Nell’ultima cena Gesù manifesta il suo atteggiamento davanti alla morte: ferma fiducia che il Regno di Dio verrà in pienezza e consegna di se stesso per la salvezza di tutti.
Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora, dopo aver amato i suoi sino alla fine, mentre cenavano, quando il demonio aveva già messo nel cuore di Giuda il tradimento, si alzò da tavola, depose la veste, e preso un asciugatoio se lo cinse attorno alla vita, poi versò dell’acqua nel catino, lavò ed asciugò i piedi dei discepoli. Quand’ebbe finito disse loro: “Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni e gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi… Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi, da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni gli altri” (Gv 13,1-5.12-15.34-35).
Gesù ci ha conosciuti e amati nell’offerta della sua vita “sino alla fine” L’amore del Cristo ci spinge al pensiero che “uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti” (2Cor 5,14).
La sua Santissima Passione sul legno della croce ci meritò la “giustificazione” insegna il Concilio di Trento, sottolineando il carattere unico del sacrificio di Cristo come causa di salvezza eterna. Noi siamo costati il sangue di Cristo e le lacrime di Maria, la speranza per la salvezza degli uomini è certo il sangue di Cristo, ma dopo il Cristo l’umanità di oggi che va verso la rovina, trova la sua speranza nelle lacrime di Maria, donna dei dolori.
La Chiesa si è fermata a considerarne solo sette, perché questo numero esprime sempre l’idea della totalità e dell’universalità e nel responsorio del Mattutino richiama in modo particolare i sette dolori, che le procurarono la profezia del vecchio Simeone, la fuga in Egitto, la perdita di Gesù a Gerusalemme, il trasporto della croce, la crocifissione, la deposizione dalla croce e la sepoltura del divin Figlio, dolori che fecero veramente di Lei la Regina dei martiri.
“Che abbia veramente sofferto, dice san Pascasio Radberto, lo afferma Simeone quando dice: una spada trapasserà la tua anima che è immortale, mentre Maria ha sofferto in questa parte di sè che è impassibile, la sua carne ha sofferto per così dire spiritualmente la spada della Passione di Cristo ed è così più che martire. Avendo amato più di tutti, più di tutti ha sofferto e la violenza del dolore trapassò la sua anima, ne prese possesso a testimonianza del suo amore indicibile. Avendo sofferto nella sua anima, fu più che martire, perché il suo amore più forte della morte fece sua la morte di Cristo”.
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