L’inverno nell’isola di Lipari
(Articolo a firma di Giorgio Frasca Polara sull’Unità
del 18.11.1969)
I cavatori di pomice non fanno notizia – La colonia
di quindicimila liparoti in Australia – I pesci grossi – La silicosi dilaga,
perché?
Dal nostro inviato
(Eolie), novembre
Il nude-look, i campionati di pesca subacquea, la
barca di Mike Bongiorno: si fa presto a parlare di Lipari d'estate.
Allora Lipari non fa notizia; figurati poi che nota
stonata, che guasto al cliché delle Eolie «perle del Tirreno” la nuova di queste
ore che i disperati cavatori di pomice sono entrati in sciopero per quattro
giorni decisi a paralizzare magari per mesi l’unica attività industriale dell'isola
se le cose per loro (il salario, l'orario, le qualifiche, i diritti sindacali,
le condizioni di lavoro) non cambieranno da così a così.
Cosi, improvvisamente, vien fuori a tutto tondo
1'altra faccia di Lipari, quel suo vero volto che il Corriere non
mostrerà certo mai agli italiani che da giugno a settembre vanno a consumare
alle Eolie la loro razione di tempo libero e di dolce Malvasia.
Di tempo libero i cavatori non ne hanno, invece. Se
non lavorano tra la micidiale pomice, emigrano (a migliaia: van tutti in
Australia, c’è una vera e propria colonia di quindicimila liparoti, più di
quanti stiano ancor oggi nella loro terra); se non fuggono, muoiono dl atroce
morte, soffocati dalla silicosi che gli rode lentamente i polmoni.
E' storia vecchia, e storia di un secolo di lotte
per frenare 1'ingordigia dei rapinatori dell'unica vera ricchezza di Lipari (le cave di pomice, appunto) e per
difendere in qualche modo la sorte dei cavatori. La rivolta più clamorosa ad
una condizione da colonia e da schiavi e dei primi del ‘900, coincide non a
caso con l'esplodere del movimento dei Fasci, porta nel ‘908 ad una conquista
in certo modo storica e originale nessun padrone potrà più accampare diritti naturali
sulle cave (cioè praticamente su ogni centimetro quadrato delle alture
protese verso Salina e Panarea), le cave diventano infatti demanio municipale,
sarà il comune a concedere a chiunque degli “indigeni” ne faccia richiesta, e solo
a loro — così ordina la speciale legge tuttora in vigore —, il permesso dl
estrazione o taglia dietro pagamento di un e sugli utili di estrazione.
Da allora a per molti anni chiunque potrà dunque cavare
pomice dai monti: accanto alla figura dell'operaio ancora subordinato
all'industriale sorge (e si impone) quella del produttore in proprio, il quale
non e necessariamente un professionista del mestiere ma anzi il più delle volte
e il bracciante che riempie i vuoti stagionali, il pescatore che non può prendere
il mare, il disoccupato che deve sfamare la famiglia. I ricchi non eran perciò,
almeno allora, gli industriali (o piuttosto la gran parte di loro); davvero
potenti erano, e son restati praticamente sino a vent'anni fa, gli incettatori della
sminuzzata produzione, i commercianti che tenevano gelosamente in pugno i rapporti
coi mercati, in Italia e soprattutto all'Estero.
Poi tutto cambia, quasi di improvviso. Anche in
questo settore e l'avvio di un sempre più rapido processo dl concentrazione:
favoriti da un'amministrazione comunale dc che praticamente ha messo in
archivio il decreto del '908, i pesci grossi fagocitano i piccoli; esplode — in
un rapporto di interdipendenza — il duplice fenomeno del saccheggio indiscriminato
delle alture (la progressiva modificazione dell’orografia dell'isola ne è impressionante
testimonianza) e dello sfruttamento della manodopera daccapo ridotta alla
subordinazione più totale; da duemila e passa che erano ancora quindici anni fa,
il numero dei cavatori si assottiglia sino ai 350 di oggi.
Il controllo del settore
La lotta per il controllo del settore si fa d'altra
parte più accesa man mano che la richiesta della leggerissima pomice diventa più
pressante sul mercato. La vogliono in pezzi più grossi — i cosiddetti bastardoni
— per fame mole, lastre abrasive, precompressi. La cercano sotto forma di
pietrisco — la rasaglia — come granulare per l'edilizia, come isolante o
coibente; persino i giapponesi ne acquistano: avete mai notato quel piccoli
sacchetti antiumidità che son dentro le confezioni di materiale
radio-fotografico? Bene, lì dentro c’è quasi sempre pomice, di Lipari naturalmente.
