L'acuto intervento di Michele
Giacomantonio riguardo la pessima qualità del nostro turismo, mette in luce
l'aspetto più desolante di quanto è avvenuto negli ultimi anni nelle Isole
Eolie. La vera attrattiva del nostro territorio, il motivo di fondo che attraeva,
ed in parte ancora continua ad attrarre qualcuno, è il bello. La bellezza
circonda, invade, attraversa, permea ogni singolo centimetro quadrato del
nostro territorio. Comprende l'ambiente, la natura, l'architettura, la storia,
la tradizione. Siamo circondati dal bello anche perché è stato coltivato nei
secoli come ingrediente indispensabile per la vita dell'intera comunità.
Persino in periodi di povertà estrema, la bellezza è stata preservata perché
riconosciuta quale elemento costitutivo della nostra identità di popolo.
Bisogna riconoscere che spesso non si trattava di una scelta deliberata, ma del
perpetuarsi di un'attenzione tramandata di generazione in generazione.
Questa attenzione verso il
bello è andata progressivamente perduta man mano che si è affermato il turismo
di massa. Il bello è stato sostituito dall'utile, spesso sacrificato per sempre
in nome dell'utile. Con la giustificazione dell'utile è stata stravolta
Vulcano, distrutta gran parte dell'architettura contadina di Lipari, devastate
le spiagge, mortificato Sottomonastero, sfregiata Marina Corta.
L'urbanizzazione selvaggia e caotica ha modificato irreversibilmente alcuni dei
luoghi più belli del Mediterraneo. In parte lo stesso è avvenuto anche nelle
altre isole, ma in misura minore, proprio perché la bellezza ha resistito come
patrimonio da preservare. Temo, però, che man mano che l'utile avrà la meglio
sul bello, le aggressioni alla bellezza s'intensificheranno anche nelle isole
fino ad oggi più tutelate.
L'utile ha sostituito il bello
spalancando le porte al brutto. La paura di perdere il tenore di vita che nel
corso di lunghi duri anni avevamo conquistato ci ha esposto irrimediabilmente
al dilagare della bruttezza. La giustificazione è stata la necessità, ma invece
che preservare il patrimonio l'abbiamo dilapidato. L'abbiamo sperperato con
comportamenti irrispettosi verso il territorio, lanciandoci in intraprese di
sviluppo scoordinate e inadeguate, alimentate dall'illusione che il turismo non
dovesse conoscere mai crisi e nessun errore fosse irrimediabile. Così abbiamo
aperto le porte al brutto, a quel brutto che prima trattavamo con neppure tanto
dissimulato disprezzo. Quel brutto che solo dieci anni fa non sopportavamo e
che tenevamo con tenacia lontano da noi, adesso lo cerchiamo, lo desideriamo,
ci affidiamo ad esso quale ultima risorsa. È il brutto che ad ondate arriva con
i barconi, l'orda di ragazzini che diventa padrone delle notti, il turista che
urina nei vicoli, che mangia per strada, che dorme sul porto in attesa del primo
aliscafo del mattino che lo riporti a
casa.
Il brutto attrae il brutto e si
alimenta di bruttezza e di volgarità. Così la rincorsa alla volgarità non
risparmia i nostri negozi e gran parte delle attività commerciali. La bellezza
delle nostre strade e delle nostre piazze si arrende alla presunta utilità di
stendere centinaia di tavoli, ombrelloni, appendini per abiti, bancarelle di
ogni specie, venditori di gite e serate in discoteca con annessa
cartellonistica mobile. La bellezza della musica si trasforma in tortura, non
solo per il volume o la qualità dei suonatori, ma perché troppe orchestrine che
suonano contemporaneamente a distanza di qualche metro producono solo
insopportabile rumore.
Ci si chiede dunque se un altro
turismo sia possibile, visto che con questo non si può sperare di continuare
per molto. La risposta sta nella volontà e capacità di riconvertirsi alla
bellezza, magari cominciando a rinunciare a quelle comodità e privilegi che non
possiamo più permetterci. Una sorta di rieducazione alla bellezza che
intimidisca il brutto e lo costringa in quegli ambiti ed in quelle località di
provenienza alle quali fin troppo stiamo cominciando a somigliare.
Lino Natoli
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