vanno incontro tanto le imprese quanto i lavoratori e le famiglie dei territori micro-insulari. Tra questi, ovviamente, anche i maggiori costi e le minori alternative per prodotti e servizi disponibili, per i servizi sanitari, per gli spostamenti e così via. Tali svantaggi andrebbero affrontati in modo più pregnante e risolutivo nella legge per le isole minori di cui ancora non si è vista la luce e le cui bozze sin qui approvate non appaiono ancora soddisfacenti. 

A livello locale, va comunque presa in carico la questione “culturale” che spinge in alcuni casi imprese o presunte tali e lavoratori – a fronte di pochi spiccioli di risparmio o di guadagno – ad adottare pratiche che impoveriscono sensibilmente e gradualmente il nostro tessuto sociale, innescando meccanismi perversi.

La questione del sommerso e delle irregolarità va, quindi, affrontata a 360 gradi e in modo strutturale. Solo così si eviteranno forme di concorrenza sleale, si otterrà una redistribuzione più equa e sana dei tributi e dei redditi, migliori condizioni di lavoro e maggiori soddisfazioni per le imprese e i lavoratori. Anche di questa questione ci siamo fatti carico negli anni segnalandola sia agli organi competenti che alla politica locale.

Oltretutto, quella turistica è un’industria cosiddetta “labour intensive” dove le risorse umane sono parte integrante e sostanziale del servizio offerto. Da qui la necessità di lavorare ad un equilibrio reciprocamente soddisfacente di qualità della domanda e dell’offerta di lavoro.

L’interrogativo da porsi, pertanto, non è se sia accettabile o meno proporre condizioni di lavoro in difformità da quanto previsto dal contratto nazionale o se ciò avvenga.

La risposta alla prima domanda non può ovviamente che essere negativa e qualsiasi attenuante rischia di non cogliere nel segno e di innescare una diatriba senza vie di uscita.

La risposta alla seconda domanda (se ciò avvenga) andrebbe soppesata ed articolata in funzione della complessità del tessuto sociale e produttivo per comprenderne meglio le dimensioni e la struttura ma la sensazione è che non si discosti da quanto avviene nel resto di Italia e in articolare nel meridione.

Come altrettanto negativa dovrebbe essere la risposta a quanti pensano di poter lavorare in nero per se stessi o per conto terzi, per imprese inesistenti o che formalmente operano per fornire un servizio e poi ne offrono illegalmente tanti altri.

Le domande da porsi, a mio avviso – affrontando un dibattito serio e lungimirante, possibilmente sostenuto da uno studio, e che abbracci tutte le parti sociali – è: perché avvengono certe distorsioni nel mercato del lavoro e delle imprese? Come è possibile ovviare o almeno mitigare tali distorsioni?

Molto spesso le risposte sono da ricercarsi non tanto nella cattiva volontà di datori e lavoratori quanto nell’assenza di competenze/conoscenze adeguate, nell’aver aderito ad un modello economicamente insostenibile rispetto alla propria struttura aziendale o a quella dell’intera destinazione turistica o all’assenza di verifiche e incentivi adeguati o perché ci si trova spesso di fronte ad un quadro normativo che definire complesso è un eufemismo o perché è ancora troppo facile operare quali finte imprese.

Nel tentare di fornire risposte serie a queste domande – ferme restando le questioni che esulano dalle competenze locali ma che vanno comunque sostenute in sede nazionale – ci troveremmo sicuramente obbligati a dover ripensare e pianificare con interventi strutturali il nostro modello di sviluppo per far si che diventi sostenibile tanto dal punto di vista economico quanto da quelli sociale ed ambientale (le tre dimensioni non sono scindibili). Dove, la fiscalità di vantaggio, l’allungamento della stagione turistica, i controlli adeguati e a 360 gradi accompagnati da un piano di emersione (già proposto anche questo in passato) dovranno necessariamente trovare come contraltare una presa di coscienza generale e la volontà di lavorare per progettare ed adottare un diverso modello di sviluppo che risponda davvero alle esigenze delle comunità locali. Un modello che sia, appunto, sostenibile.

Christian Del Bono

Presidente Federalberghi Isole Minori della Sicilia
Presidente Federalberghi Isole Eolie

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