Gli scavi e i rilievi subacquei continuarono nei mesi successivi, ma la svolta nelle indagini sulla possibile presenza di strutture portuali nella zona avvenne grazie ad un rilievo idrografico eseguito nell’ambito di un progetto multidisciplinare finanziato dalla Protezione Civile e diretto dall’INGV, in collaborazione con IGAG-CNR (Alessandro Bosman) e Università Sapienza di Roma (Daniele Casalbore). Il rilievo, rivolto allo studio dei rapporti tra attività vulcanica e tettonica, comprendeva una mappatura ad alta risoluzione dei fondali circostanti Lipari. Questo venne eseguito con un sofisticato ecoscandaglio multifascio, montato sulla imbarcazione Big One dell’INGV, appositamente trasportata da La Spezia fino a Lipari.
Il Big One venne trasformato per l’occasione in un piccolo laboratorio galleggiante pieno di costose strumentazioni Hi-Tech, dove si muovevano agilmente un pilota e tre-quattro ricercatori.
Mano a mano che il rilievo procedeva, i monitor collegati ai computer che analizzavano i dati da complessi strumenti misero in luce un grande molo lungo 160 m e largo 60 m, parzialmente sepolto da sedimenti.
Il molo, con caratteristiche costruttive tipiche dell’epoca romana, si raccordava sulla costa proprio con il porticato individuato da Sebastiano.
Come mai i romani costruirono questo grande molo a Lipari? Perché è stato sommerso dal mare? Perché si è persa la memoria di questa imponente struttura?
Questo è stato il filo conduttore delle discussioni con Sebastiano Tusa e Roberto La Rocca, della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana, a cui abbiamo provato a dare risposta con lo studio multidisciplinare New insights on the subsidence of Lipari island (Aeolian islands, southern Italy) from the submerged Roman age pier at Marina Lunga,pubblicato nel 2016 sulla rivista Quaternary International.
Le mappe tridimensionali ad altissima risoluzione del fondale e la interpretazione archeologica hanno guidato le immersioni sottomarine organizzate da Francesco Spaggiari, subacqueo del Global Underwater Explorers (GUE), che tuttora svolge un ruolo fondamentale nei ritrovamenti, mappatura e recupero di resti archeologici sottomarini per la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana. Dai rilievi è stato possibile osservare e misurare nel dettaglio le caratteristiche del molo e del porticato e anche individuare gli elementi costruttivi indicatori del livello marino al tempo in cui il molo era in funzione. Il molo presenta ancora i resti dei tipici anelli di ormeggio in pietra e tratti di pavimentazione, ancora in ottimo stato di conservazione. Il porticato è invece costituito di più livelli, su cui sono stati rinvenuti numerosi capitelli di colonne, anche ribaltati.
Dall’analisi della morfologia del fondale, dalle caratteristiche costruttive del molo e del porticato, è stato possibile individuare la costa di epoca romana, oggi posta alla profondità di circa 13 m da cui è stata desunta una sommersione del molo di 12.3 m. L’analisi stratigrafica dei sedimenti che coprivano il molo ha permesso di indicare l’età della frequentazione attraverso la datazione archeologica di resti ceramici.
Per calcolare la velocità di subsidenza (cioè la lenta flessione verso il basso della superficie terrestre per cause naturali o antropiche), abbiamo utilizzato particolari elementi costruttivi del molo che erano in relazione con il livello del mare al tempo del funzionamento del porto (ad esempio la pavimentazione della superficie del molo, i possibili punti di ormeggio, ecc.) ma che oggi sono sommersi. Ciò in modo di calcolare l’aumento locale del livello nel tempo. Il risultato è stato che il porto si è inabissato alla velocità media di circa 5.79 mm all’anno durante gli ultimi 2000 anni. Per lo stesso periodo, sappiamo da altri studi che il livello marino nel Mediterraneo nella zona delle Eolie è aumentato di circa 1 m per cause climatiche (aumento eustatico, cioè di acqua proveniente principalmente dallo scioglimento dei ghiacci continentali e movimenti isostatici della terra solida).
Dalla differenza tra la variazione di livello marino indicata dal molo (quanto è stato sommerso) e l’aumento di livello marino già noto per cause climatiche, abbiamo quindi potuto calcolare i diversi contributi che hanno concorso alla sommersione del molo, stimando l’entità della subsidenza causata dal movimento vulcano-tettonico, principale responsabile “dell’affondamento” del molo, avvenuta alla velocità media di 5.17 mm all’anno durante gli ultimi 2100 anni circa (età del molo). Sono quindi i movimenti vulcano-tettonici la causa principale della sommersione del molo. Infine, a partire dai valori di subsidenza e della ricostruzione nel tempo dell’aumento di livello marino (ultimi 20.000 anni), è stato possibile ipotizzare il momento in cui il molo è diventato inutilizzabile in quanto ormai sommerso: il IV secolo dopo Cristo. Questo periodo sembra essere in accordo con la datazione di alcune ceramiche ritrovate all’interno dei sedimenti che coprono il molo.
L’insieme di questi dati, ha permesso di ipotizzare che il molo cessò di funzionare intorno al IV secolo d.C. con la conseguente perdita di un importante scalo portuale a Lipari. Nei secoli successivi, i movimenti subsidenti (forse intervallati da episodi di sollevamento per attività vulcanica) e il continuo aumento del livello marino indotto dal riscaldamento climatico porteranno il molo e il porticato a sempre maggiori profondità, cancellandone il ricordo.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.