Ma nel 1990 ecco la richiesta del pm al giudice istruttore del Tribunale messinese di "non doversi procedere" per questioni procedurali. Della vicenda si tornò quindi a parlare solo nel 1996, con una puntata di 'Chi l'ha visto?', mentre anche le dichiarazioni di nove pentiti di mafia squarciarono il velo sul delitto di Graziella Campagna. Nel dicembre 1996 il Tribunale di Messina riaprì ufficialmente il caso. La ricostruzione degli inquirenti dell'epoca dice che la ragazza venne uccisa perchè il 9 dicembre 1985 aveva trovato nella tasca di un indumento lasciato in tintoria l'agendina-documento che che un'altra commessa della tintoria, Agata Cannistrà, avrebbe però strappato dalle mani di Graziella che glielo aveva mostrato, e di cui non si è più trovata traccia. Proprio la Cannistrà e la titolare della bottega, Franca Federico, furono rinviate a giudizio e quindi condannate l'11 dicembre 2004 a due anni a testa per favoreggiamento, mentre per Alberti junior e Sutera i giudici della Corte d'Assise di Messina decisero l'ergastolo. Il boss, nipote di "'u paccare", com'era noto quel Gerlando Alberti senior ritenuto il braccio destro di Pippo Calò, tornò però libero dopo un anno e mezzo dalla condanna, nel settembre 2006 perchè gli stessi giudici di primo grado non depositarono entro i termini le motivazioni della sentenza, determinando così la scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Negli anni si è arrivati quindi al processo di appello e lo scorso novembre il presidente del Tribunale di Messina, tramite l'allora ministro della Giustizia Clemente Mastella, avanzò richiesta alla Rai di non trasmettere la fiction "La vita rubata" per evitare un impatto emozionale che avrebbe potuto condizionare il clima del processo. La messa in onda era programmata, infatti, per il 27 novembre ed è slittata al 10 marzo, proprio a pochi giorni dalla sentenza d'appello di questa notte. Nella sua requisitoria, un mese fa il procuratore generale Marcello Minasi spiegò che Villafranca Tirrena a metà degli anni '80 era una 'zona francà dove i boss di mafia, 'dnrangheta e camorra vivevano la loro latitanza, dove si riunivano insieme a politici, massoni, giudici, carabinieri ed imprenditori collusi nella masseria di Don Santo Sfameni e dove si stava per impiantare una raffineria di eroina. La povera Graziella non è stata assassinata solo perchè era venuta in possesso di un'agendina, di un pizzino, o come lei lo definì un 'mossu i carta' che poteva compromettere - disse Minasi - la latitanza di Alberti e Sutera, ma perchè poteva far scoprire proprio questo contesto segreto". E se il corpo della stiratrice assassinata non è stato gettato nella vicina cisterna è "perchè il cadavere doveva essere trovato per dissuadere chiunque dalla tentazione d'infrangere il silenzio sul contenuto dello scottante documento".
Questa notte è la voce dello Stato da un'aula del tribunale a rompere quel silenzio e a dare una risposta all'attesa di giustizia.