Anche quest’anno, e siamo al terzo consecutivo, con il patrocinio del Comune e del Rotary Club di Lipari, l’Associazione culturale “Euterpe” (giovane ma così attenta alla cultura, soprattutto musicale) ha offerto a turisti più stanziali e meno frettolosi, a melomani residenti e ad amanti della cultura la rassegna di incontri musicali “Spartiti per le Eolie”.
E anche quest’anno i tre avvenimenti sono stati realizzati presso la chiesa della Addolorata, raccolta, accogliente e preziosa e con un’acustica perfetta (una piccola gemma che meriterebbe qualche modesto restauro, soprattutto agli stucchi dorati delle colonne presso l’altar maggiore), grazie all’impegno pervicace, anche economico, del suo direttore artistico Anna Paternò e al sostegno, per la verità modesto, di pochi soci sostenitori.
I programmi delle tre serate sono stati, come di consueto, godibilissimi e di notevole presa emotiva, pur se i “titoli” apparivano di grande fascino più per un auditorio di “livello” che per ascoltatori di musiche più frequentate. È questo il “target” che si propone l’Associazione, senza snobismi, ma nell’intento di fornire occasioni di ascolto diverse e meno consuete.
Si è andati dal “Quintetto per archi n° 2 op. 87, in Si b maggiore” di Mendelssohn, romantico e sereno, come era il suo autore (echi della “Scozzese”, memorie dei suoi viaggi, atmosfere del mondo ovattato in cui ha vissuto); al “Quartetto in La minore per pianoforte ed archi” di Malher, opera giovanile e breve, ma che opera!: tutte le premesse di un grande diventato famoso in Italia, grazie all’utilizzo che ne ha fatto Luchino Visconti nei suoi film (l’Adagietto dalla Quinta Sinfonia sopra tutti, nel film “La morte a Venezia”); al “Quintetto in fa minore per pianoforte ed archi” di Cesar Frank, grande autore romantico belga, vilipeso in vita dall’intellighentia musicale francese che lo considerava un misero maestro d’organo, diventato famoso con la sua “Sinfonia in Re”, universalmente nota (per inciso, ancora una volta Visconti ha utilizzato le sue composizioni per pianoforte Preludio, corale e fuga e Preludio aria e finale nel film “Vaghe stelle dell’orsa” del 1965, Leone d’Oro a Venezia); alla musica per pianoforte a quattro mani di Brahms (16 Valzer op 39) e di Tchaikosky con l’Adagio dalla Quinta Sinfonia e lo Scherzo dalla Sesta; alle Sei danze rumene di Bartok per violino e pianoforte, molto filologiche e bartokiane nella ricerca folkloristica, ai Cinque pezzi per due violini e pianoforte di Shostakovich, facili, godibili, totalmente russi, malinconici e melodici, pieni di assoluto lirismo, ma ricchi di quelle impennate esaltanti che sono nella tradizione di quel popolo e del suo autore.
In seconda serata, con Libertango, ormai notissimo grazie alla pubblicità (violino e pianoforte) si è arrivati alla contemporaneità di Piazzolla, ritrovato nell’apoteosi finale tributata dal numeroso pubblico al Grand Tango (una sorta di “summa maxima” di motivi del grande maestro, da Oblivion, a Adios Nonino, a Milonga del Angel) che ha chiuso le serate eseguito al violino da David Haroutunian e al pianoforte dalla coppia Fallour-Gitto.
Una piacevole sorpresa è stata l’introduzione di uno strumento insolito, la fisarmonica solista, diventata qui uno strumento prezioso e raffinatissimo da gran concerto. E non per Piazzolla, ma per autori come Voitenko (Rivelazione, struggente), Makkonen con Tango-Toccata, splendido e difficilissimo, grazie alla giovane fisarmonicista polacca Basha Slavinska, bella e brava, che avevamo ascoltato già il 27 Agosto in una serata al Centro Studi Eoliani. In terza serata ci ha salutati con la monumentale Ciaccona di Bach, scritta per violino solo e “pensata”, a mio parere, per organo. E dell’organo la Slavinska ci ha restituito tutte le sonorità e la pienezza con un “mantice” amplissimo e debilitante.
