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domenica 29 marzo 2009

A chi la figlia del duce? Al partigiano liparese Leonida

L’incanto stellato delle Eolie, le serate immobili, il profumo di gelsomino nell’aria, le acque blu e le spiagge nere di Vulcano, i pomeriggi di iancura, quando cielo e mare si confondono in una foschia lattiginosa che induce all’abbandono... Impossibile non innamorarsi. Al di là di ogni logica e di ogni differenza. Anche se lei è Edda Ciano, la figlia di Benito Mussolini, ancora «ostentatamente fascista», costretta al confino a Lipari per complicità con il fascismo a cinque mesi dallo scempio di Piazzale Loreto e a ventuno dalla messa a morte del marito Galeazzo, e lui Leonida Bongiorno, ex partigiano e capo del Pci locale.
La storia a Marina Corta la conoscevano tutti, persino il Corriere della Sera del 26 giugno 1946 aveva osato scrivere che Edda «non ha disdegnato l’assidua compagnia di un aitante giovane del luogo, il sig. Leonida Bongiorno, esponente di un partito politico, il quale ha avuto per lei tutte le cure più assidue». Però era notizia troppo complicata e delicata da approfondire. Magari non sarebbe neppure stata creduta: il Male assoluto e il Bene assoluto (c’è chi lo pensa adesso, figuriamoci con le tragedie belliche ancora bollenti...) teneramente fidanzati, accoccolati in terrazza fino all’alba, travolti dalla passione...
Fine dell’oblìo
Così è rimasta sepolta nel silenzio, custodita dal riserbo e dalla diffidenza isolani, finché a strapparla dall’oblio di un vecchio armadio non è arrivato il palermitano Marcello Sorgi. L’ex direttore del Tg1 e della Stampa, con l’aiuto del Centro Studi Eoliani e del figlio di Leonida, Edoardo, oggi proprietario di un hotel, ha avuto accesso alle lettere inviate da Edda all’amante (anche in francese e inglese), al diario di questi, ai messaggi cifrati dei due innamorati ecc., e ha utilizzato il tutto per ricostruirla con sapienza narrativa in "Edda Ciano e il comunista. L’inconfessabile passione della figlia del Duce (Rizzoli, pp. 148, euro 18, in libreria dal 1° aprile).
Edda a Lipari, già colonia penale durante il fascismo per un migliaio di oppositori del regime, da Ferruccio Parri a Emilio Lussu, ci era arrivata dalla Svizzera nel settembre del 1945, quasi da prigioniera, certo da «sorvegliata speciale numero 1». Era stata lasciata «in un tugurio lurido, e senza mezzi». Sola, privata dei tre figli, spaventata all’idea di dover rispondere di colpe terribili (aver ispirato la politica estera italiana e l’alleanza con la Germania, aver intrattenuto stretti rapporti con i leader nazisti e, addirittura, aver spinto il Duce alla guerra) e di dover così pagare tutte le colpe del fascismo, era depressa e malata, ridotta a pesare 42 chili, camminava curva sulle spalle appoggiandosi al braccio di un’amica. Era chiaro che aveva bisogno di aiuto. E dell’affetto di un uomo.
Anche Leonida, figlio di don Eduardu Bongiorno, capomusica della banda municipale di Lipari, socialista con Mussolini e poi così antifascista da essersi sempre rifiutato di suonare col suo trombone “Giovinezza” e da aver aiutato la fuga in motoscafo di Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Fausto Nitti nel 1929, era ritornato da poco sull’isola. Tenente degli alpini in Grecia e Francia, quindi orgoglioso partigiano comunista ed ex prigioniero dei tedeschi, era colto (laureato in Economia a Bologna, conoscitore di greco e latino) e romantico. Un fidanzato perfetto.
L’inevitabile incontro, una domenica d’ottobre, davanti alla chiesa. La gente è in rivolta contro il vescovo, reclama farina per il pane. A sedare la manifestazione ecco un uomo alto e possente, una sorta di pirata saraceno in veste di capopopolo comunista. Edda lo nota e chiede che le venga presentato. Gli sguardi s’intrecciano. «Mi apparve subito come una rondine ferita dalle ali infrante», ricorderà lui. È l’inizio di un amore disperato.
Il corteggiamento
La contessa lo corteggia subito, per stuzzicarlo lo chiama “Baiardo” (come il cavallo di Rinaldo) o “Lecret” (come il generale liberatore di Cuba nel 1898), e gli chiede di poter stare nella sua «casetta moresca» del Timparozzo che le ha «preso il cuore» e che ribattezzerà “Petite Malmaison” (come il castello regalato da Napoleone a Joséphine de Beauharnais dopo il divorzio). Il loro nido. Nelle lettere spesso lo provoca: «Mio adorabile allievo di sieur Palmiro»; «Continuate a essere comunista? Davvero?»...
Lui, un po’ in soggezione dinanzi a quella donna misteriosa, le dà il nome di Ellenica, le racconta epici episodi di guerra, leggende e miti delle Eolie, le declama a voce alta l’Odissea, che conosce a memoria. Soprattutto, la ragguaglia sul suo passato sentimentale, sulle sue tre storie d’amore degne di essere ricordate. Edda ricambia le confidenze, ricorda i tradimenti di Galeazzo, l’indifferenza del Duce («Una donna italiana fascista deve saper portare le corna»), e anche i suoi. Presto l’amicizia, complici le gite in barca, i versi di Byron, la sbocciante primavera eoliana, senza però sottovalutare i succinti costumi da bagno della rifiorita e abbronzata 35enne, si trasforma. E poco prima della Pasqua 1946 i baci diventano più audaci, le carezze spinte, gli incontri bollenti. A Vulcanello il 16 marzo Baiardo la disegna nuda, dritta su una piccola roccia in mezzo al mare; un ritratto destinato, dopo il rientro a Roma, a una parete del bagno personale di Ellenica. Ormai il soldato conquistatore è cotto a puntino. Una sera le confessa: «Voi per me potreste essere la donna ideale!». Ma viene gelato: «È possibile che io lo sia per tutti gli uomini che si sono innamorati di me?».
In realtà Edda ha altri pensieri, vuole riabbracciare i figli, cerca una soluzione per ottenere il riesame del suo caso. E così, probabilmente insieme, scrivono un memoriale difensivo, tutto incentrato sugli «obblighi mondani» che avevano portato la figlia del Duce e la moglie del ministro degli Esteri in luoghi e situazioni decisivi per il destino dell’Italia.
Il 25 giugno 1946, grazie però soltanto all’amnistia firmata da Togliatti, arriva la revoca del confino. Edda è libera e se ne va. Ma non è la fine. Si continuano a scrivere, tra gelosie e colpi di testa (lei si raperà a zero per protesta contro la nuova fidanzata, e futura moglie, di Leonida, Angela Cusolito, soprannominata “Chevelue” per i capelli ricci, e gli manderà una ciocca con un messaggio: «È tutto ciò che resta d’una razza che s’è spenta. Qualcosa di simile all’ultimo dei Moicani»), si incontrano di nuovo a Lipari per tre settimane, fanno un viaggio clandestino al Nord... Epperò lui non avrebbe mai lasciato la sua isola, lei non sarebbe mai andata a vivere laggiù... Del loro amore resta un muro, scolpito nel 1971, a pochi metri dal ristorante “Filippino”, con i versi del canto XII dell’Odissea, in cui Circe indica a Ulisse due rotte impossibili per tornare a Itaca...