Eolo Boccato
Quella di Eolo Boccato, della sua famiglia e
dell’omonima banda partigiana attiva nel Polesine è una storia tragica, come
tragica fu la guerra di liberazione combattuta tra il 1943 e il ‘45 in
conseguenza della rinascita del fascismo nella sua variante repubblicana.
Eolo era nato durante il confino del padre Americo, a
Lipari, il 20 agosto 1918.
Ad Adria, cittadina nel Polesine teatro di aspre lotte sociali, la famiglia Boccato, di cui Eolo
era il secondogenito, rappresentava anche una
micro-comunità che sotto il fascismo non faceva mistero della sua avversione al
regime, testimoniata anche dai nomi scelti per i 14 figli: Euterpe, Eolo,
Esperina, Espero, Elio, Anita, Nirvana, Proteo, Fiamma, Mirta, Sergio, Katia,
Miki, Ili. Una famiglia che, così come fu per quella dei sette fratelli Cervi,
con l’inizio della lotta armata clandestina sarebbe divenuta anche un nucleo di
resistenza che avrebbe alla fine contato ben tre fratelli caduti nel corso
della guerra partigiana.
Il padre Amerigo era
un militante anarchico così come lo era stato il padre Angelo, emigrato in
Brasile nel 1885 in conseguenza della repressione seguita alla Boje, il grande sciopero dei
braccianti del 1882. E fu in Brasile, a
Picacicaba, che era nato Amerigo il 16 luglio del 1892. Operaio “meccanico”, ricco di interessi e autodidatta
tanto che nella sua scheda personale i questurini annotarono che «Non difetta
di intelligenza », gli organi di polizia avevano cominciato ad occuparsi di
Amerigo nel 1917, dopo la rotta di Caporetto, per aver svolto «opera
disfattista attuata inviando fogli e volantini di contenuto anarchico ai
soldati combattenti». Conseguentemente Amerigo «per il suo grado di pericolosità e per ragioni di sicurezza» il 24
dicembre 1917 venne assegnato al confino coatto presso l’isola di Lipari
assieme alla moglie alla primogenita Euterpe ancora neonata.
La carriera di “sovversivo” di Eolo, per la legge ebbe inizio nel novembre del ‘37 quando si rese
contravventore al foglio di via obbligatorio emanato il 24 dello stesso mese
dal Commissario di P.S. di Adria; costretto ad abbandonare la sua città natale,
nel dicembre dello stesso anno venne fermato e denunciato per tentato espatrio
clandestino al valico di Resia all’Adige, e stavolta nei suoi confronti venne
disposto il rimpatrio ad Adria con foglio di via obbligatorio. Dopo pochi mesi,
lasciò nuovamente Adria ma, nell’agosto del ’38, incappò in un nuovo arresto a
Chioggia. Arrivò quindi la guerra, ed Eolo venne arruolato nel 56° Rgt.
Fanteria “Mestre” e, nell’autunno del ‘40, inviato in Istria, a Fiume, e da qui
nell’aprile ‘41 fu mandato in Croazia a combattere la spietata guerra
antipartigiana. Nel maggio, per gravi motivi di salute, Eolo riuscì a farsi
rinviare a casa e successivamente congedare, riprendendo il suo lavoro di
fotografo col padre ed il fratello Espero, il quale però alla fine dell’anno fu
a sua volta costretto a partire militare per il fronte jugoslavo.
Nel novembre ‘42 Eolo venne nuovamente arrestato per una
serie di scritte murali, firmate con falce e martello, apparse nottetempo ad
Adria il 2 ottobre precedente, anche sulla sede del Fascio. Nonostante
l’inesistenza di prove a carico – anche una perquisizione risultò negativa – la
Questura rodigina apparve intenzionata ad incolpare Eolo, definito «figlio di un pericoloso sovversivo e
cresciuto in un clima politicamente malsano», osservando che «negli attuali
momenti, sarebbe opportuno eliminarlo da Adria mercé un rigoroso provvedimento
di polizia che valga d’esempio».
Confinato alle isole Tremiti e successivamente, per
motivi di salute, in Abruzzo a Castelvecchio Subequo, venne liberato il primo
agosto ‘43; un’ulteriore condanna a 5 anni di confino di polizia alle Tremiti
venne spiccata contro di lui nel dicembre, ma nel frattempo Eolo si era dato
alla macchia, unendosi a un gruppo di una ventina di giovani sbandati,
renitenti alla leva della RSI o disertori dell’esercito, che avrebbero dato
vita alla Brigata garibaldina Canton Basso, dal luogo della costituzione.
