COMUNICATO STAMPA.
I risultati delle
analisi diffusi dall’amministrazione confermano il sospetto che aleggiava già
da alcuni giorni in merito alla causa del colore e della presenza di sedimento
nell’acqua di Lipari: le interazioni tra il nuovo dissalatore e una rete idrica
vetusta.
Al di là delle
possibili soluzioni, che auspico vengano al più presto illustrate e discusse in
consiglio comunale, in un paese spesso senza memoria è opportuno fare un passo
indietro e riportare la questione nei termini esatti in cui andrebbe collocata.
Per anni abbiamo
lottato contro la sciagurata “emergenza idrica e fognaria”, che non esito a
definire una vera e propria speculazione ai danni del nostro territorio,
avallata dai governi nazionali che si sono succeduti dal 2002 al 2012. Perché
l’abbiamo avversata? Forse non volevamo un depuratore o un dissalatore?
Ovviamente no.
Il progetto
originario, varato negli anni dell’amministrazione Giacomantonio, prevedeva non
soltanto la realizzazione di questi impianti, ma quella di piccoli dissalatori
in ogni isola (ottenendo la loro piena autonomia rispetto alle forniture a
mezzo nave), quella di una rete fognaria nelle frazioni che ancora oggi ne sono
prive (Acquacalda, Pianoconte, Quattropani), il ciclo dell’acqua (consentendo
di disporre di cospicue risorse idriche per l’agricoltura, tema decisamente
attuale) e soprattutto il rifacimento delle reti idriche del territorio
comunale.
A fronte del budget
tutto sommato modesto che era stato previsto per questi fondamentali
interventi, lo “scippo” governativo dell’appalto e la sua assegnazione alla
Sogesid gestita dall’avvocato Pelaggi – figura ben nota alle cronache
giudiziarie – ha procurato un sensibile incremento delle risorse, che però sono
servite a realizzare un numero decisamente inferiore di opere pubbliche: solo
due depuratori e due dissalatori, mentre della rete idrica non se ne parlava
più, come se per incanto non presentasse alcun problema.
Oggi, invece, il
problema lo paghiamo con gli interessi. Qualsiasi ipotesi di intervento,
infatti, presenterebbe dei costi notevolmente maggiori rispetto a quindici anni
fa, e comporterebbe disagi prolungati alla cittadinanza (se si pensa soltanto
alla riapertura delle strade e ai cantieri).
È ovvio che questo
tutto ciò sia avvenuto con precise complicità politiche locali, che certamente
non posso addebitare all’attuale amministrazione, insediatasi quando
l’“emergenza” volgeva ormai alla fine. Tuttavia, ritengo che questa avrebbe
potuto e dovuto opporsi quando i giochi non erano ancora del tutto conclusi
(alcune opere dovevano essere messe a bando) e soprattutto fare leva su governi
“amici” – in primis, quello nazionale – per ottenere una sostanziale revisione
delle priorità per la gestione del servizio idrico, includendovi innanzitutto
il rifacimento della rete.
Adesso, dopo tredici
anni e decine di milioni di euro spesi pressoché invano, siamo nuovamente in
“emergenza idrica”, ed è emergenza vera, sulle cui possibili soluzioni – mi
auguro – l’amministrazione vorrà confrontarsi con il consiglio comunale. Quello
che si paventa – rientro a regime con forniture a mezzo nave – presenta infatti
un costo esorbitante (circa 13 euro a metro cubo) che sancisce meglio di
qualunque altra considerazione il fallimento della politica delle “emergenze”.
E una volta risolto o
quanto meno attenuato il problema del ferro, rimangono ancora altri punti di
rilievo: il quantitativo di acqua previsto e il calendario delle forniture (in
particolare al di fuori della stagione estiva), chiaramente inadeguati per un
paese che vorrebbe definirsi civile.
Pietro Lo Cascio
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.