Salvatore Sarpi
Lipari
Lipari
La destinazione dell’area delle ex cave di pomice di Porticello (così come di quelle di Acquacalda) è sicuramente uno dei temi più caldi a Lipari. Una futura destinazione che non può, comunque, prescindere dalla messa in sicurezza. Sulla tematica, dopo il recente dibattito che ha avuto come oggetto il Piano regolatore generale e le prospettive per l’area delle cave di pomice, interviene “La Sinistra” di Lipari, rappresentata in consiglio comunale da Pietro Lo Cascio, che ribadisce in un documento la sua posizione e puntualizza alcuni aspetti.
«Le cave di pomice – si legge – possono costituire la grande scommessa sulla quale si gioca il futuro dell’isola, la sua capacità di dotarsi di ulteriori elementi di attrazione e, soprattutto, la possibilità di intraprendere un percorso di sviluppo che possa definirsi davvero sostenibile. Ma, per tutto questo, bisogna capire a quale gioco si vuole giocare. Si continua ad evocare una presunta imprenditoria disponibile a entrare in gioco, una volta chiarite le regole (ovvero, le effettive proprietà e i limiti degli interventi). Questo interesse, tuttavia, sembra circoscritto agli immobili esistenti lungo la costa e la rotabile che attraversa l’area. Ci chiediamo però se qualcuno si stia effettivamente ponendo il problema principale: la situazione del versante di Monte Pelato, dove insisteva la cava, che si presenta in evidente stato di dissesto idrogeologico. Una situazione a dir poco drammatica: l’escavazione, condotta dapprima in regime di concessione, poi in forma assolutamente abusiva e incontrollata, ha lasciato una pesantissima eredità. Oggi è da escludere che l’azienda possa porvi rimedio attraverso la cosa più semplice che si fa nelle cave quando vengono dismesse: la messa in sicurezza. Dunque, chi dovrebbe effettuare le opere di regimentazione dei flussi delle acque piovane, quelle di contenimento delle continue frane, quelle di stabilizzazione dei versanti modellati a colpi di ruspa in ripide pareti verticali? Dubitiamo fortemente – si legge ancora – che frotte di “imprenditori” scalpitino per entrare in azione. Probabilmente questo aspetto non è stato preso in seria considerazione, oppure ci si vuole adoperare perché il “lavoro sporco” finisca per gravare su un soggetto pubblico – attraverso fondi di protezione civile, interventi straordinari o quant’altro – lasciando invece all’imprenditoria privata le gioie della conversione di vecchi stabilimenti industriali in nuovi alberghi e, se magari resta qualche soldo, anche in servizi. Riteniamo allora che abbia più senso affidare a un intervento pubblico l’intero recupero dell’area, in toto, partendo dagli onerosi orli di cava per finire ai più appetitosi edifici sul mare. La finalità di tale recupero deve essere la trasformazione dell’area in un parco geo-minerario, aperto al pubblico e gestito da un soggetto pubblico».
La tesi
«Qualsiasi operazione privatistica finirà per ritorcersi contro gli operatori economici locali che, già oggi, faticano a chiudere i bilanci di fine anno. Un’ operazione del genere – non ce ne vogliano i progettisti di un Prg che ha faticato più di vent’anni per venire alla luce – non può che essere affidata a personalità del mondo della pianificazione territoriale di fama e di visibilità internazionali, proprio perché internazionale è la vocazione di luoghi Patrimonio dell’Umanità».
Il sogno di un parco geominerario
La proposta di un Parco geo-minerario nelle cave di pomice di Lipari, è opportuno ricordarlo, è perfettamente coerente con le indicazioni fornite dall’Unesco nella sua valutazione sul sito Isole Eolie del 2007 e con quelle espresse nel Piano di gestione del sito.
