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lunedì 8 maggio 2017

NEL RICORDO DELLA TRAGEDIA DEL 9 MAGGIO 1943. RIFLESSIONI DEL PROF. ATTILIO PRINCIOTTO

Il 9 Maggio 1943 è una data che almeno i siciliani del messinese non possono e non devono dimenticare mai, anzi hanno l’obbligo morale di tenere sempre vivo il ricordo di quel tragico evento, parlandone anche a chi eventualmente lo ignora. Sarebbe anche opportuno che nelle scuole del territorio gli insegnanti ne parlassero in modo che anche gli studenti, a partire dalla prime classi, conoscessero le vicende della loro città, del loro paese anche se piccolo.
Com’è noto, nel primo pomeriggio di quel giorno, poco prima delle ore sedici, venne colpito in pieno da un siluro lanciato da un sottomarino inglese il piroscafo mercantile “Santa Marina”,salpato da pochi minuti dal porto dell’isola di Vulcano e diretto a Milazzo con a bordo 107 persone, compreso l’equipaggio. E’ stato possibile ai soccorritori accorsi subito dalle isole vicine salvare cinquantacinque viaggiatori mentre altri sessantadue esseri umani innocenti in breve tempo scomparvero insieme alla nave che diventò la loro tomba ed andò ad adagiarsi in un avvallamento del mare tirreno ad una profondità di circa 1800 metri, in un silenzio totale e in una pace assoluta che mai nessuna guerra potrà disturbare. Salvo una nuova diavoleria che l’ uomo dovesse inventare per il momento non è possibile riportare in superficie la nave.
Esattamente quattro mesi dopo e sempre nelle prime ore del pomeriggio, il 9 Settembre 1943, il giorno dopo che era stato proclamato l’armistizio, si consumava un’altra grande tragedia: un’altra nave italiana, stavolta però una nave militare, andava ad adagiarsi sul fondo del mare di Sardegna al largo dell’isola Asinara con il suo carico umano di 1393 marinai, ad una profondità di oltre 500 m. Si tratta della corazzata “Roma” ammiraglia della flotta militare italiana; ma non è stato il risultato di un combattimento: la squadra navale con in testa la Roma era in fase di trasferimento. Causa forse un dolore minore il fatto che quei morti erano soldati? No, erano soprattutto uomini, che lasciavano nel dolore più grande migliaia di madri, di padri, di mogli, di sorelle, di fratelli, di figli, di bambini. La cosa più amara è che quelli che hanno affondato la corazzata Roma erano, fino a pochi giorni prima, nostri alleati; sono stati cioè i tedeschi. Tanti non sapevano che con l’armistizio le cose erano così profondamente cambiate e la sorpresa pertanto fu terribilmente amara.
Come si suol dire la guerra non guarda in faccia  nessuno; la guerra distrugge l’uomo: annulla i suoi sentimenti più nobili, la capacità di amare e rispettare gli altri, la capacità di stimare e apprezzare la vita e di scorgere in essa dei valori; la guerra distrugge l’umanità stessa dell’uomo; la guerra distrugge tutto quello che di buono egli ha costruito nei secoli, con tanto impegno e tanta fatica, distrugge il benessere che ha creato e la bellezza che ha saputo trovare  e inventare, distrugge le condizioni di vita che man mano ha realizzato superando e risolvendo tutti i problemi incontrati. Con la guerra l’uomo ritorna alla barbarie primordiale, si può dire che diventa peggio di una belva, perché in una belva non si trova la crudeltà e la ferocia che l’uomo fa nascere in se stesso e che lo porta a distruggere i suoi simili.
Non è necessario avere fatto studi profondi per capire che è veramente assurdo che gli uomini si uccidano tanto frequentemente e tanto ferocemente tra di loro. Se torniamo molto più indietro nel tempo, fino ai tempi bui della preistoria, veniamo a scoprire purtroppo che l’essere umano ha sempre usato la guerra, ossia la violenza, per risolvere i suoi problemi, convinto che quello fosse il mezzo migliore; col tempo però ha compreso la necessità di vivere in comune coi propri simili e ha creato leggi che gli hanno permesso di vivere insieme agli altri e di risolvere così i problemi che da solo non sarebbe riuscito a superare, ha elaborato valori civili quali la solidarietà, la giustizia e il desiderio di pace; è nato il diritto. Sembra però che la sua natura stessa lo porti all’uso della violenza. Ripetiamoci sempre con Albert Einstein “ Io non trovo nessuna ragione che giustifichi una guerra”; purtroppo però non si può non essere d’accordo con Papa Francesco il quale, qualche anno fa, ebbe a dire che stiamo vivendo la Terza Guerra Mondiale: oggi in tutto il mondo si combattono infatti numerose guerre, forse non di grandi dimensioni ma sanguinose e feroci sì.