Il loro primo impegno fu la diffusione clandestina della
stampa antifascista, tanto da impensierire il Prefetto di Rovigo che
nell’aprile ‘44 segnalava l’intensificarsi della «propaganda sovversiva e
antimilitare » nei comuni di Bottrighe, Adria, Ariano, Taglio di Po. Il
passaggio per tale gruppo dalla propaganda alla lotta armata fu reso possibile
dalla diserzione di massa avvenuta il 7 aprile ‘44 di centinaia di soldati e
ufficiali del CXX Battaglione Genio Costruttori di stanza ad Arquà Polesine.
Da quel momento in poi iniziò una spietata guerra senza
quartiere tra i partigiani da una parte, ed i fascisti della Brigate Nere e
della famigerata 2ª Compagnia, detta di Ordine Pubblico, della GNR di Adria,
composta soprattutto da fascisti ripiegati dalla Toscana e dall’Umbria, tanto
che diventeranno tristemente famosi come i
“Pisani”.
Una guerra fatta di agguati, fughe, tradimenti, espropri,
rastrellamenti, deportazioni e rappresaglie, con centinaia di morti da entrambe
le parti, segnata da orrende esecuzioni di massa compiute dai fascisti
repubblicani, come quelle di Villamarzana, di Cavarzere e di Cavanella d’Adige.
Ma, nonostante le difficoltà connesse alla guerriglia, la Banda Boccato dette
più volte prova della sua identità politico-sociale attraverso azioni a
sostegno della popolazione, come in occasione di quella che poi la stampa
avrebbe definito la “beffa di corte Bonaccorsi”, quando s’impadronì di 600
quintali di grano di proprietà del latifondista Bonaccorsi destinati ad essere
inviati in Germania, e li distribuì agli abitanti delle frazioni di Valliera,
Baricetta e Canton Basso.
Eolo ed Elio assistettero, nascosti ed impotenti, alle
torture e all’esecuzione del fratello Espero per mano fascista. i fascisti lo
avevano catturato in seguito ad una delazione
All’alba del primo ottobre 1944, i fascisti della
compagnia O.P. circondarono il fienile, poi dato alle fiamme, dove erano
rifugiati Espero e Silvano Bardella, un giovane sbandato del luogo, e li fecero
prigionieri assieme a un ragazzo di 16 anni Luigi Visentin. Per Espero, oltre
alle percosse, ci furono le torture prolungatesi per ore, per ottenere
informazioni sui fratelli, terminate solo con la sua uccisione a colpi di
moschetto. Dopo morto il suo cadavere fu pugnalato dall’ausiliaria fascista
Anna Maria Cattani, conosciuta come donna
Paola o la
donna nera, che aveva partecipato in prima persona alle
sevizie.
A notte fonda, si narra che Eolo ed Elio e gli altri
compagni penetrarono nel cimitero di Adria per un estremo saluto ad Espero. Da
quel momento, i fascisti della zona non avrebbero potuto più sentirsi sicuri,
perché solo indossare un’uniforme repubblichina poteva significare la condanna
a morte. In particolare Eolo, sulla sua bicicletta e il giubbetto rosso
indosso, divenne il loro incubo e – per cercare di fermarne le azioni e la leggenda
– fu usato ogni mezzo.
Una taglia di 100mila lire spiccata sulla testa di Eolo porto
alla sua morte il 4 febbraio 1945 – a seguito della delazione da parte di una
persona ritenuta affidabile.
a colpo sicuro, i militi dell’O.P. circondarono in
località Piantamelon la fattoria presso cui Eolo e un compagno avevano trovato
riparo e gettarono, dilaniandoli, una carica esplosiva nel tubo di aerazione
del piccolo rifugio interrato dove si erano nascosti.
Non contenti di ciò, con l’ausilio di un medico, decapitarono
i due corpi ed esposero le teste dei due “banditi” nella vetrina del Consorzio
Agrario nel centro di Adria.
Ma i cittadini ebbero a mormorare: «La testa è in
vetrina, ma Boccato cammina».
Alla sua memoria è stata assegnata una
medaglia d’argento per meriti partigiani.
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