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lunedì 3 novembre 2025

"Novecento": Rubrica settimanale a cura di Pino La Greca. Oggi:1911 - 1912 Cronache Coatte

 1911 - 1912

Cronache Coatte

Riportiamo alcuni episodi di cronaca che riguardano i coatti e tratti dal mensile “La Voce della Patria”, pubblicato a Lipari fra il 1911 ed il 1912 e inseriti nel volume “La Lunga notte di Lipari” di Giuseppe La Greca, edizioni del Centro Studi Eoliano, 2010.

27 agosto 1911 Epidemia a Stromboli
Si conclude l’epidemia di gastro-enterite acuta che si era sviluppa a partire dalla dalla metà del mese di luglio, in contrada S. Bartolo, nell’isola di Stromboli e successivamente allargatosi a tutto il centro abitato. Grande fu l’allarme appena il dottore Renda avvertì la popolazione che si trattava di una malattia contagiosa. “Quasi tutti si chiusero in casa e nessuno, e a nessuno prezzo volle coadiuvarlo nelle norme profilattiche per circoscrivere il morbo. “  I soccorritori giunti da Lipari e da Messina, come scrivono i giornali del tempo; furono, nonostante disagi e fatiche, costretti a dormire per terra sulla spiaggia, perché da tutti sfuggiti e scacciati. Aiutarono il dottore Renda facendo con abilità da infermieri e becchini. Nell’isola furono realizzate cinque baracche in legno destinate a lazzaretto e locale di isolamento. Complessivamente i colpiti furono 14, 11  i morti. Due dei cadaveri furono seppelliti alla “Sciara del fuoco” e gli altri nove nella località chiamata “Fruntuna”. Scrive un quotidiano liparoto del tempo: “Si ritiene che il germe del morbo sia stato importato a Stromboli da un giovanotto, certo Cincotta Vincenzo, perché la prima ad essere colpita fu una sua parente. Egli trovavasi a bordo alla goletta Concettina che proveniva da Palermo quando vi morì un marinaio di gastroenterite acuta e fu poi seppellito a Lipari al Monte Rosa.”


Ben dato!

L’imprudenza, non dirò di alcun esc coatti, ma proprio di coatti in servizio attivo, oltrepassa i limiti della sopportazione. Il giorno 12 settembre l’egregio giovane Natoli Michele, che dall’America è venuto per rivedere il natio loco, trovatosi in piazza Ugo Di Sant’Onofrio, ad un certo punto vide che il coatto, cameriere della trattoria della discesa Garibaldi, guardandolo sputava verso la sua persona. Egli allora con flemma e freddezza americana, gli assesta un pugno tale, così di scuola, da mandare a ruzzoloni l’impudente. Tutti dapprima se ne meravigliarono, ma egli raccontò i precedenti e tutti poi furono d’accordo nel lodarlo. Un giorno il Natoli si presentò alla trattoria, ordinò del pollo e della malvasia. Chiesto il conto, il coatto, come cameriere disse che veniva due lire. Egli se ne meravigliò, perché non aveva mangiato altro che un pezzettino di pollo e bevuto un sol bicchiere di malvasia. Fece le sue lagnanze, e la padrona rispose: “lei è stato in America, ha soldi e può pagare”. Il Natoli si dolse di questo atto di camorra e disse che non sarebbe mai più tornato a farsi pelare. La cosa finì li, ma l’indomani trovandosi il Natoli seduto fuori la porta del tabacchino Biancheri, il coatto si pose a motteggiarlo, il Natoli se ne accorse e disse rivolto ai presenti: “costui parla perché io non andrò più da lui a farmi strozzare.” Ma il coatto pronto rispose: già, del pollo e della Malvasia, due lire sono poi troppe, nevvero, si vede che eravate avvezzo in America a mangiar patate”. Il Natoli lo avrebbe in quel momento conciato per le feste, ma si misero immezzo delle persone e tutto finì per il momento. Il giorno dopo, il coatto non contenuto, gli sputava contro, ma ben dato per Dio, bravo Natoli, giacchè il governo non pensa a torci di mezzo questa canaglia, trattiamola noi come si merita.

Il Natoli venne trattenuto dalla Questura, ma poco dopo fu rilasciato.


Nella colonia dei domiciliati Coatti

Fior da Fiore

Quando nel primo numero, feci manifesto un mio giudizio, su alcuni tipi di degenerati, che sfortunatamente il nostro paese alberga, ebbi a sentire e gustare il risentimento di queste anime nobili. Ma il nostro è un mestiere… difficile, e ci vuole pazienza. E poi… sopportare i fastidiosi, è opera di misericordia!! Dunque… ascoltate!

Un fiore, tra i tanti del giardino ubertoso, a nome Angius Clelio, per impulso di brutale malvagità, inferse gravi lesioni al compagno Di Dio Nunzio. Ebbene mi chiederete subito la ragione, ma… Angius Clelio non ha ragionato in tanti e tanti anni di vita gloriosa, e permettetemi… non può ragionare in questo momento!!

