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martedì 6 ottobre 2020

L' Odissea, i Faraglioni e una poesia del professor Giuseppe Iacolino.

Riceviamo dal dottor Gianni Iacolino e pubblichiamo: 

Chi ,oggi , solca il nostro mare non sempre fa correre la fantasia lontano nel tempo.  Milleduecento anni prima di Cristo, su e giù per il Mediterraneo, si aggirava il primo uomo moderno, forse il primo personaggio della letteratura occidentale, Odisseo per i Greci, Ulixes per i Latini. 

Simbolo della curiosità, eterno inquieto , mai appagato nella continua ricerca del nuovo e dell'avvenuta, deve guardare sempre oltre la linea dell'orizzonte, osa superare le colonne d'Ercole e , nel suo peregrinare, si aggira anche fra le nostre belle isole, dopo la terribile avventura dell'incontro con Polifemo.

Un'antica tradizione letteraria ha identificato nei Faraglioni di Lipari le Rupi Erranti citate nell'Odissea.[3]

«Si ergono da una parte altissime rocce, sulle quali le onde del mare oscuro cozzano con fragore. Rupi Erranti le chiamano gli dei beati. Di là neppure gli uccelli passano, neppure le colombe trepide che portano ambrosia al padre Zeus: una ne afferra sempre la nuda roccia, e allora il padre un'altra ne invia per completare il numero. Di là nessuna nave riuscì a passare quando vi giunse, la furia del mare e del fuoco funesto trascina legni di navi e corpi di uomini. Una sola passò, delle navi che solcano il mare, Argo [...].»

(Odissea, XII, vv. 59-70. Traduzione di Maria Grazia Ciani)
Sorgeva qui la reggia di Eolo, il signore dei venti, che gli dona la famosa otre, lasciando libero solo il dolce zefiro che lo accompagna sino ad Itaca. Ma i suoi compagni, sospettosi , aprono l'otre facendo uscire i <venti impetuosi> , riportando così l'imbarcazione indietro ,da Eolo che, adirato, non la prende bene e scaccia via i Greci. Questa breve premessa per introdurre una fantasia in versi che il mio caro papà compose un pomeriggio  nel 1979. Ricordo, quando, finita la composizione, me la recitò, felice per aver racchiuso in metrica uno dei suoi miti. L'altro mito, il primo in assoluto, fu Dante Alighieri. Sul divino poeta non osò la metrica, e giovanissimo ne curò la memoria affrontando un tema ostico , scrivendo il libro " SERVANDO MIO SOLCO" , unico testo, allora, riguardante l'universo dell'astronomia e dell'astrologia dantesca , pubblicato nel 1956 a Lipari dalla tipografia Fiorentino. Mi si perdoni il preambolo, ma era doveroso nei confronti di un intellettuale tanto discreto nel suo vivere civile, quanto gigante nell'ambito della vita culturale. L'amore filiale può suggerire forse considerazioni eccessive, ma nei confronti di tanto uomo, mi son dovuto limitare. Tornando alla poesia, da cui tutto è partito, ribadisco che si tratta di uno scherzo , si può dire così, dedicato all'eroe " curioso" che sa superare i propri limiti, teso cintinuamente a sperimentare e conoscere

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