ed. Centro Studi Eoliano , 2016
Nel 1863 in Francia si manifesta un afide o "pidocchio" che arrivò dall'America, probabilmente nascosto nelle radici di una barbatella importata perché resistente all'oidio, chiamato Phylloxera vastatrix, cioè devastatrice.
Le prime infezioni della fillossera in Italia si scoprirono nell’agosto del 1879 a Valmadrera in provincia di Lecco; quindi furono riconosciute ad Agrate e Airate in provincia di Monza. Nel 1880 altri centri fillosserici si scoprivano all’altra estremità d’Italia; il 2 marzo si scopriva a Riesi (provincia di Caltanissetta).
Nelle isole Eolie la fillossera arriva nel 1891/2. Il 5 marzo del 1894, nel corso della seduta della Camera dei Deputati il ministro dell’Agricoltura Boselli, rispose ad una interrogazione dell’On. Ugo Di Sant’Onofrio che chiedeva con quali mezzi il governo intendeva combattere la diffusione della fillossera nell’isola di Salina.
Nel verbale del consiglio comunale di Lipari del 26 marzo 1895 il sindaco dichiara: Le condizioni economiche del nostro Comune diventano sempre peggiori, giacché, se da un canto il commercio va affievolendosi, e la fillossera distrugge i nostri vigneti, che formano l’unico cespite di entrate di quest’isola, i bisogni dell’amministrazione, pel disimpegno dei pubblici servizi, aumentano, onde sarebbe necessario imporre delle tasse, che diventano intollerabili pei contribuenti.
Nel corso del 1897 attraverso il volume “vademecum del commerciante di uve e di viti in Italia” apprendiamo, che Lipari, Filicudi e Salina risultano essere “fillosserati”. Nel medesimo anno il giornale vinicolo italiano da notizia dell’accertamento di presenza della fillossera nei vigneti di Panarea ed Alicudi.
La crisi prosegue inesorabile negli anni successivi, nella seduta del consiglio comunale di Lipari dell’8 agosto 1899 il sindaco, Tommaso Paino conferma la profonda povertà che stava investendo il Paese, provocata da una prolungata siccità e dalla “fillossera che affligge i vigneti”.
Nel corso del 1900 la fillossera investe anche i vigneti dell’isola di Stromboli.
Ancora agli inizi del Novecento le amministrazioni confermano lo stato di crisi; nella seduta del Consiglio Comunale del 7 aprile 1903 il Sindaco Faraci, dichiara che il bilancio comunale precedentemente in “floride condizioni finanziarie” “ora invece trovasi con un considerevole disavanzo ed il paese per la crisi agricola prodotta dalla fillossera e pronospera e per quella commerciale non potrebbe sacrificarsi coll’imposizione di nuove tasse o l’inasprimento delle attuali.
Maggiori drammatici dettagli ci arrivano dallo scritto di Pietro Viani, della R. Scuola di Viticoltura ed Enologia di Catania del 1906 […] la malvasia delle Lipari, anzi diremo le malvasia, perché se ne producono due tipi uno dolce e l’altro asciutto, proviene dalla vinificazione di uve di una malvasia che, secondo mi scriveva gentilmente un distinto produttore dell’Isola di Lipari, il signor Tommaso Carnevale, deve ritenersi una varietà a sé, perché presenta dei caratteri ampelografici un po’ differenti di quelli della malvasia comune. La fillossera purtroppo ha prodotto gravi danni e se prima dell’invasione si poteva calcolare una produzione di circa 2500 El all’anno, ora si può dire che è ridotta ai 200 El. La difficoltà di vendere il prodotto ha contribuito a ridurre la produzione della malvasia in seguito alla concorrenza dei vini dolci greci e turchi che fortunatamente ora, causa i dazi, non possono più entrare; quindi c’è da sperare che risorga di nuovo questa industria favorita anche con l’aiuto del governo con l’esonerare dalla tassa di fabbricazione, l’alcool da aggiungersi ai vini liquorosi alla presenza degli agenti di finanza.
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Nessuna fonte o notizia abbiamo trovato sul come provarono gli agricoltori eoliani a gestire l’invasione fillosserica, né quali soluzioni tentarono.
La fillossera arrivò a colpire i tre quinti dei vigneti e di conseguenza si ridusse la produzione di vino e passolina. L’economia Eoliana fu investita da una grave recessione produttiva e commerciale aggravata anche dal declino della navigazione velica e la riduzione del piccolo cabotaggio. Ne soffrirono i contadini ed anche molte famiglie borghesi che videro falcidiati inesorabilmente i loro redditi. L’industria della pomice non riusciva ad assorbire tutta la mano d’opera disponibile.
Gli armatori, padroni di piccoli velieri, si trovarono in difficoltà, sia per la forte concorrenza delle navi a vapore, sia perché le ferrovie e le strade, soprattutto lungo la costa tirrenica meridionale, rendevano più facili e meno onerosi i trasferimenti via terra anziché via mare di certe merci. I noli dei velieri eoliani si abbassarono paurosamente.
Inizio così la grande diaspora della popolazione dell’arcipelago. Da tutte le isole dell’arcipelago partì tantissima gente gente, diretta soprattutto negli Stati Uniti d’America, in Argentina, in Australia, in Nuova Zelanda.
La grande stagione dell’economia viti-vinicola era tramontata.


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