Egli ha voluto semplicemente mostrare, che Angius Clelio, quel tale Angius, fatto (come si dice) traslocare tempo addietro dal Cav. Costa per le sue qualità fiorite; quel tale Angius nonché, Clelio pessimo tra i pessimi, delinquente tra i delinquenti, era ormai ritornato da Ustica; lo stesso Clelio, lo stesso Angius… come il lupo che cambia il pelo.. la sera del 23 novembre, dopo la chiusura, entrando Clelio, nella sua non certo amata sala da letto, pensò forse che i colleghi avrebbero potuto aver dimenticato il suo illustre nome, e voltosi adunque al Di Dio, suo collega più vicino, esclamò: “voglio farti conoscere che è Angius Clelio.” E ciò detto sollevò un trespolo del vicino letto e giù un primo colpo. Il povero Di Dio, invocò parecchie volte il nome del suo omonimo Dio, ma a quell’ora si vede bene, Dio non potè ascoltare Di Dio.

E Angius, versata dell’acqua in bocca alla povera vittima per non farla gridare, mediante un pezzo di latta resa tagliente, incominciò la sua opera. Volle intromettersi il coatto Cardinale Gaetano, ma Angius che non aveva avuta alcuna deferenza per Di Dio, non poteva ascoltare il Cardinale, che mise subito al silenzio, minacciandolo di morte. Il povero Cardinale abbastanza vecchio non potè reagire e Clelio con maggior veemenza continuò la sua opera. Quando il sangue, filtrato il pavimento cominciò a colare nella camerata sottostante la Questura fu avvertita, e aperta la Camerata trovò l’operoso Clelio intento più che mai al suo brutale divertimento. A viva forza, poiché l’arrivo delle guardie, non gli aveva fatto impressione, fu allontanato e si potè vedere Di Dio, irriconoscibile in una immensa pozza di sangue.

Tra le innumerevoli ferite due importano sfregio permanente. Avete capito?

Il nostro disprezzo e il nostro disgusto non hanno limiti. E vergognoso per dio, che una Nazionale Civile, non abbia ancora saputo trovare, o mezzi virtuosi da migliorare questi uomini, o di appartarli, essendo indegni di appartenere a Nuovo Secolo e al Mondo Civile.

Un altro furto

Da parecchi mesi a questa parte, il signor Pajno Francesco era stato passivo di rilevante furto di farina per opera d’ignoti; in seguito a predisposto servizio la P.S. ha potuto arrestare l’autore principale nelle persone del coatto Filippi Francesco domestico del signor Pajno, nonché tutti i suoi complici sequestrando parecchi sacchi della farina rubata. Finora sono stati deferiti all’autorità Giudiziaria fra coatti e paesani 6 persone che formano la combriccola e forse altre persone saranno anche compromesse.


Tentato furto

La sera del giorno 29 maggio diversi coatti, riusciti a fuggire dal camerone del Castello, scesero in città e si recarono al Pastificio Mulino “progresso” dei Signori Saltalamacchia e C., ove scassando la porta d’entrata, cercarono d’entrare nel magazzino ove si trovava la cassa.

Vi riuscirono, ma ben presto svanì il loro sogno, la cassa era vuota, il sig. Saltalamacchia la sera prima, previdente, aveva tolto tutto.

Ritornarono al Castello:

  • perché siete usciti dal camerone, dissero le guardie.

  • Oh! Bella, risposero i coatti, sentivamo caldo.

  • Ebbene favorite pure con noi, vi metteremo al fresco.

Coatti fuggiaschi

La sera del primo giugno, i coatti Maltesi Giuseppe, Benvenuto Florestano e Del Taglia non risposero all’appello serale della chiusura del Castello. La P.S. dietro alcune informazioni armò un battello, e il Maresciallo accompagnato da quasi tutte le guardie, inseguì e arrivò i tre coatti vicino al Monterosa. Furono ricondotti in Castello e messi in cella, un’altra volta non faranno più gite in barchetta.


La devozione d’un coatto

Perugini Vincenzo, calabrese d’origine, ciarlato di professione, lo si vedeva spesso sul Corso Garibaldi, col giornale in mano, seduto presso qualche salone, leggere e commentare le notizie della guerra; altre volte tra gruppi di amici, discutere sul Codice e sulle leggi, proporre modificazioni . etc. etc.

Ora, questo buon uomo aveva la santa pazienza di recarsi ogni giorno solo soletto, di nascosto s’intende, nella chiesa dell’Addolorata al Castello. Cosa faceva?

Pregava, si capisce.. e il sagrestano vedeva mancarsi la provvista dell’olio per le lampade, vedeva mancarsi molte altre cose; ma chi accusare?

Una guardia di P.S., pensò, saputo il fatto, di scoprire l’autore di si continuati furti. Entrò in chiesa e se ne salì sul pergamo, aspettando….

Aspettò molte ore, ma finalmente l’amico arrivò. Prima di entrare bussò alla porta centrale per vedere se dentro ci fosse qualcuno, ma rassicurato dal silenzio, entrò.

Con una piccola chiave, aprì la custodia, ma altro cercava e voleva il buon Perugini, difatti sali fin dove è posta l’Addolorata e le tolse la corona.

A questo punto la guardia G. Castiglia Angelo, nascosto nel pergamo apparve con la rivoltella spianata contro e gli intimò di fermarsi.

Successe dopo una fiera colluttazione, ma Perugini fu vinto e trascinato in cella.

Prima della colluttazione egli aveva buttato la corona che fu poi raccolta dalla guardia Carbone. Un bravo alle guardie per il buon servizio.






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