Riaprire tutto: così ci si rilancia. Il ragionamento è corretto, in apparenza. Ma, poi, si rivela nient'altro che il classico circolo vizioso.
Da domani ristoranti, bar ecc. ecc., possono tornare in piena attività, grazie anche a disposizioni meno rigorose relativamente alla distanza tra i tavolini.
Ma ci si è posti la domanda: bene, e ora chi potrà andare al ristorante?
Lo stesso discorso vale per alberghi e B&B: rimettiamo in moto il turismo, ma chi si può permettere il lusso di andare in vacanza?
I dati complessivi sono desolanti, come dimostra la notevole richiesta di concessione (1100 circa in tutti e tre i Comuni eoliani) dei buoni spesa.
Mille e cento famiglie significano circa 2.500 persone su una popolazione di dodicimila/tredicimila abitanti (minori compresi). E poi bisogna considerare nel computo generale le centinaia di cittadini che vivono di reddito di cittadinanza e degli altri sussidi previsti dallo Stato. Le fasce della disperazione sociale si sono ampliate a dismisura, ai vecchi poveri si sono aggiunti i nuovi, cittadini che prima vivevano anche bene, comunque dignitosamente.
Ecco, dunque, il circolo vizioso. Se non si hanno soldi da spendere, non si può andare a pranzo o a cena fuori, ma se non si riempiono di nuovo bar e ristoranti, un intero settore non potrà più riprendersi.
Il discorso vale anche per le strutture turistiche: se non ci sono soldi per farsi una vacanza, come potranno riempirsi alberghi e B&B?
Interrogativi scontati, quasi banali. Per questo urge un “traino” per l’economia di un arcipelago, praticamente “rasa al suolo” come dopo uno tsunami.
Il grido d'allarme delle organizzazioni di categoria, i richiami ai Governi, alla politica e alle banche da parte di tutti coloro che rappresentano parti rilevanti del tessuto socio-economico cittadino, devono tradursi in atti concreti.
C'è chi la cassa integrazione non l'ha ancora ottenuta e chi vedrà finire questo sussidio in autunno.
C'è chi è in forte difficoltà e ha chiesto invano finanziamenti a fondo perduto (anziché la “tagliola” di nuovi prestiti, che diventano poi nuovi insostenibili debiti) per poter riavviare quelle attività che sono state interrotte bruscamente non per un capriccio, ma per gli effetti di una pandemia.
La paura è proprio questa: che con l'avvio concreto della cosiddetta “fase 2” si consideri superata l'emergenza, non solo quella sanitaria, ma quella economica e sociale, e si torni ad affrontare i problemi quasi in modo “normale”, come fossimo in un periodo di difficoltà, sì, ma superabile come altre crisi. E invece, no: se non si comprende fino in fondo che a un'emergenza così drammatica occorre rispondere con misure e strumenti altrettanto forti (come fu con il Piano Marshall nel dopoguerra), si rischia davvero di toccare il punto di non ritorno.
Il circolo vizioso, dove alla fine resti sempre al punto di partenza e stendi la corda che, poi, si arrotola su se stessa e ti strangola.
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