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sabato 23 giugno 2018

Florenzia e la santità nel quotidiano, una testimone della luce. (di Michele Giacomantonio)


Gesù “luce che illumina le genti” (Lc. 2,22)
Educare alla vita buona del Vangelo” – scrivono i vescovi nel messaggio per la 16.a Giornata Mondiale della vita consacrata -  implica certamente l’educare alla vita santa di Gesù”. E’ proprio della vita consacrata riproporre la forma di vita che Gesù ha abbracciato e offerto ai discepoli che lo seguivano.
E questo ha fatto Florenzia nella sua lunga vita: riproporre la forma di vita di Gesù. Ma come? Ed è  ancora attuale la proposta di Florenzia ormai a 56 anni dalla sua morte? Tutti certamente sappiamo di Florenzia non foss’altro perché c’è il suo Istituto e le sue suore a ricordarcelo ma probabilmente pochi sanno qual è la sua proposta di vita e come questa non solo continui ad essere attuale ma forse oggi lo sia ancora di più che nel passato.
Vorrei parlare della proposta di Florenzia in un percorso che si articola in tre fasi: Florenzia e la vita quotidiana, Florenzia e la vita spirituale, Florenzia e la santità.

Florenzia e la vita quotidiana

Florenzia fu una suora ma non scelse il convento. Formò una comunità religiosa, volle che condividesse l’esperienza quotidiana della gente comune, si mise al servizio degli ultimi e dei più bisognosi. Creò una comunità religiosa cioè volle fondare una scuola di fraternità impegnando le sue figlie alla formazione permanente alle virtù evangeliche: umiltà, accoglienza dei piccoli e dei poveri, correzione fraterna, preghiera comune, perdono reciproco, condividendo la fede, l’affetto e i beni materiali”( Messaggio per la 16.a Giornata mondiale della vita consacrata). Una esperienza forte per chi vi fa parte, una profezia per il resto del mondo.
Questa comunità religiosa doveva e deve condividere l’esperienza della gente comune a cominciare dal lavoro e dalle relazioni sociali, ma con uno stile di vita tutto particolare ispirato alla povertà evangelica e cioè “all’insegna dell’essenzialità, della gratuità, dell’ospitalità, superando le derive dell’omologazione e del consumismo” (Messaggio…).
Ancora, il servizio agli ultimi è rivolto allo sviluppo armonioso delle persone sia nelle opere assistenziali (Florenzia si dedicò agli orfanotrofi, ai mendicicomi, alla promozione umana e culturale delle periferie…), sia negli ospedali, sia nell’attività scolastica. Prima tentando di dare una risposta ai bisogni più immediati per combattere l’abbrutimento e risvegliare i tratti dell’umanità che spesso venivano sopraffatti dalla miseria; poi – soprattutto a contatto con le grandi città – scoprendo che oltre alle povertà materiali esistono anche le povertà morali e che anche i figli della borghesia hanno bisogno di una educazione che permetta loro di crescere in umanità. Ed è questa consapevolezza matura che caratterizza oggi l’Istituto dall’Italia al Brasile, al Perù.

