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giovedì 21 maggio 2020

Bandiere blu e bandiere bianche. La riflessione di Pietro Lo Cascio.


È dei giorni scorsi la querelle in salsa paesana sulle spiagge Bandiera Blu, nata dopo il trionfante annuncio dell’amministrazione comunale di Lipari e la rivendicazione di tale successo fatta dai gestori dei lidi dei litorali interessati. Incuriosito, sono andato a leggere sul sito della Foundation for Environmental Education (http://www.bandierablu.org/common/criteri) quali sarebbero i requisiti per ottenere quello che entrambe le parti – concordi almeno in questo – definiscono “un prestigioso riconoscimento”. Ho così scoperto delle cose interessantissime che, confesso, fino ad oggi avevo ignorato.

Per esempio, tra i requisiti “imperativi” viene richiesto lo svolgimento di almeno cinque diverse attività di educazione ambientale da offrire ogni anno ai bagnanti, oltre all’affissione di informazioni relative agli “ecosistemi locali, elementi naturali e siti culturali”; le spiagge devono essere pulite, è ovvio, ma la vegetazione algale e i detriti naturali non vanno rimossi dall’arenile perché parte di un ecosistema naturale; gli habitat marini – le praterie di Posidonia oceanica, per dirne uno – devono essere soggetti a costante monitoraggio; e ancora, le aree sensibili prossime a una spiaggia Bandiera Blu devono essere gestite per garantire la conservazione e la biodiversità degli ecosistemi marini.

Per nove anni consecutivi, non avevo mai fatto caso a tutto questo: una distrazione inspiegabile.
Come è possibile non avere notato gli educatori ambientali che si aggiravano instancabili tra i bagnanti sotto la canicola agostana? E le informazioni sugli ecosistemi, celate tra i prezzi dei panini e dei lettini? E i ruspisti che pettinano le spiagge? Di colpo la loro figura assurge a quella di autentici paladini della natura, attenti a preservare dai colpi di benna i detriti vegetali accumulati dalle onde sulla battigia. Con quale orgoglio ho appreso poi che nei pressi dei lidi – mentre gli ignari bagnanti si crogiolavano al sole – i biologi marini monitoravano lo stato di salute delle praterie di posidonia; ovviamente saranno stati retribuiti (dai gestori o dagli amministratori? chissà). E che dire del fatto che possiamo addirittura vantare una “gestione” degli ecosistemi marini “sensibili”? Sebbene ignori chi abbia tale compito, certamente gravoso, desidero ringraziarlo comunque.

Tutto ciò mi rallegra e mi aiuta a comprendere le ragioni della disputa tra amministratori e gestori: nonostante si tratti di qualche centinaio di metri di spiagge – alle Eolie, si sa, sono poche e piccolette – è da lì che deve ripartire la stagione turistica post-lockdown: le nostre sono ancora isole del sole e del mare, come nei depliant anni Settanta un po’ sbiaditi che distribuivano all’Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo.

Peccato che chilometri e chilometri di sentieri, che potrebbero essere un’altra importante risorsa, peraltro spendibile al di fuori dei due canonici mesi estivi, restino confinati nel limbo dell’indifferenza. La “ripartenza” non sembra contemplarli. Per loro, una sola bandiera: quella bianca, della resa.

Pietro Lo Cascio

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