Colpo
Grosso all’Antonveneta
Lipari
si sveglia con una notizia bomba, tra le 7,30 e le 8,15, tre rapinatori mettono
a segno un colpo da 300 mila euro. Una rapina a mano armata operata da
professionisti e studiata nei minimi particolari compiuta ai danni della Banca
Antonveneta di Lipari.
Ma
andiamo per ordine:
I
ladri, due oltre un complice rimasto fuori a far da “palo”, italiani e
dall’accento napoletano o campano, entrano in azione intorno alle 7,30 di
venerdì 13 luglio. Avevano visto entrare
cinque minuti prima, il vicedirettore Antonio Brundu e i giovani operai Davide
Guarino e Giuseppe Martinucci immediatamente erano entrati in azione,
utilizzando l’ingresso della clientela, lato via Ten. Mariano Amendola. Quello
sorvegliato da una telecamera, la stessa situata sopra il bancomat. I
rapinatori erano vestiti normalmente, uno era a viso coperto mentre l’altro
portava un berretto con la visiera calata sul volto. Una volta all’interno,
avevano la pistola e bloccato in un angolo, legandoli, gli imbianchini. Poco
dopo stessa scena con altri due impiegati che stavano per prendere servizio, e
il direttore Piero Subba. I tre venivano rinchiusi in bagno al piano superiore
dell’edificio.
A
quel punto uno dei rapinatori intimava al vicedirettore Brundu, puntandogli la
pistola, di aprire la cassaforte. Al rifiuto opposto con la motivazione che la
cassa era temporizzata e che quindi non si poteva aprire prima delle 9,00, uno
dei malviventi colpiva il bancario con un colpo di martello alla schiena. Subito
dopo un secondo rifiuto, un altro colpo, forte, sul ginocchio sinistro. A
Brundu, a quel punto non era rimasto altro che aprire il forziere . Proprio in
quei momenti, intorno alle 8,00 entrava in banca, proveniente da Stromboli
l’attuale Sindaco, Marco Giorgianni per depositare una consistente somma di
denaro. Chiaramente ignaro, di quanto stesse accadendo percepì qualcosa di
strano quando uno dei malviventi rimasto nei pressi degli sportelli, gli aveva
indicato, mettendogli una mano sulla spalla, di recarsi nelle zone più interne
dei locali del piano terra. Giorgianni, aveva immediatamente compreso. Aveva
quindi cominciato a urlare, invocando aiuto e provocando la reazione del
bandito di “guardia”. Era nata una colluttazione nel corso della quale Giorgianni,
per non farsi tappare la bocca, aveva ricevuto un lieve colpo al labbro con il
calcio della pistola. Subito dopo era stato costretto a “gattonare” dal piano
terra fino al piano superiore, per non essere visto da fuori attraverso le
ampie vetrate, Frattanto dopo aver svaligiato la cassaforte dei 300 mila euro,
giungeva l’altro rapinatore che redarguiva lo stesso Giorgianni per aver
reagito; lo stesso, offriva ai malviventi la somma da versare ma si sentiva
rispondere “noi non vogliamo i tuoi
soldi!”. Il ricco bottino, del resto, era già in un borsone. Anche
Giorgianni, quindi, veniva condotto in bagno dove già si trovavano gli
impiegati e il direttore Piero Subba. I rapinatori a quel punto, erano le 8,15
circa, si dileguavano per le vie di Lipari. Scattava l’allarme: alle 08,30 i
carabinieri erano già in mare con la motovedetta e al porto di Sottomonastero
per controllare il traffico nei mezzi di linea. Lo stesso accadeva al porto di
Milazzo. Nel corso delle giornata veniva eseguiti controlli in tutta l’isola
anche con agenti in borghese.
Subito
dopo la rapina Lipari viene passata al setaccio con i controlli eseguiti da
parte dei carabinieri, della guardia di finanza e in generale da tutte le forze
dell’ordine presenti nell’isola.
Gli
investigatori di Lipari, per fortuna, ricevevano un assist inatteso.
Giovanbattista Lo Nigro, uno dei rapinatori, fratello di un presunto boss
mafioso, era tenuto sotto controllo attraverso l’intercettazione del telefonino
dal sostituto procuratore della Dda di Palermo Sergio Barbiera, nell’ambito di
una indagine su un traffico di droga gestito da cosa nostra condotta dal Gico
della guardia di finanza di Palermo.
