“Educare alla vita
buona del Vangelo” – scrivono i vescovi nel messaggio per la 16.a Giornata
Mondiale della vita consacrata - implica
certamente l’educare alla vita santa di Gesù”. E’ proprio della vita consacrata
riproporre la forma di vita che Gesù ha abbracciato e offerto ai discepoli che
lo seguivano.
E questo ha fatto Florenzia nella sua lunga vita: riproporre
la forma di vita di Gesù. Ma come? Ed è
ancora attuale la proposta di Florenzia ormai a 56 anni dalla sua morte?
Tutti certamente sappiamo di Florenzia non foss’altro perché c’è il suo
Istituto e le sue suore a ricordarcelo ma probabilmente pochi sanno qual è la
sua proposta di vita e come questa non solo continui ad essere attuale ma forse
oggi lo sia ancora di più che nel passato.
Vorrei parlare della proposta di Florenzia in un percorso
che si articola in tre fasi: Florenzia e la vita quotidiana, Florenzia e la
vita spirituale, Florenzia e la santità.
Florenzia e la vita
quotidiana
Florenzia fu una suora ma non scelse il convento. Formò una
comunità religiosa, volle che condividesse l’esperienza quotidiana della gente
comune, si mise al servizio degli ultimi e dei più bisognosi. Creò una comunità
religiosa cioè volle fondare una scuola di fraternità impegnando le sue figlie
alla formazione permanente alle virtù evangeliche: umiltà, accoglienza dei
piccoli e dei poveri, correzione fraterna, preghiera comune, perdono reciproco,
condividendo la fede, l’affetto e i beni materiali”( Messaggio per la 16.a
Giornata mondiale della vita consacrata). Una esperienza forte per chi vi fa
parte, una profezia per il resto del mondo.
Questa comunità religiosa doveva e deve condividere
l’esperienza della gente comune a cominciare dal lavoro e dalle relazioni
sociali, ma con uno stile di vita tutto particolare ispirato alla povertà
evangelica e cioè “all’insegna dell’essenzialità, della gratuità,
dell’ospitalità, superando le derive dell’omologazione e del consumismo”
(Messaggio…).
Ancora, il servizio agli ultimi è rivolto allo sviluppo
armonioso delle persone sia nelle opere assistenziali (Florenzia si dedicò agli
orfanotrofi, ai mendicicomi, alla promozione umana e culturale delle
periferie…), sia negli ospedali, sia nell’attività scolastica. Prima tentando
di dare una risposta ai bisogni più immediati per combattere l’abbrutimento e
risvegliare i tratti dell’umanità che spesso venivano sopraffatti dalla
miseria; poi – soprattutto a contatto con le grandi città – scoprendo che oltre
alle povertà materiali esistono anche le povertà morali e che anche i figli
della borghesia hanno bisogno di una educazione che permetta loro di crescere
in umanità. Ed è questa consapevolezza matura che caratterizza oggi l’Istituto
dall’Italia al Brasile, al Perù.
Florenzia e la vita
spirituale
Florenzia può sviluppare una forte opera caritativa che
procede anche nei momenti di maggiore difficoltà perché quest’opera è
alimentata da una spiritualità profonda ed intensa. Di questa spiritualità vorrei cogliere
soprattutto quattro aspetti.
Il primo aspetto è la preghiera: una preghiera radicata nel
silenzio un silenzio vero che è tale – usava dire – “solo quando l’anima si
incontra con Dio”. Preghiera e silenzio formano in Florenzia un binomio
inscindibile perché aveva capito che la preghiera era dialogo, conversazione.
Era lode, intercessione, supplica ma anche ascolto. E Gesù e la Madonna spesso
rispondevano a Florenzia. Ed è certamente questa confidenza che diede alla madre
quella grande forza per affrontare e superare le difficoltà e le avversità.
Alla preghiera si appoggiava – ricordava suor Gemma che
le fu compagna fin dai primi anni – “nella furiosa procella che sembrava scaraventare tutta la sua opera nel
profondo del mare”
E di fronte alle difficoltà ed alle avversità Florenzia
comprende fino in fondo la grande lezione di Francesco sulla
“perfetta letizia” che è la vera conversione, cioè il passaggio dal proprio
“io” come centro della propria esistenza all’abbandono a Dio facendo di lui il
centro vero ed unico. Ed è questo il secondo aspetto.
