Mentre
il 2 febbraio in tutto il pianeta si celebra la Giornata mondiale dedicata alla
salvaguardia delle aree umide – laghi, fiumi, lagune, paludi, torbiere – a
Vulcano le ruspe stanno cancellando l’ultima zona umida che ancora sopravvive
nella Zona a Protezione Speciale ITA030044 e nel Sito Unesco delle Isole Eolie.
Il paradosso, però, non si ferma qui: quello che sta accadendo è frutto di un
progetto realizzato da una società – la Sogesid – direttamente controllata dai
ministeri del Tesoro e dell’Ambiente, e gestito con i poteri emergenziali di un
commissario – l’avvocato Pelaggi – che allo stesso tempo è funzionario di
quest’ultimo dicastero. Come è possibile che questo scempio stia avvenendo con
un finanziamento pubblico, ossia con soldi stanziati dallo stesso Stato che
dovrebbe garantire – nel rispetto delle direttive comunitarie – la tutela
dell’ultimo ambiente umido esistente nell’isola e nell’intero comprensorio
eoliano?
È
possibile perché chi ha redatto lo Studio di Impatto e di Incidenza Ambientale
– firmato dall’ingegnere Carmelo Sottile – ha accuratamente evitato di
segnalare la presenza del pantano che esiste nell’Istmo tra Vulcano e
Vulcanello, classificato come “habitat prioritario” con il codice 1150 nella
Direttiva 43/92 dell’Unione Europea, ed anche perché chi doveva verificare la
veridicità dello Studio – l’Assessorato Territorio e Ambiente della Regione
Siciliana – non ha mosso alcuna obiezione in merito agli interventi previsti
dal progetto che avrebbero coinvolto il luogo, come se ne ignorasse l’esistenza.
È ovvio che la Regione disponesse di tutti gli strumenti necessari per
confutare le affermazioni false contenute nello Studio, per esempio quel Piano
di Gestione dei Siti Natura 2000 dove l’importanza del pantano viene sancita a
chiare lettere. Ma non lo ha fatto, concedendo le autorizzazioni ambientali
senza proferire parola sul pantano, e ciò appare francamente incomprensibile.
A
pochi metri da un habitat prioritario, dunque, una vasca di sollevamento
liquami del realizzando depuratore – stando a quanto affermato nello Studio –
non produrrà alterazioni ambientali, né disturbo alla fauna, né infine alcuna
riduzione al valore conservazionistico del sito: tutto ciò, semplicemente,
perché in questo Paese basta scrivere una falsità per trasformarla in uno stato
di fatto.
Ma
la realtà è ben diversa. La vasca rischia di pregiudicare le caratteristiche
naturali del luogo, sottraendo spazio alle dune di sabbia, ai canneti che
offrono riparo agli uccelli durante le migrazioni o nel periodo invernale, ma
soprattutto di interferire con il corpo idrico del pantano, cancellandone irrimediabilmente
ogni traccia in pochi anni. Dove non era riuscita l’espansione urbanistica e
turistica di Vulcano, che – pur sviluppandosi in maniera caotica – aveva
comunque risparmiato questo piccolo gioiello della natura, arrivano le ruspe
del depuratore.
Di
fronte a questo scempio, sorgono due quesiti. Il primo è: poteva essere scelta
una diversa collocazione per la vasca di sollevamento? La risposta è si: lo si
sarebbe potuto fare se, piuttosto che un progetto confezionato e approvato in
regime di emergenza, avessimo percorso le vie ordinarie, avviando una fase di reale
concertazione dove tutti i soggetti interessati avrebbero potuto esprimere le
proprie valutazioni.
Rispondere
alla seconda domanda è invece più difficile: qualcuno pagherà per avere omesso
la realtà dei fatti, per non avere operato come dovrebbe fare un organo di
controllo, per avere rilasciato con troppa fretta e troppa facilità
l’autorizzazione a compiere uno scempio ambientale? Qualcuno pagherà per avere
cancellato l’ultima zona umida di un arcipelago dichiarato Patrimonio
dell’Umanità?
Pietro
Lo Cascio (consigliere
comunale de La Sinistra eoliana)
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