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martedì 11 novembre 2014

Stoccaggio di CO2 sotto i fondali marini: un metodo sicuro?. C'è un progetto...Le Eolie, prima tappa dello studio

Michele Carlino, euronews:

“E’ possibile liberarsi dell’anidride carbonica in eccesso stoccandola al di sotto dei fondali marini? Che cosa accadrebbe agli ecosistemi se questa tecnica venisse generalizzata? Tra Mediterraneo e Mare del Nord un progetto di ricerca europeo punta a rispondere a queste domande”.
Prima tappa le isole Eolie, in Italia, per i ricercatori che studiano la cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica, una metodologia considerata utile da una parte degli scienziati per ridurre le emissioni di gas a effetto serra responsabili del surriscaldamento globale.
Klaus Wallman, geologo presso GEOMAR, centro di ricerca Helmholtz sugli oceani a Kiel, in Germania, e coordinatore del progetto Eco2: “L’idea è evitare che l’anidride carbonica generata da centrali elettriche a carbone e da altre strutture raggiunga l’atmosfera alimentando i cambiamenti climatici. Quindi la separiamo per immagazzinarla sottoterra in formazioni geologiche. Su terraferma o al largo. In Europa ci sono migliori possibilità di stoccarla sotto il fondale marino”.
Alle isole Eolie gli scienziati vogliono capire cosa accade quando le fuoriuscite di anidride carbonica si disperdono in mare. In questo arcipelago di origine vulcanica esistono depositi naturali di CO2.
Cinzia De Vittor, biologa marina presso l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste e membro del progetto Eco2: “Siamo in presenza di organismi adattati da lungo tempo a questa situazione, cioè un’area in cui la CO2 fuoriesce naturalmente, un’area in cui quindi il PH è normalmente più basso di quello che siamo abituati a registrare in altre aree”.
Per poter analizzare la dinamica del gas è fondamentale osservare il comportamento delle innumerevoli bolle che si sollevano dal fondale marino. I ricercatori devono immergersi con strumenti specifici.
Lisa Vielstädte, biologa marina presso GEOMAR: “Abbiamo sviluppato una dispositivo per misurare le dimensioni delle bolle retroilluminandole. Ci serve per capire la velocità di risalita e per testare i nostri modelli numerici”.
Un altro metodo per rendere visibile l’anidride carbonica è osservare la dinamica del PH nell’ambiente marino. Lo studio del movimento del flusso permette di approfondire il monitoraggio delle fuoriuscite e la previsione della dispersione.
Marius Dewar, ingegnere meccanico all’Università Heriott-Watt e membro del progetto Eco2: “L’anidride carbonica disciolta provoca un cambiamento del PH. Noi osserviamo come il PH si modifica nel corso delle stagioni, vogliamo capire quali sono i posti migliori nei quali possa essere individuato”.
Michele Carlino, euronews: “Per analizzare il comportamento dei gas negli abissi marini, la ricerca usa tecnologie messe a punto per l’occasione”.
Diversamente da quanto accade alle Eolie con lo stoccaggio e le fuoriuscite naturali di CO2, nel Mare del Nord, dove questa tecnologia esiste da anni, i ricercatori devono simulare le fuoriuscite di anidride carbonica.
Peter Linke, biologo presso GEOMAR: “Abbiamo fatto trapelare dalla macchina una quantità limitata di CO2. Poi l’abbiamo ispezionata con i nostri sensori e abbiamo cercato di seguire la sua impronta nell’acqua. E’ estremamente importante per incorporare questi dati nei nostri modelli, per poter fare previsioni”.
Le stesse condizioni fisiche del Mare del Nord vengono ricreate in laboratorio. A Kiel, in Germania, gli scienziati hanno l’obiettivo di definire un modello digitale che si possa utilizzare sulla scala più piccola fino alla più ampia.
Matthias Haeckel, Geochimico presso GEOMAR: “Esaminiamo quali reazioni registra l’anidride carbonica quando risale. Il passo successivo riguarda la granulometria, si esamina come la CO2 si muove attraverso i pori dei sedimenti. Abbiamo bisogno di capire come tutto questo funzioni macroscopicamente, ad esempio su una scala di diverse decine o centinaia di litri. Da questi esperimenti e da diverse scale ricaviamo informazioni da tradurre in formule matematiche”.
Un metodo che genera dubbi tra gli ambientalisti, timorosi che così si eviti di rinunciare alle fonti fossili.

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