Di questa giovane esecutrice abbiamo detto. Ora parliamo degli altri, tutti di livello internazionale e dotati di curricula prestigiosi con attività che spaziano prevalentemente in Europa (ma alcuni hanno frequentazioni continue con America e Giappone): un armeno, il violinista David Haroutunian, vecchia conoscenza amatissima e ammiratissima (un grazie all’Armenia, patria di Kachaturian, che manda per il mondo maestri di tal livello); una bella e brava violinista italiana Daniela Cammarano. Intesa perfetta con Haroutunian, un sorriso, un cenno del capo, uno sguardo a Fallour al pianoforte e si concretizza l’incanto.
Oltre al gran maestro e grande “vecchio” Gerard Marie Fallour e Salvatore Gitto, milazzese, che ormai da tre anni sono presenti e finiscono per suonare sempre e meravigliosamente a quattro mani, vanno ricordati Giuseppe Russo Rossi e Sarah Chenaf alla viola e Matteo Pigato al violoncello, ottimi benché penalizzati per aver dovuto esprimere le loro qualità nell’insieme, piuttosto che in pezzi solistici non previsti quest’anno (Russo lo avevamo ascoltato l’anno scorso nell’Arpeggione di Schubert).
Gli esecutori, anche se affaticati dal caldo eccessivo e dall’afa hanno fornito ad un pubblico attento, silenzioso ed entusiasta performance di tutto rilievo che avrebbero meritato, soprattutto in seconda serata, un’affluenza più numerosa. Molti si sono lamentati per l’orario, troppo “anticipato” rispetto alle esigenze e alle abitudini dell’ambiente, ma va detto che la circostanza è stata obbligata dalla contemporaneità della manifestazione “Eolie in Classico”.
E va detto che certamente organizzatori, promotori, sponsor e Amministrazione, pubblico e comunità trarrebbero maggior vantaggio da scelte non escludenti o addirittura sinergiche, come dovrebbero e potrebbero essere.
Antonio Amico
E anche quest’anno i tre avvenimenti sono stati realizzati presso la chiesa della Addolorata, raccolta, accogliente e preziosa e con un’acustica perfetta (una piccola gemma che meriterebbe qualche modesto restauro, soprattutto agli stucchi dorati delle colonne presso l’altar maggiore), grazie all’impegno pervicace, anche economico, del suo direttore artistico Anna Paternò e al sostegno, per la verità modesto, di pochi soci sostenitori.
I programmi delle tre serate sono stati, come di consueto, godibilissimi e di notevole presa emotiva, pur se i “titoli” apparivano di grande fascino più per un auditorio di “livello” che per ascoltatori di musiche più frequentate. È questo il “target” che si propone l’Associazione, senza snobismi, ma nell’intento di fornire occasioni di ascolto diverse e meno consuete.
Si è andati dal “Quintetto per archi n° 2 op. 87, in Si b maggiore” di Mendelssohn, romantico e sereno, come era il suo autore (echi della “Scozzese”, memorie dei suoi viaggi, atmosfere del mondo ovattato in cui ha vissuto); al “Quartetto in La minore per pianoforte ed archi” di Malher, opera giovanile e breve, ma che opera!: tutte le premesse di un grande diventato famoso in Italia, grazie all’utilizzo che ne ha fatto Luchino Visconti nei suoi film (l’Adagietto dalla Quinta Sinfonia sopra tutti, nel film “La morte a Venezia”); al “Quintetto in fa minore per pianoforte ed archi” di Cesar Frank, grande autore romantico belga, vilipeso in vita dall’intellighentia musicale francese che lo considerava un misero maestro d’organo, diventato famoso con la sua “Sinfonia in Re”, universalmente nota (per inciso, ancora una volta Visconti ha utilizzato le sue composizioni per pianoforte Preludio, corale e fuga e Preludio aria e finale nel film “Vaghe stelle dell’orsa” del 1965, Leone d’Oro a Venezia); alla musica per pianoforte a quattro mani di Brahms (16 Valzer op 39) e di Tchaikosky con l’Adagio dalla Quinta Sinfonia e lo Scherzo dalla Sesta; alle Sei danze rumene di Bartok per violino e pianoforte, molto filologiche e bartokiane nella ricerca folkloristica, ai Cinque pezzi per due violini e pianoforte di Shostakovich, facili, godibili, totalmente russi, malinconici e melodici, pieni di assoluto lirismo, ma ricchi di quelle impennate esaltanti che sono nella tradizione di quel popolo e del suo autore.