E allora? Che cosa ci rimane da fare? Dobbiamo rassegnarci e accettare passivamente questa realtà? Si tratta di un destino immutabile? NO, non può essere così.. L’uomo ha la capacità di intervenire nel corso degli eventi e di modificarli, deve solo volerlo; è dotato di libero arbitrio e ha la capacità di distinguere il bene dal male e di scegliere quello che per lui è il bene combattendo il male nella consapevolezza che prima o poi ne rimarrà vittima. E’ una lotta in cui non bisogna arrendersi anche se l’ obiettivo appare spesso di una difficoltà insormontabile.
Pico della Mirandola, nel 1400, sosteneva che l’uomo ha in se stesso la possibilità di diventare un angelo o un demonio,dipende da lui. Ecco dunque l’assoluta necessità di un’adeguata istruzione dei giovani, dell’aiuto che gli adulti devono dare per la loro formazione, perché diventino cioè donne e uomini responsabili, capaci di orientarsi correttamente nella vita , col pensiero rivolto non solo a se stessi ma anche a tutti gli altri dal momento che nessuno può vivere solo.“L’uomo è un compagnevole animale”  ha scritto Dante nel “Convivio“ e questo principio vale per tutti: se vogliamo vivere la pace dobbiamo combattere la guerra, non dimenticando mai le sofferenze e le distruzioni che essa produce.
In primo luogo ricordiamoci sempre delle vittime più autentiche delle guerre che ne testimoniano gli orrori, ossia i  morti,a cui la guerra ha tolto il bene  supremo, la vita. E dove si trovano i caduti? Intanto i morti causati dalla Seconda Guerra Mondiale, civili e militari, sono stati oltre cinquanta milioni. Molti, soprattutto soldati, si trovano sul fondo dei mari e degli oceani, nelle loro navi affondate con armi micidiali e negli aerei abbattuti in combattimenti feroci. Com’è  possibile ricordare i tanti morti dal momento che non si sa nemmeno dove sono finiti? Ha dato la risposta la professoressa MARIA ROSARIA LEANZA , figlia del Maresciallo dei Carabinieri ROCCO LEANZA che il 9 maggio 1943 si trovava sul piroscafo “Santa Marina” nel quale è rimasto. La prof. Leanza,  cui esprimo i sensi più profondi della mia stima, grazie anche al sostegno del Sindaco di Santa Marina di Salina  MASSIMO LO SCHIAVO e dell’ Assessore Comunale sig. LINDA SIDOTI, ha fatto costruire, nella piazza principale del  Comune oliano di Santa Marina un monumento alla nave affondata con incisi i sessantadue nomi delle vittime che con essa giacciono in fondo al mare. Ogni anno, il 9 maggio, si commemora degnamente  il tragico evento.
Offro alla sig. Leanza tutta la mia amicizia e penso che la accetterà perché condividiamo e sosteniamo i più importanti valori che  sono alla base del vivere civile. Entrambi sappiamo che il termine “monumento” deriva dal verbo latino monere (ammonire); esso significa perciò ammonimento ed è proprio questo il messaggio che emana da quei blocchi  di marmo e giunge all’intelligenza e al cuore del visitatore e sospinge a riflettere e a commuoversi alla luce di quanto gli rivela.. Nello stesso tempo bisogna insegnare ai giovani  e ai giovanissimi ad ascoltare e a percepire la voce che di là proviene e che parla però solo ai cuori nobili e sensibili. Sarebbe doveroso che le scuole guidassero gli studenti davanti ai loro monumenti per spiegarglieli. E’ possibile sperare di realizzare una pace duratura solo fino a quando ci ricorderemo dei caduti in guerra e degnamente li onoreremo.
Prof. ATTILIO PRINCIOTTO

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