Ne chiedono sempre più soprattutto in polvere, il cosiddetto impalpabile. Una
volta era roba da scarto, nessuno la voleva. Oggi questo talco e come 1'oro per
fabbricanti di sapone e dentifrici per l’industria della cosmesi e per quella
dl precisione.
Pur rimasti in pochi a dominare la piazza, si sbranano
per ogni contratto di fornitura abbassando pericolosamente i prezzi sino a far
raggiungere a questi livelli critici per le stesse sorti della tradizionale attività
liparota.
Ne approfitta il gruppo diventato più potente grazie
ai lauti finanziamenti pubblici, quello dalla Pumex, per costringere alla resa quasi
tutte le imprese superstiti (è la fine delle firme tradizionale del mercato;:
dei Ferlazzo, dei Carbone, dei La Cava), per imporre il cartello, per
conquistarsi addirittura una specie di autonomia funzionale che abbassa persino
l’occupazione indotta esautorando la compagnia portuale.
La situazione giunge al limite della rottura: un
serrato, drammatico sciopero costringe due anni fa la Pumex a firmare un
impegno per il blocco dei licenziamenti e per la salvaguardia del posto di
lavoro e dei diritti maturati dai cavatori che lavoravano nelle imprese assorbite
da quella specie di consorzio fasullo cha fa ora il bello e il cattivo tempo, e
contro il quale appunto è ripresa in questi giorni la battaglia operaia.
Una vittoria senza ombre?
Fu una vittoria senz'ombre, quell'accordo? Sino a un
certo punto. Quelle che non sono mutate sono le condizioni fondamentali sia dei
lavoratori direttamente impegnati nel settore e sia del complesso della popolazione-
Non e solo una questione salariale. Anzi. la questione più grave e quella
sanitaria. Nelle cave si vive e si mangia nella polvere in micron, tossicissima,
che ammanta ogni cosa e imbianca gli uomini come grottesche immagini
felliniane, rodendone i polmoni. Ma d'estate coi venti e d'inverno con la
pioggia, l'impalpabile (sventrate indiscriminatamente le alture, 1'estrazione
non avviene in galleria, ma all'aperto) mina invisibile gli abitanti delle
frazioni e del paese calando nel pozzi d'acqua «potabile», avvelenando l'aria
che si respira, ammorbando la terra.
Sconvolgenti le conseguenze. Su 350 cavatori. 340
sono silicotici, e cosi 150 portuali e 500 ex operai. Alla Camera del lavoro il
compagno Piccione ha appena completato le pratiche per l’Inca di tre operai tra
25 e 27 anni, alla loro verde età sono già rottami, silicotici al quaranta per
cento.
Stesso stadio del male ha Antonino Rodriguez. Non è mai
stato in cava, non abita neppure nella zona della pomice, ha lavorato per
trent'anni ai traghetti non adibiti al trasporto del minerale. Un giorno s'e
sentito male. Si temeva la tbc; invece la silicosi aveva aggredito
silenziosamente anche lui. Quanti altri liparoti sono nelle condizioni di
Rodriguez? Non si sa, si ha paura di saperlo.
E soprattutto non lo vogliono sapere gli industriali,
perché non gliene importa un accidente; perché hanno interesse a non applicare
i costosi ritrovati (in uso per esempio nelle cave sovietiche, mi dicono) che
purgano la lavorazione della pomice rendendola assai meno pericolosa; perche
non si contentano più nemmeno dello stato di fatto che fa di loro i sostanziali
padroni e non semplici gestori delle cave.
Ora vogliono campo libero, in tutto e per tutto.
Siccome il comune si e permesso di fare un lieve ritocco alla tangente sulla produzione
più vile (non a quella sulle voci più ricche per carità: a bloccare ogni misura
del genere ci sta bene attento da tredici anni il governo regionale), ecco la
Pumex ingaggiare uno del più noti — e più dc — tra i civilisti reperibili in Sicilia,
a battersi come una tigre per ottenere
la dichiara di incostituzionalità delle norme del 1908. Su un fatturato di due
miliardi, l'anno scorso hanno versato nelle casse comunali appena cento
milioni. Non vogliono pagare nemmeno quelli, i divoratori delle montagne di
Lipari.
Giorgio
Frasca Polara
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