g) Lo attendiamo come Elisabetta, la donna che aveva già sepolto il futuro.
Elisabetta è di classe sacerdotale, è discendente della famiglia di Aronne: un nobile lignaggio per il tempo. E’ moglie di Zaccaria, ha tutte le carte in regola per una vita non solo dignitosa, ma anche rispettabile. La classe sacerdotale non serve solo al culto, ma determina la vita del popolo d’Israele. E’ timorata di Dio, ne osserva la Legge, sa andare oltre il formalismo in una società che ne faceva una bandiera indipendentemente dall’interiorità, ma si porta in cuore un grande dolore, si vergogna di fronte a tutti, così dice il vangelo: non ha figli. E a quel tempo la colpa era solo delle donne. Tanta fortuna, tanti progetti, stimata collocazione in società, ma anche lei come Zaccaria si sente addosso i bei ricordi del passato: il futuro è già sepolto. Un giorno si ritrova a casa il vecchio Zaccaria e per giunta muto. Solo a segni dovrà ora condurre la sua routine di moglie del sacerdote. Neanche due parole potranno scambiarsi, il loro lungo amore li aveva allenati a una comunicazione più profonda: è vero, non occorrono troppe parole tra chi si vuol bene, ma nella vecchiaia è una ulteriore mutilazione. Invece no! Dopo un po’ di tempo Elisabetta si accorse di aspettare un figlio e non uscì di casa per cinque mesi. La tirerà fuori di casa proprio Maria, la giovane cugina che ha saputo di questa inaspettata maternità. E la scena che vogliamo contemplare è l’incontro delle due madri: la donna attempata e confusa, la ragazza entusiasta, protesa al soccorso carica di un segreto gioioso. Questo incontro evoca ataviche immagini della bibbia: il passaggio dell’arca dell’Alleanza con il suo carico di speranza e di certezza della presenza di Dio o la corsa saltellante tra i monti dell’amata in cerca dell’amore da accogliere e donare. Ma i primi a salutarsi, a rompere il silenzio, a interpretare il momento unico nella storia dell’uomo di questo incontro tra antico e nuovo, tra vecchio e giovane, tra passato e futuro sono loro due: Giovanni e Gesù. ”Il bambino si è mosso dentro di me per la gioia”, dice il vangelo. Chi ha ancora il coraggio di parlare di grumi di carne, di pezzi del corpo della madre, di coacervo pure ordinato di cellule, di appendici di vita? Il primo balzo di gioia della salvezza l’hanno fatto loro. Scioglierò il dolore in danza. Loro hanno fatto completare alle madri l’Ave Maria, quella preghiera che ha attraversato i secoli e le stesse religioni e fedi, oltre le fredde distinzioni tra praticanti e non praticanti. Un’ave Maria affiora sulle labbra di tutti coloro che hanno la gioia di conoscere il vangelo. Tra poco queste due vite verranno alla luce, conosceranno strade diverse, avranno caratteri diversi, le loro visioni di mondo si incroceranno, le loro vicende dipenderanno l’una dall’altra. Ciascuna porterà l’impronta della sua terra, della sua famiglia, ciascuno risponderà alla sua vocazione, le due storie si uniranno: il regno di Dio è al suo inizio. Passeranno ancora trent’anni prima che questa consapevolezza esploda, ma già ora per Giovanni e per Gesù comincia la sfida del regno. E sono le due mamme che portando in grembo i figli vengono orientate ad esso. Ti credi di donare di offrire a tuo figlio quando lo pori in grembo debole, dipendente in tutto da te, il sacrificio della tua vita e della tua libertà invece è lui che porta te nel piano di Dio.
Elisabetta non è più la moglie di un uomo senza futuro, ma la madre del Precursore. Si porta in seno quello che sarà chiamato la voce. Maria è la madre del mio Signore, dice Elisabetta, e si porta in grembo la Parola.
Elisabetta è di classe sacerdotale, è discendente della famiglia di Aronne: un nobile lignaggio per il tempo. E’ moglie di Zaccaria, ha tutte le carte in regola per una vita non solo dignitosa, ma anche rispettabile. La classe sacerdotale non serve solo al culto, ma determina la vita del popolo d’Israele. E’ timorata di Dio, ne osserva la Legge, sa andare oltre il formalismo in una società che ne faceva una bandiera indipendentemente dall’interiorità, ma si porta in cuore un grande dolore, si vergogna di fronte a tutti, così dice il vangelo: non ha figli. E a quel tempo la colpa era solo delle donne. Tanta fortuna, tanti progetti, stimata collocazione in società, ma anche lei come Zaccaria si sente addosso i bei ricordi del passato: il futuro è già sepolto. Un giorno si ritrova a casa il vecchio Zaccaria e per giunta muto. Solo a segni dovrà ora condurre la sua routine di moglie del sacerdote. Neanche due parole potranno scambiarsi, il loro lungo amore li aveva allenati a una comunicazione più profonda: è vero, non occorrono troppe parole tra chi si vuol bene, ma nella vecchiaia è una ulteriore mutilazione. Invece no! Dopo un po’ di tempo Elisabetta si accorse di aspettare un figlio e non uscì di casa per cinque mesi. La tirerà fuori di casa proprio Maria, la giovane cugina che ha saputo di questa inaspettata maternità. E la scena che vogliamo contemplare è l’incontro delle due madri: la donna attempata e confusa, la ragazza entusiasta, protesa al soccorso carica di un segreto gioioso. Questo incontro evoca ataviche immagini della bibbia: il passaggio dell’arca dell’Alleanza con il suo carico di speranza e di certezza della presenza di Dio o la corsa saltellante tra i monti dell’amata in cerca dell’amore da accogliere e donare. Ma i primi a salutarsi, a rompere il silenzio, a interpretare il momento unico nella storia dell’uomo di questo incontro tra antico e nuovo, tra vecchio e giovane, tra passato e futuro sono loro due: Giovanni e Gesù. ”Il bambino si è mosso dentro di me per la gioia”, dice il vangelo. Chi ha ancora il coraggio di parlare di grumi di carne, di pezzi del corpo della madre, di coacervo pure ordinato di cellule, di appendici di vita? Il primo balzo di gioia della salvezza l’hanno fatto loro. Scioglierò il dolore in danza. Loro hanno fatto completare alle madri l’Ave Maria, quella preghiera che ha attraversato i secoli e le stesse religioni e fedi, oltre le fredde distinzioni tra praticanti e non praticanti. Un’ave Maria affiora sulle labbra di tutti coloro che hanno la gioia di conoscere il vangelo. Tra poco queste due vite verranno alla luce, conosceranno strade diverse, avranno caratteri diversi, le loro visioni di mondo si incroceranno, le loro vicende dipenderanno l’una dall’altra. Ciascuna porterà l’impronta della sua terra, della sua famiglia, ciascuno risponderà alla sua vocazione, le due storie si uniranno: il regno di Dio è al suo inizio. Passeranno ancora trent’anni prima che questa consapevolezza esploda, ma già ora per Giovanni e per Gesù comincia la sfida del regno. E sono le due mamme che portando in grembo i figli vengono orientate ad esso. Ti credi di donare di offrire a tuo figlio quando lo pori in grembo debole, dipendente in tutto da te, il sacrificio della tua vita e della tua libertà invece è lui che porta te nel piano di Dio.
Elisabetta non è più la moglie di un uomo senza futuro, ma la madre del Precursore. Si porta in seno quello che sarà chiamato la voce. Maria è la madre del mio Signore, dice Elisabetta, e si porta in grembo la Parola.
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