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venerdì 31 gennaio 2025

Il bene della comunità e l'obbligo di decidere (di Lino Natoli)

La politica riguarda le persone ma non può diventare un fatto personale. Va bene l’ambizione, ma solo quando questa alimenta il desiderio di rimanere ricordati per aver fatto qualcosa piuttosto che per essere diventati qualcuno. Perché quando si decide di dedicarsi alla politica mossi dall’ambizione di diventare qualcuno, se poi ti senti considerato nessuno la faccenda acquista significati personali.

Subentrano i sentimenti di rivalsa, lo scontento, talvolta il desiderio di vendetta. Il riconoscimento negato annebbia qualsiasi ragione e tutta l’attività politica si risolve nell’unico obbiettivo di mettere in difficoltà, infine abbattere l’avversario, colui che pur sentendomi io qualcuno mi considera nessuno (secondo il mio metro di giudizio, il valore che pretendo gli altri mi attribuiscano e che in fondo, visto che sono stato eletto, che occupo quel certo ufficio, quel certo incarico merito). Tuttavia questi sentimenti fanno perdere di vista l’unico motivo per cui la politica dovrebbe avere un senso, operare per il bene della comunità.

Ciò ovviamente non significa che bisogna essere tutti d’accordo, che bisogna avere tutti le stesse visioni del mondo. I problemi si possono guardare da prospettive diverse e proponendo soluzioni diverse ma non si può, per dispetto, per amor proprio, impedire che i problemi si affrontino. I momenti fondamentali dell’azione politica rimangono tre: l’ascolto, la mediazione ed infine la decisione. Pensare di fermare tutto sull’ascolto o sulla mediazione per non arrivare mai ad una decisione è stata la pratica che ha caratterizzato gli ultimi decenni dell’amministrazione comunale.

Conclusa la fase dell’ascolto e della mediazione, chi ha la responsabilità di prendere delle decisioni deve farlo. I cittadini hanno il dovere di partecipare, il diritto di farsi ascoltare e di fare anche proposte alternative, poi però c’è chi deve decidere, non si può continuare all’infinito o pretendere di sostituirsi ad altri, assumere ruoli che non sono propri. La democrazia ha delle regole, stabilisce delle funzioni, ne delimita poteri e prerogative.

Definisce ogni singola fase della formazione della decisione, distinguendo nettamente le questioni tecniche da quelle politiche. Nessuno può decidere di testa propria ma, allo stesso tempo, nessuno può pensare, in nome del diritto di cittadinanza, di poter esercitare qualsiasi potere interdittivo. Esaurita la fase dell’ascolto, esaurita quella della mediazione, la decisione spetta a chi, secondo le proprie competenze, ne ha la responsabilità.

Può accadere, poi, che la decisone non piaccia, magari danneggi qualcuno, in questi casi la democrazia mette a disposizione altri strumenti per fare valere le proprie ragioni ed i propri diritti. Dico questo perché la disabitudine a fare le cose rischia di portare inesorabilmente a sospettare di chiunque voglia fare qualcosa. La paura che ci sia sotto un interesse illegittimo, una mente autoritaria e prepotente che vuole fare e disfare a suo piacimento indifferente ad ogni possibile conseguenza, è la morte di ogni attività amministrativa.

Sento, talvolta, soprattutto nei social, nostalgici e chiassosi auspici a tornare come prima. Prima, quando tutti almeno contavamo qualcosa, ma qualcuno contava più degli altri. I risultati mi sembrano evidenti. (LINO NATOLI)

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