Oggi 3 agosto , alle 19,00 al Centro Studi, si terrà la presentazione del volume di Pino La Greca “Passolina, uva passa e malvasia. l’economia vitivinicola delle Eolie” .
Questa la presentazione
di Danilo Baroncini del lavoro di La Greca
Non c’erano i frigoriferi e i trasporti si svolgevano lentamente, così gli umani inventarono l’essiccazione per conservare
o far arrivare a destinazione sani e attraenti, i legumi, gli ortaggi, le erbe aromatiche, alcuni tipi di pesce, i cereali,
il pane (“pani caliatu” nelle Eolie), i capperi, la frutta e tantissimi altri prodotti. Nelle isole Eolie questa pratica ebbe grande diffusione e in certi periodi divenne una delle principali fonti di reddito, soprattutto per quanto riguarda le uve.
Prima ancora del successo della “Malvasia delle Lipari”, che ormai è un vino prestigioso conosciuto in varie parti del mondo, nelle Eolie si producevano ed esportavano imponenti quantità di uva passa e passolina. La passolina è l’uvetta di Corinto, quella che assomiglia ad un grano di pepe nero; nel passato usata in cucina specialmente con i cibi salati. L’uva passa si ricava da altri tipi di uva: chiara, sprovvista di semi come l’uvetta di Corinto e con acini più voluminosi.
A Stromboli, secondo uno scritto del 1832, almeno 1.500 persone vivevano dei prodotti delle vigne. Secondo un altro documento dell’epoca, nelle Lipari si producevano mediamente 350.000 kg. di passolina all’anno. E nel 1800 partirono 16.000 barili pieni di passolina e uva passa!
Naturalmente la fatica a cui dovevano sottoporsi gli isolani era notevole: per la sua particolare delicatezza, l’uva che cresceva in vigneti allevati sui terrazzamenti delle montagne eoliane veniva accomodata in cesti e trasportata a spalla. La presenza delle vigne nelle Eolie viene da lontano. A Filicudi gli archeologi hanno trovato nel villaggio di Filo Braccio vinaccioli combusti (semi) che dovrebbero risalire al 2300 – 1700 a.C., mentre a Salina la presenza dell’uva, nel villaggio di Portella, sarebbe datata fra il 1500 e il 1300 a.C. Si tratta dei resti più antichi della coltivazione della vite trovati in Italia!
Anche l’esportazione ha origini lontane: forse già al tempo dei Romani e nel Medio Evo, ma sicuramente nel XVII secolo, le uve appassite delle Lipari arrivavano a Londra, dove per gli abitanti della City rappresentavano un prodotto di gran lusso.
Una frenata delle esportazioni arriva negli anni ’30 dell’Ottocento quando il colera, malattia endemica dell’India, raggiunge l’Europa provocando nella sola Sicilia 150.000 morti. Anche la passolina e l’uva passa devono essere sottoposte a trattamenti: spurgate e in qualche caso addirittura trattenute nel lazzaretto di Messina.
Dopo il disastro provocato dal colera le esportazioni riprendono abbastanza velocemente e nel 1850 dalla dogana di 10 Passolina, uva passa e malvasia Messina vengono spediti all’estero 903.229 kg di passolina. Certo, non tutta proveniva dalle Eolie, ma sicuramente gli affari andavano bene anche per gli isolani.
Il mercato si espande: le passoline eoliane arrivano al porto di Trieste e da qui raggiungono la Germania e addirittura la Russia. Ed è proprio in quegli anni che anche le Americhe cominciano ad interessarsi alle uve coltivate e appassite nelle Eolie.
Contribuiva al benessere isolano anche il vino che oggi chiamiamo “Malvasia delle Lipari” ma, secondo un documento del 1843, la vendita annua non superava le 300 botti.
Non si sa con precisione quando l’uva Malvasia sia approdata alle Eolie. Purtroppo la documentazione del suo arrivo si è persa negli incendi provocati l’11 luglio del 1544 da Barbarossa in occasione della conquista di Lipari. Conquista che oltre alla distruzione dell’abitato ebbe come conseguenza lo spopolamento dell’isola, perché il Barbarossa portò con sé più di ottomila prigionieri di ogni sesso ed età e li rese schiavi.
Anche se in passato non è stata al centro dell’economia eoliana la Malvasia ha sempre fatto parte delle attrazioni isolane. Sono molti i viaggiatori che ne parlano nei loro resoconti. Il naturalista Lazzaro Spallanzani nel 1788 l’aveva descritta con queste parole: “vino d’uno schietto color d’ambra, generoso e soave, che inonda e conforta la bocca d’una amabile fragranza”.
Purtroppo alla fine dell’Ottocento arriva la fillossera, un insetto che attacca le radici delle viti europee. Proviene dal Nordamerica ed appare in Francia nel 1863. In Italia le prime infezioni si scoprono nel 1879, nelle Eolie probabilmente intorno al 1891-2.
La fillossera distrusse tutti, o quasi, i vigneti delle sette isole e provocò l’emigrazione di migliaia di eoliani verso l’Australia, l’Argentina, gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda, spopolando di nuovo l’arcipelago. La viticoltura langue per alcuni decenni e per una vera ripresa bisogna aspettare gli anni Settanta del secolo scorso. Questa volta protagonista è la Malvasia. Un’uva che viene messa ad appassire al sole per alcuni giorni, ma poi diventa vino. Un vino per il quale nasce il Disciplinare di Produzione della “Malvasia delle Lipari D.O.C.”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 gennaio 1974.
Questo e molto altro ho imparato leggendo il testo di Giuseppe La Greca e la prefazione di Pietro Lo Cascio. A voi la lettura!
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