Florenzia e la vita spirituale

Florenzia può sviluppare una forte opera caritativa che procede anche nei momenti di maggiore difficoltà perché quest’opera è alimentata da una spiritualità profonda ed intensa.  Di questa spiritualità vorrei cogliere soprattutto quattro aspetti.
Il primo aspetto è la preghiera: una preghiera radicata nel silenzio un silenzio vero che è tale – usava dire – “solo quando l’anima si incontra con Dio”. Preghiera e silenzio formano in Florenzia un binomio inscindibile perché aveva capito che la preghiera era dialogo, conversazione. Era lode, intercessione, supplica ma anche ascolto. E Gesù e la Madonna spesso rispondevano a Florenzia. Ed è certamente questa confidenza che diede alla madre quella grande forza per affrontare e superare le difficoltà e le avversità. Alla preghiera si appoggiava – ricordava suor Gemma che le fu compagna fin dai primi anni – “nella furiosa procella che  sembrava scaraventare tutta la sua opera nel profondo del mare”
E di fronte alle difficoltà ed alle avversità Florenzia comprende fino in fondo la grande lezione di Francesco sulla “perfetta letizia” che è la vera conversione, cioè il passaggio dal proprio “io” come centro della propria esistenza all’abbandono a Dio facendo di lui il centro vero ed unico. Ed è questo il secondo aspetto.
Ma che cosa vuol dire “abbandono a Dio” se non percorrerlo nella sequela di Cristo dal Presepe, alla crocefissione, al farsi Eucaristia. Questa è la prima concretizzazione della conversione ed il terzo aspetto della sua spiritualità.
Ed infine il quarto aspetto: la concretizzazione nell’altro, nel povero, nel sofferente, nel bisognoso. Alle suore missionarie in Brasile che erano andate a prestare la loro opera negli ospedali scriveva: “Come sarebbe bello se in uno dei tanti ammalati trovereste Gesù in persona. Ma se non Lo trovate visibile, Lo troverete sempre invisibile. Quindi quando avvicinate l’ammalato andate con quel pensiero che vedete Gesù”. E per Florenzia divennero Gesù i bambini abbandonati e bisognosi, le giovani universitarie da ospitare, le anziane, gli ammalati, “quanti non trovavano sulla terra l’atmosfera della  pace cristiana e la fortezza serafica”.

Florenzia e la santità

Ha scritto il card. Martini commentando quanto la Lumen Gentiun dice a proposito  del fatto che tutti siamo chiamati ad essere santi: “Oggi nella Chiesa la santità che ci si presenta è come ogni santità eroica, qualcosa di straordinario ma insieme semplice: un eroismo semplice, una normalità esemplare, una sublimità a noi vicina, una santità popolare.
In qualche modo la santità ci appare come il ponte che collega il “già” ed il “non ancora” del regno di Dio.
Gesù “ interrogato dai farisei “Quando verrà il regno di Dio?”, rispose. “il regno di Dio, non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui, eccolo là.. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!””.(Lc. 17, 20-25).
Si tratta di usare il discernimento per individuarne i semi di questo regno – e cioè tutti i segmenti di amore, di carità di solidarietà sparsi nel mondo - ed aiutarli a crescere ( Mt 13, 31-32) come accade al lievito che è una piccola parte della farina ma fa lievitare tutta la pasta (Mt. 13, 33).
Il pane è ben diverso dalla farina, ha subìto una profonda trasformazione. E così, potremmo dire, dei granelli di senapa che diventano piante. E forse lo stesso potremmo dire degli spezzoni di amore presenti nel mondo che proprio grazie alla loro trasfigurazione, cioè attraverso la santificazione di chi li impersona, diventano il “non ancora”. In questo senso parliamo della santità come ponte nella costruzione del regno.
Di questa santità popolare, vissuta nel quotidiano, Florenzia fu un  caso esemplare.
Ad una suora che le chiede come farsi santa Florenzia risponde con humor. ”Le sue parole molto gradite al mio cuore mi spronano ad una risposta. Ma che risposta posso darle io poverella e figlia di poverello? Ripeto le stesse sue parole: tra pentole e pentolini vi è la sua santità. Quando accende il fuoco si ricordi dell’inferno e del purgatorio e così il suo lavoro sarà tra meditazione e lavoro tutto per Gesù.Cosa vuole di più? Si faccia santa e preghi per me”.
Una “piccola via” potremmo dire. Ma questa piccola via vissuta nella quotidianità non sempre e non necessariamente è banale, anzi qualche volta giunge a richiedere un eroismo molto prossimo a quello dei martiri.
 “La sicurezza che la sua missione nella Chiesa era voluta da Dio – ha scritto di Florenzia suor Gemma -, le fece sostenere con animo virile le incomprensioni, le defezioni, gli scontri, specialmente con le autorità ecclesiastiche. Queste lotte scalfirono la sua fibra fisica, ma la sua fede affondava in più salde radici. Giustamente fu definita “la roccia”…Fidò nella Divina Provvidenza anche quando la Comunità versava in difficoltà finanziarie. Quante volte si mancava anche del necessario, ed essa soleva dire che Dio aveva promesso a S. Francesco: “Anche se tutto il mondo avesse un solo pane, metà sarebbe dei suoi figli”.

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