Ma che cosa vuol dire “abbandono a Dio” se non percorrerlo
nella sequela di Cristo dal Presepe, alla crocefissione, al farsi Eucaristia.
Questa è la prima concretizzazione della conversione ed il terzo aspetto della
sua spiritualità.
Ed infine il quarto aspetto: la concretizzazione nell’altro,
nel povero, nel sofferente, nel bisognoso. Alle suore missionarie in Brasile
che erano andate a prestare la loro opera negli ospedali scriveva: “Come
sarebbe bello se in uno dei tanti ammalati trovereste Gesù in persona. Ma se
non Lo trovate visibile, Lo troverete sempre invisibile. Quindi quando
avvicinate l’ammalato andate con quel pensiero che vedete Gesù”. E per
Florenzia divennero Gesù i bambini abbandonati e bisognosi, le giovani
universitarie da ospitare, le anziane, gli ammalati, “quanti non trovavano
sulla terra l’atmosfera della pace
cristiana e la fortezza serafica”.
Florenzia e la
santità
Ha scritto il card. Martini commentando quanto la Lumen
Gentiun dice a proposito del fatto che
tutti siamo chiamati ad essere santi: “Oggi nella Chiesa la santità che ci si
presenta è come ogni santità eroica, qualcosa di straordinario ma insieme
semplice: un eroismo semplice, una normalità esemplare, una sublimità a noi
vicina, una santità popolare.
In qualche modo la santità ci appare come
il ponte che collega il “già” ed il “non ancora” del regno di Dio.
Gesù “ interrogato dai farisei
“Quando verrà il regno di Dio?”, rispose. “il regno di Dio, non viene in modo
da attirare l’attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui, eccolo là.. Perché il
regno di Dio è in mezzo a voi!””.(Lc. 17, 20-25).
Si tratta di usare il
discernimento per individuarne i semi di questo regno – e cioè tutti i segmenti
di amore, di carità di solidarietà sparsi nel mondo - ed aiutarli a crescere (
Mt 13, 31-32) come accade al lievito che è una piccola parte della farina ma fa
lievitare tutta la pasta (Mt. 13, 33).
Il pane è ben diverso dalla
farina, ha subìto una profonda trasformazione. E così, potremmo dire, dei
granelli di senapa che diventano piante. E forse lo stesso potremmo dire degli
spezzoni di amore presenti nel mondo che proprio grazie alla loro
trasfigurazione, cioè attraverso la santificazione di chi li impersona, diventano
il “non ancora”. In questo senso parliamo della santità come ponte nella
costruzione del regno.
Di
questa santità popolare, vissuta nel quotidiano, Florenzia fu un caso esemplare.
Ad una
suora che le chiede come farsi santa Florenzia risponde con humor. ”Le sue
parole molto gradite al mio cuore mi spronano ad una risposta. Ma che risposta
posso darle io poverella e figlia di poverello? Ripeto le stesse sue parole:
tra pentole e pentolini vi è la sua santità. Quando accende il fuoco si ricordi
dell’inferno e del purgatorio e così il suo lavoro sarà tra meditazione e
lavoro tutto per Gesù.Cosa vuole di più? Si faccia santa e preghi per me”.
Una “piccola
via” potremmo dire. Ma questa piccola via vissuta nella quotidianità non sempre
e non necessariamente è banale, anzi qualche volta giunge a richiedere un
eroismo molto prossimo a quello dei martiri.
“La sicurezza che la sua missione nella Chiesa
era voluta da Dio – ha scritto di Florenzia suor Gemma -, le fece sostenere con
animo virile le incomprensioni, le defezioni, gli scontri, specialmente con le
autorità ecclesiastiche. Queste lotte scalfirono la sua fibra fisica, ma la sua
fede affondava in più salde radici. Giustamente fu definita “la roccia”…Fidò
nella Divina Provvidenza anche quando la Comunità versava in difficoltà finanziarie.
Quante volte si mancava anche del necessario, ed essa soleva dire che Dio aveva
promesso a S. Francesco: “Anche se tutto il mondo avesse un solo pane, metà
sarebbe dei suoi figli”.
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