Utilizzando
i telefonini i finanzieri del Gico ed i carabinieri riuscirono a stringere il
cerchio intorno a Sergio Giannone, Francesco Paolo Rubino e Giovanbattista Lo
Nigro. Le intercettazioni portarono all’arresto, nel pomeriggio di sabato,
dapprima di Giannone e Rubino e subito dopo al rientro da una escursione a
Salina, del Lo Nigro, ad opera che carabinieri. Nello stesso pomeriggio, a
Palermo, veniva arrestato anche il basista, Giacomo Sparaco, impiegato
dell’Istituto di Credito. Il basista era stato individuato, attraverso le
intercettazioni telefoniche; la certezza della presenza di un basista nasceva
dalla sicurezza nei movimenti all’interno della banca da parte dei rapinatori,
la perfetta conoscenza dei tempi del “timer” per l’apertura del caveau e dal
fatto che soltanto un dipendente poteva sapere che il giorno prima erano
arrivati i contanti dalla terraferma.
I
fermi sono stati effettuati dal Gico con l’impiego di ben venti uomini e dai
carabinieri di Lipari. L’operazione scattò intorno alle 16,30 in due complessi
residenziali: in località Ponte e nel tratto finale del corso Vittorio Emanuele
dove i malviventi avevano preso in affitto due appartamenti. L’incursione degli
uomini del Gico nell’appartamento di via Ponte portò al recupero della
refurtiva. Giannone e Rubino erano stati catturati dopo una breve fuga da via
Ponte alla via Conti Vainicher e condotti direttamente nella stazione della
tenenza della GdF in via Madre Florenzia Profilio.
Sabato
notte gli agenti del Gico riportarono in banca quasi tutta la refurtiva
ritrovata, meno i 25 mila euro consegnati al basista.
I
tre palermitani erano sbarcati da quasi una settimana a Lipari insieme alle
loro famiglie e avevano affittato i due appartamenti. Nel giro di un giorno e
mezzo, quindi, il caso era risolto.
Stupore,
naturalmente, tra i dirigenti della banca di Lipari per il ruolo ricoperto
nella vicenda dal collega. I sospetti si erano, da subito, indirizzati verso il
giovane di Corleone per una serie di “passi falsi”: l’ingresso per ultimo in
banca subito dopo la fuga dei rapinatori; l’essersi diretto immediatamente
verso il bagno del piano superiore a liberare i suoi colleghi e Marco
Giorgianni, l’unico zona al piano superiore privo di telecamere.
La
domenica mattina, 15 luglio, i rapinatori a bordo di motovedette della GdF e
dei Carabinieri, venivano trasferiti al
Carcere di Gazzi a disposizione della magistratura.
Le
indagini chiarivano le dinamiche della rapina. Il piano era stato pianificato
da Francesco Paolo Rubino, la mente della banda, colui che nell’azione
impugnava la pistola. Rubino era giunto in trasferta a Lipari da 10 giorni con
al seguito la moglie, un figlio e persino la suocera e già il sabato si stava
organizzando il rientro con due borsoni carichi di denaro. Il sabato, infatti,
era sbarcata a Lipari la fidanzata di Sergio Giannone, considerata complice a
tutti gli effetti. La donna aveva portato l’auto per ripartire da Lipari.
L’organizzazione
logistica era stata curata dal Lo Nigro, abituale frequentatore di Lipari dove
da anni trascorreva le vacanze. Era stato lui, “il palo” che aveva telefonato
ai complici all’interno della banca per anticipare l’arrivo di Marco
Giorgianni.
La
telefonata che aveva fatto individuare il basista era stata, invece,
inizialmente diretta alla titolare di un esercizio commerciale situato vicino
alla banca. Lo Nigro, infatti, non riusciva a contattare il telefono cellulare
del cassiere della banca e, conoscendo perfettamente i luoghi, aveva telefonato
alla negoziante per chiederle se poteva chiamare “Giacomo”. Cosa che la donna
aveva fatto, recandosi in banca e informando il cassiere della telefonata.
Tutto questo mentre gli agenti del Gico ascoltavano i colloqui.
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