Che cosa ci fa un docente universitario, eminente esperto di Dante, nella pista da ballo di una discoteca di Panarea? Ci sarebbe di che stupirsi, se non fosse che il docente in questione è Claudio Giunta, il quale, ormai da diversi anni, affianca alla sua attività accademica una intensa attività di saggista e pubblicista una volta si sarebbe detto militante, cioè incentrata sulla contemporaneità.
Tra i saggi raccolti nel suo ultimo libro – Una sterminata domenica. Saggi sul paese che amo(Il Mulino, pp. 288, euro 16,00) – ce ne è uno, particolarmente esilarante, che parla di un soggiorno nell’isola siciliana, meta turistica tra le più ambite. Con l’ottica dell’antropologo, l’autore si getta nella mischia di una nota discoteca dell’isola: la musica è deludente (i deejaypassano musica dance datata e dozzinale), ma ci si può anche passare sopra, dato che «verso le due e mezzo sono quasi tutti così ubriachi e così pronti a divertirsi che ballerebbero anche la passacaglia di Bach se fosse suonata a volume adeguato» (del resto, in discoteca, a Panarea, come altrove, ci si va per rimorchiare, mica per ascoltare la musica).
La discoteca è un osservatorio privilegiato per cogliere le dinamiche sociali di quest’isola, che, secondo Giunta, si possono ricondurre a una lotta di classe tra i Nativi (quelli che vivono a Panarea anche durante l’anno), i Coloni (quelli che vanno abitualmente in vacanza lì) e Quelli del Barcone, «detti anche dai meno democratici dei Nativi “I Morti di Fame”», arrivati sull’isola con «dei pacchetti-vacanza tipo “Perle del Tirreno in Dieci Giorni” o “Week-end alle Eolie”».
Giunta parla di Panarea, ma, attraverso Panarea, ci parla, più in generale, dell’Italia (il «paese che amo» del sottotitolo), con sguardo critico, a tratti ironicamente sferzante, ma senza indulgere al lamentoso catastrofismo di tanti libri più o meno recenti sul Belpaese: «Il pessimismo sull’Italia è solo una delle tante forme che assume il lamento degli intellettuali, che non si danno pace perché il mondo di oggi non va secondo le regole stabilite nei libri di ieri».
Non a caso, alcuni dei capitoli più belli e sorprendenti del libro assumono il tono dell’elogio, piuttosto che quello della lamentazione. Mi riferisco specialmente all’intervento che esalta l’inventiva artistica di Elio e le Storie Tese («grandi creatori di mondi paralleli») e a quello su Radio Deejay, Una magnifica cosa pop. In questo saggio, uno dei più estesi del libro, Giunta passa in rassegna lo stile e i tic dei principali conduttori, come Linus, Nicola e… Fabio Volo.
Sì, proprio Volo, il bersaglio preferito degli intellettuali radical-chic, che invece Giunta, sostanzialmente, salva. Non, beninteso, come scrittore, ma come conduttore radiofonico e anche, per così dire, come persona: Volo, intanto, a differenza di molti suoi colleghi, non ha mai prestato la sua voce per pubblicizzare un prodotto, né ha paura di esporre le sue opinioni politiche, anche quando rischiano di apparire scomode; quanto ai suoi difetti, secondo Giunta, sono perlopiù «veniali. Essere egocentrici, parlare in continuazione di sé, non è un difetto per chi fa la radio. Essere superficiali: lo stesso».
Un altro capitolo (Diventare Fantozzi) parla di Paolo Villaggio: «Si può […] trovare detestabile sia il linguaggio sia l’immaginario di Fantozzi, ma non si può non prendere atto della loro efficacia, un’efficacia superiore a quella di qualsiasi romanzo o saggio, e paragonabile soltanto o pochi o pochissimi prodotti della TV o del cinema contemporaneo[…]: “fantozziano’, “fare come Fantozzi”, sono diventate espressioni d’uso comune non in quanto designano uno stile o un modo di vedere il mondo». A Villaggio, però, Giunta non perdona l’eccessivo presenzialismo televisivo e la scarsa qualità degli ultimi libri e film, ormai sclerotizzati nell’esausta ripetizione dei soliti stereotipi.
Ciò che colpisce, in ognuno di questi saggi, è il fatto che il rigore filologico dell’analisi (che fa emergere tutta l’agguerrita strumentazione del Giunta studioso) sia applicato ad oggetti iper-popolari (in un altro capitolo troviamo un’accurata disamina del fenomeno Moggi).
Attraverso il rigore del suo metodo, Giunta demolisce la retorica ammiccante di Matteo Renzi, mostrandone tutte le contraddizioni e le forzature (Matteo Renzi non trema), e avanza motivate critiche all’eclettismo strumentale di Comunione e Liberazione («Anything Goes». Il meeting di Comunione e Liberazione a Rimini).
Piuttosto che alla pubblicistica di casa nostra, caratterizzata perlopiù da toni apodittici e panflettistici, lo stile limpido e argomentativo di Claudio Giunta sembra riconducibile a certa gloriosa tradizione saggistica anglosassone. Gli elogi non sono panegirici e le stroncature non sono mai monocordi: ecco perché le varie istantanee affidate a Una sterminata domenicarisultano quasi sempre attendibili, illuminando i nodi irrisolti dell’enigma italiano.
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