In seconda serata, con Libertango, ormai notissimo grazie alla pubblicità (violino e pianoforte) si è arrivati alla contemporaneità di Piazzolla, ritrovato nell’apoteosi finale tributata dal numeroso pubblico al Grand Tango (una sorta di “summa maxima” di motivi del grande maestro, da Oblivion, a Adios Nonino, a Milonga del Angel) che ha chiuso le serate eseguito al violino da David Haroutunian e al pianoforte dalla coppia Fallour-Gitto.
Una piacevole sorpresa è stata l’introduzione di uno strumento insolito, la fisarmonica solista, diventata qui uno strumento prezioso e raffinatissimo da gran concerto. E non per Piazzolla, ma per autori come Voitenko (Rivelazione, struggente), Makkonen con Tango-Toccata, splendido e difficilissimo, grazie alla giovane fisarmonicista polacca Basha Slavinska, bella e brava, che avevamo ascoltato già il 27 Agosto in una serata al Centro Studi Eoliani. In terza serata ci ha salutati con la monumentale Ciaccona di Bach, scritta per violino solo e “pensata”, a mio parere, per organo. E dell’organo la Slavinska ci ha restituito tutte le sonorità e la pienezza con un “mantice” amplissimo e debilitante.
Di questa giovane esecutrice abbiamo detto. Ora parliamo degli altri, tutti di livello internazionale e dotati di curricula prestigiosi con attività che spaziano prevalentemente in Europa (ma alcuni hanno frequentazioni continue con America e Giappone): un armeno, il violinista David Haroutunian, vecchia conoscenza amatissima e ammiratissima (un grazie all’Armenia, patria di Kachaturian, che manda per il mondo maestri di tal livello); una bella e brava violinista italiana Daniela Cammarano. Intesa perfetta con Haroutunian, un sorriso, un cenno del capo, uno sguardo a Fallour al pianoforte e si concretizza l’incanto.
Oltre al gran maestro e grande “vecchio” Gerard Marie Fallour e Salvatore Gitto, milazzese, che ormai da tre anni sono presenti e finiscono per suonare sempre e meravigliosamente a quattro mani, vanno ricordati Giuseppe Russo Rossi e Sarah Chenaf alla viola e Matteo Pigato al violoncello, ottimi benché penalizzati per aver dovuto esprimere le loro qualità nell’insieme, piuttosto che in pezzi solistici non previsti quest’anno (Russo lo avevamo ascoltato l’anno scorso nell’Arpeggione di Schubert).
Gli esecutori, anche se affaticati dal caldo eccessivo e dall’afa hanno fornito ad un pubblico attento, silenzioso ed entusiasta performance di tutto rilievo che avrebbero meritato, soprattutto in seconda serata, un’affluenza più numerosa. Molti si sono lamentati per l’orario, troppo “anticipato” rispetto alle esigenze e alle abitudini dell’ambiente, ma va detto che la circostanza è stata obbligata dalla contemporaneità della manifestazione “Eolie in Classico”.
E va detto che certamente organizzatori, promotori, sponsor e Amministrazione, pubblico e comunità trarrebbero maggior vantaggio da scelte non escludenti o addirittura sinergiche, come dovrebbero e potrebbero essere.
Antonio Amico
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