«Le cave di pomice – si legge – possono costituire la grande scommessa sulla quale si gioca il futuro dell’isola, la sua capacità di dotarsi di ulteriori elementi di attrazione e, soprattutto, la possibilità di intraprendere un percorso di sviluppo che possa definirsi davvero sostenibile. Ma, per tutto questo, bisogna capire a quale gioco si vuole giocare. Si continua ad evocare una presunta imprenditoria disponibile a entrare in gioco, una volta chiarite le regole (ovvero, le effettive proprietà e i limiti degli interventi). Questo interesse, tuttavia, sembra circoscritto agli immobili esistenti lungo la costa e la rotabile che attraversa l’area. Ci chiediamo però se qualcuno si stia effettivamente ponendo il problema principale: la situazione del versante di Monte Pelato, dove insisteva la cava, che si presenta in evidente stato di dissesto idrogeologico. Una situazione a dir poco drammatica: l’escavazione, condotta dapprima in regime di concessione, poi in forma assolutamente abusiva e incontrollata, ha lasciato una pesantissima eredità. Oggi è da escludere che l’azienda possa porvi rimedio attraverso la cosa più semplice che si fa nelle cave quando vengono dismesse: la messa in sicurezza. Dunque, chi dovrebbe effettuare le opere di regimentazione dei flussi delle acque piovane, quelle di contenimento delle continue frane, quelle di stabilizzazione dei versanti modellati a colpi di ruspa in ripide pareti verticali? Dubitiamo fortemente – si legge ancora – che frotte di “imprenditori” scalpitino per entrare in azione. Probabilmente questo aspetto non è stato preso in seria considerazione, oppure ci si vuole adoperare perché il “lavoro sporco” finisca per gravare su un soggetto pubblico – attraverso fondi di protezione civile, interventi straordinari o quant’altro – lasciando invece all’imprenditoria privata le gioie della conversione di vecchi stabilimenti industriali in nuovi alberghi e, se magari resta qualche soldo, anche in servizi. Riteniamo allora che abbia più senso affidare a un intervento pubblico l’intero recupero dell’area, in toto, partendo dagli onerosi orli di cava per finire ai più appetitosi edifici sul mare. La finalità di tale recupero deve essere la trasformazione dell’area in un parco geo-minerario, aperto al pubblico e gestito da un soggetto pubblico».
La tesi
«Qualsiasi operazione privatistica finirà per ritorcersi contro gli operatori economici locali che, già oggi, faticano a chiudere i bilanci di fine anno. Un’ operazione del genere – non ce ne vogliano i progettisti di un Prg che ha faticato più di vent’anni per venire alla luce – non può che essere affidata a personalità del mondo della pianificazione territoriale di fama e di visibilità internazionali, proprio perché internazionale è la vocazione di luoghi Patrimonio dell’Umanità».
Il sogno di un parco geominerario
La proposta di un Parco geo-minerario nelle cave di pomice di Lipari, è opportuno ricordarlo, è perfettamente coerente con le indicazioni fornite dall’Unesco nella sua valutazione sul sito Isole Eolie del 2007 e con quelle espresse nel Piano di gestione del sito.
Cosa fare allora per ridare dignità ad una zona sempre più degradata e pericolosa?
La via la indica la stessa “Sinistra eoliana”: ovvero richiamare il Governo nazionale e quello regionale alle proprie responsabilità, ossia di riabilitare e restituire all’isola e ai suoi visitatori l’area delle cave. Un “patrimonio” naturalistico e di archeologia industriale (pensiamo ad un museo della pomice) che deve essere una risorsa per tutti e, nel cui contesto, la loro riqualificazione rappresenti uno straordinario potenziale per il rilancio dell’isola. «Qualcuno – come evidenzia Lo Cascio – dovrebbe sondare le disponibilità e avanzare una proposta, formalizzandola con un progetto preliminare (le cui linee guida, peraltro, esistono già). Il compito spetterebbe al Comune che, tuttavia, vediamo impegnato da tempo a blandire velleità privatistiche, piuttosto che decidersi a chiedere concretezza, tempi e risorse ai naturali interlocutori, quelli pubblici».(s.s.)
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