(Comunicato Centro studi eoliano)
27 Gennaio Per non dimenticare
L’isola di Lipari fu utilizzata dal regime fascista per l’internamento di ebrei Italiani e stranieri sin dal 1941 al 1943. Il Campo d’internamento venne chiuso con l’arrivo degli Alleati e lo sbarco in Sicilia e numerose famiglie vennero trasferite in altri campi di concentramento nell’Italia Centro Settentrionale e successivamente nei lager tedeschi. Diversi anche i casi di alcune famiglie ebree italiane; con lo sgombero del campo di Lipari, un padre decise di nascondere a Lipari, presso una famiglia eoliana amica, la giovane figlia Eva. La ragazza fu nascosta e aiutata ed è sopravvissuta, ritornando negli anni a Lipari per rivedere quella che lei chiamava la sua famiglia. (Su questo caso stiamo conducendo una profonda ricerca per ricostruire tutte le vicende di questa giovane donna).
Con l‘inizio dell‘occupazione militare alleata, la prima questione a cui gli angloamericani dovettero far fronte riguardava la gestione dei territori occupati. Per questa ragione, tra il 9 e il 10 luglio del 1943, cominciò ad operare il Governo Militare Alleato (AMGOT), il cui presidente era il generale inglese Harold Rupert Alexander. Una delle primarie questioni di cui l‘AMGOT dovette occuparsi fu la crisi dei profughi, tra cui vi erano migliaia di ebrei. Ancora una volta l’isola di Lipari si trovò costretta ad ospitare un campo di internamento. Numerose le proteste da parte del Comitato di Liberazione Nazionale di Lipari, presieduto da Don Eduardo Bongiorno.
Alla fine del conflitto, dopo alcuni mesi di tranquillità, ancora una volta Lipari viene individuata quale Centro Raccolta Profughi dal nuovo governo repubblicano. Nel corso del 1946, all’indomani della riattivazione ad opera del direttore Girolamo Laquaniti, Lipari ospitò gruppi di ebrei stranieri classificati come “Indesiderabili”.
Il 14 dicembre 1946, un primo gruppo di dieci ebrei venne inviato a Lipari. Come emerge dalle loro testimonianze, le condizioni di vita erano molto dure, sia per le disciplina che veniva imposta al suo interno, che per le ristrettezza economiche ed i problemi di convivenza tra gli internati. Particolarmente insopportabile era l‘isolamento geografico.
Il 7 gennaio del 1947 il gruppo scriveva a Raffaele Cantoni (un rappresentante delle organizzazioni dei Profughi Ebrei in Italia), per sottoporre le terribili condizioni in cui erano costretti a vivere ed alludendo esplicitamente a problemi di convivenza all‘interno della struttura:
Egregio Signor Presidente Raffaele Cantoni, Vi abbiamo informato con precedente corrispondenza dello sciopero della fame al quale ci prepariamo per il 15.01.1947 se a quest‘epoca non dovessimo essere liberati. Vi facciamo sapere che siamo costretti ad iniziare lo sciopero della fame, sabato 11 gennaio giacché tutto il campo composto di 360 persone cominceranno da questo giorno lo sciopero in questione, e quindi noi ebrei non possiamo astenerci, se non mettiamo la nostra vita in pericolo. (…) Lo sciopero generale della fame è già stato portato a conoscenza del direttore del campo e di ciò sarà anche informato il Ministero.
Raffaele Cantoni rispose garantendo tutta l‘attenzione e l‘aiuto materiale e burocratico necessari al loro allontanamento, chiedendo in cambio di soprassedere all’intenzione di iniziare lo sciopero della fame.
Le proteste erano numerose, gli ebrei lamentavano di essere affamati, abbandonati, disperati, senza aver commesso nessuno reato. Tra loro c’erano anche dei ragazzi minorenni che erano fuggiti dalla Polonia e diretti in Palestina. Per la maggior parte degli ebrei di Lipari, tuttavia, l‘ottenimento della liberazione si rivelò essere un percorso estremamente tortuoso, a causa soprattutto delle lungaggini burocratiche e dei problemi di comunicazione tra il Ministero dell‘Interno e la Questura di Messina; il fatto che Lipari si trovasse in una posizione di isolamento rispetto alla penisola complicava ulteriormente la situazione. Numerose le storie personali dei singoli troppo lunghe e complesse per raccontarle in questa sede. Lentamente nel giro di un anno tutto gli ebrei vennero trasferiti in altri campi ed ottennero l’agognata liberazione.
Possiamo paragonare l’internamento fascista di civili con i lager nazisti? Assolutamente no!, tuttavia, occorre rilevare che le condizioni di restrizione della libertà, le difficoltà di rifornimento imposte dall’inasprimento della guerra, l’affollamento degli alloggiamenti rendevano difficile e penosa la vita dei civili internati. I campi di concentramento italiani sottoposti all’autorità civile, tra il giugno del 1940 e l’agosto del 1943, furono complessivamente una cinquantina. La loro direzione era affidata a un commissario o a un maresciallo di pubblica sicurezza, oppure al locale podestà, coadiuvato da carabinieri, questurini o militi fascisti. A guerra conclusa, di fronte all’immane orrore degli oltre cinque milioni di ebrei morti per mano dei nazisti, il bilancio dell’internamento civile italiano sembrò apparire come un male minore, anche perché le migliaia di ebrei italiani e stranieri internati nei campi del Sud, non rientrarono nelle zone di occupazione tedesca e del governo della Repubblica sociale italiana e furono salvati. Questo non deve farci dimenticare che il regime fascista praticò fin dal 1938 una politica autonoma antiebraica e che dal 1943 al 1945 il fascismo repubblicano di Salò attuò procedure di arresto e concentramento che portano allo sterminio di oltre ottomila ebrei.
Lipari, 27 gennaio 2025
Ufficio Stampa – Centro Studi
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