(di Ilaria Ravarino) Più che una conferenza stampa pare un compleanno. Un aperitivo durato due ore, rustici e pizzette, patatine e vino bianco per i brindisi che si moltiplicano nella bella veranda della Casa del Cinema di Roma: tutti i bicchieri sono alla salute della festeggiata, Giovanna Taviani, riuscita a portare in sala dall’8 aprile il suo documentario Fughe e Approdi – Ritorno alle Eolie tra Cinema e realtà. "È un miracolo – si dice ad alta voce sotto al tendone di Villa Borghese – portare al cinema un documentario oggi è un vero miracolo». L’età media degli invitati, amici della regista poco più che trentenne, è alta. I curriculum sono importanti: le due ore di aperitivo conciliano strette di mano, abbracci, un chiacchiericcio chic d’aggiornamento sui reciproci progetti. Ci sono quelli che Giovanna chiama semplicemente "i padri fondatori", suo padre Vittorio, il regista Marco Leto, Renzo Rossellini. C’è Marcello Sorgi, ex direttore de La Stampa, e c’è qualche politico in rappresentanza dei ministeri. C’è un docente del Centro Sperimentale, ci sono una manciata d’imbucati, e alla fine arriva anche Giuseppe Fiorello, "un amico - dice Giovanna– conosciuto a Palermo". Quando finalmente la conferenza ha inizio, per la regista si chiede esplicitamente "un tifo da stadio": all’appello rispondono in molti, "vedo tante facce note" dice la Taviani. Seduto in platea, a garbata distanza, suo padre le sorride incoraggiante.
Come si sente, Giovanna, in questa specie di riunione di famiglia?
Giovanna Taviani: Ci sono tanti amici, qua, e la cosa mi rende felice. Ma sono felice anche per altri due motivi. Il primo è sapere che il mio documentario uscirà in sala, e sappiamo quanto la cosa abbia del miracoloso, grazie a Luciano Sovena con Cinecittà Luce e a Grazia Volpi con la Kaos Cinematografica. E poi sono contenta perché proprio qui, alla Casa del Cinema, ho fatto il mio esordio con I nostri 30 anni - Generazioni a confronto. Fu una serata magnifica, conclusa da una conversazione con giovani e meno giovani registi, c’era Paolo Sorrentino e c’era anche Mario Monicelli. Il mio documentario lo voglio dedicare non solo agli abitanti delle Eolie, ma anche ai padri fondatori del nostro cinema, persone come Monicelli e come gli artisti presenti in questa sala. Il mio film è un viaggio nella nostra memoria cinematografica, e in un momento come questo, in cui il paese dimentica il tributo ai padri del cinema, io lo dedico a tutti coloro che mi hanno ispirata.
I produttori possono spiegarci la genesi del miracolo?
Grazia Volpi: io conosco Giovanna fin da quando era una bambina e noi della Kaos siamo stati conquistati dal cuore del suo film: ci sono le Eolie con tutta la loro magia, la politica, persino il gossip... Credo che questo sia il più puro modello di documentario, cinema vero e vissuto in prima persona. Per il miracolo dobbiamo ringraziare il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che ha preso subito in considerazione un documentario, genere per cui non è facile trovare finanziamenti, il Ministero per lo Sviluppo Economico e la Regione Sicilia.
Luciano Sovena: come distributori del film siamo felici di annunciare che uscirà con il circuito Microcinema. Dopo il brutto momento che ha passato Cinecittà Luce è un piacere essere di nuovo qui, in piedi, con questo film e grazie all’affetto del mondo del cinema, e persino della politica che ci ha sostenuti in modo trasversale.
Nino Strano: come Regione Sicilia ci sentiamo un po’ la mamma di questo film. La nostra regione ama il cinema, sia quello più grande che quello più indipendente come il film di Giovanna. Abbiamo sostenuto questo prodotto e continueremo a farlo girando a Lampedusa, ad aprile, un corto che speriamo di vedere alla Mostra di Venezia.
E i padri fondatori cosa ne pensano? Che effetto vi fa la dichiarazione d’amore della Taviani?
Marco Leto: mi riempie di felicità, anche se a dire il vero io Giovanna non ho mai capito di chi fosse figlia... per me è la figlia dei Taviani, tutti e due, e basta. A parte gli scherzi, è stato un piacere rivedere le Eolie del suo film, io che là girai negli anni ’70 La villeggiatura. Un film che si vede poco in giro, ormai.
Renzo Rossellini: Il film di Giovanna io l’ho visto subito e me ne sono innamorato: l’ho sentito chiamare documentario o film, ma per me è semplicemente un racconto per immagini, un’opera cinematografica bella che sa dire cose importanti per chi abita quelle isole e per quel pezzo di paradiso vicino a casa che non sappiamo amare abbastanza. Sono orgoglioso di essere amico di Giovanna e penso che il suo film sia sulla stessa linea di Stromboli, che mio padre girò nel ’49. Stromboli servì a papà per uscire dal luogo comune di “regista del neorealismo”. Lui voleva sperimentare nuove strade, mettersi alla prova con nuove sfide: si innamorò di queste isole e ci fece un film, un film contro i pregiudizi sui diversi, sugli stranieri. Un film per questo modernissimo, che oggi dovrebbe esser rivisto pensando a quanta poca ospitalità sia stata espressa da altre isole nei confronti di altri stranieri. Stromboli è una lezione ancora attuale, uno sforzo di intelligenza, etico e culturale.
Vittorio Taviani: la mia è una posizione imbarazzante, perché sono il padre della regista e anche del musicista del film, e un padre corre il rischio di essere padrone o padrino. Non ci volevo venire stasera, poi mi sono detto: sono protetto dalla mia età, che mi permette di fare anche cose insolite come questa. A me sembra che questo sia un buon film, mi tremano le gambe nel dirlo e proverò ad astrarmi dalla mia figura di padre e spiegare perché. È buono perché è fatto di tanti colori, di immagini, di dimensioni poetiche, inclusa quella, dispotica, della natura. Il cinema prima di Giovanna ha trasformato le Eolie in molti modi: le ha fatte diventare oscure e inquiete con Antonioni, severe nel bianco e nero de La villeggiatura, traslucide e cangianti con De Seta, aggressive e aspre in Stromboli. È un film buono per le creature, i volti e i visi che rappresenta: c’è una specie di Virgilio pescatore, Franco, che sente su di sé le pene dell’isola vivendole come in simbiosi; c’è quella pastora che racconta il suo incontro col demonio, in uno splendido esempio di ironia contadina. E poi è buono perché ricuce il filo della memoria, la memoria della regista che è stata spesso nelle isole da bambina e la memoria del cinema, di chi ha ripreso le isole prima di lei.
Questo è il suo giudizio di padre fondatore. Quello di padre, invece?
Vittorio Taviani: Qui c’è un problema. Perché Giovanna oggi è figlia ma anche collega. Figlia significa amore, collega significa competizione. Da una parte la gente si chiede quanto avrò incoraggiato questa mia figlia nel suo lavoro, e devo dire di si, l’ho fatto. L’ho fatto di giorno. Ma di notte no. Di notte sentivo un certo disagio, una specie di rimorso, un tumulto di ansie, di domande e risposte. Credo sia inevitabile.
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