È
dei giorni scorsi la querelle in
salsa paesana sulle spiagge Bandiera Blu, nata dopo il trionfante annuncio
dell’amministrazione comunale di Lipari e la rivendicazione di tale successo
fatta dai gestori dei lidi dei litorali interessati. Incuriosito, sono andato a
leggere sul sito della Foundation for Environmental Education
(http://www.bandierablu.org/common/criteri) quali sarebbero i requisiti per
ottenere quello che entrambe le parti – concordi almeno in questo – definiscono
“un prestigioso riconoscimento”. Ho così scoperto delle cose interessantissime
che, confesso, fino ad oggi avevo ignorato.
Per
esempio, tra i requisiti “imperativi” viene richiesto lo svolgimento di almeno
cinque diverse attività di educazione ambientale da offrire ogni anno ai
bagnanti, oltre all’affissione di informazioni relative agli “ecosistemi
locali, elementi naturali e siti culturali”; le spiagge devono essere pulite, è
ovvio, ma la vegetazione algale e i detriti naturali non vanno rimossi
dall’arenile perché parte di un ecosistema naturale; gli habitat marini – le
praterie di Posidonia oceanica, per dirne
uno – devono essere soggetti a costante monitoraggio; e ancora, le aree
sensibili prossime a una spiaggia Bandiera Blu devono essere gestite per
garantire la conservazione e la biodiversità degli ecosistemi marini.
Per
nove anni consecutivi, non avevo mai fatto caso a tutto questo: una distrazione
inspiegabile.
Come
è possibile non avere notato gli educatori ambientali che si aggiravano
instancabili tra i bagnanti sotto la canicola agostana? E le informazioni sugli
ecosistemi, celate tra i prezzi dei panini e dei lettini? E i ruspisti che
pettinano le spiagge? Di colpo la loro figura assurge a quella di autentici
paladini della natura, attenti a preservare dai colpi di benna i detriti
vegetali accumulati dalle onde sulla battigia. Con quale orgoglio ho appreso
poi che nei pressi dei lidi – mentre gli ignari bagnanti si crogiolavano al
sole – i biologi marini monitoravano lo stato di salute delle praterie di
posidonia; ovviamente saranno stati retribuiti (dai gestori o dagli
amministratori? chissà). E che dire del fatto che possiamo addirittura vantare
una “gestione” degli ecosistemi marini “sensibili”? Sebbene ignori chi abbia tale
compito, certamente gravoso, desidero ringraziarlo comunque.
Tutto
ciò mi rallegra e mi aiuta a comprendere le ragioni della disputa tra
amministratori e gestori: nonostante si tratti di qualche centinaio di metri di
spiagge – alle Eolie, si sa, sono poche e piccolette – è da lì che deve
ripartire la stagione turistica post-lockdown: le nostre sono ancora isole del
sole e del mare, come nei depliant anni Settanta un po’ sbiaditi che distribuivano
all’Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo.
Peccato
che chilometri e chilometri di sentieri, che potrebbero essere un’altra
importante risorsa, peraltro spendibile al di fuori dei due canonici mesi
estivi, restino confinati nel limbo dell’indifferenza. La “ripartenza” non
sembra contemplarli. Per loro, una sola bandiera: quella bianca, della resa.
Pietro
Lo Cascio
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