Era un giorno di tempesta, il mare
batteva furioso la testa ricciuta di capelli bianchi; una dura testa
dalla fronte nera, contro gli scogli dell’isola del Purgatorio e
del porticciolo di Marina Corta. Il piccolo piroscafo che fa servizio
tra Milazzo e Lipari ballava sulle onde. Prima scese mia madre, nella
barca di Giuseppe Valastro. Poi il toro incappucciato, imbracato; poi
il prete nero, poi il dottor Fenech che veniva da Messina, poi
l’avvocato Franza, il mio padrone di casa, che veniva anch’egli
da Messina, poi i due carabinieri, col moschetto a tracolla, poi il
morto che avevano imbarcato a Vulcano, tutto avvolto in un lenzuolo
stretto da funi. Poi i sacchi di farina.
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Caro Esilio
Come azzurri stasera
sorgon dal mare in fondo all’orizzonte.
Disteso sulla neratiepida sabbia ascolto i pescatori
parlar sommessi della nuova luna
di primavera, e lieti
auspici trarre dal color dell’aria.
La verde alba lunare
m’invade, e in cuor m’annega ogni rimpianto.
Lieve mi freme accanto
l’onda e mi parla dolce nell’orecchio.
sorgon dal mare in fondo all’orizzonte.
Disteso sulla neratiepida sabbia ascolto i pescatori
parlar sommessi della nuova luna
di primavera, e lieti
auspici trarre dal color dell’aria.
La verde alba lunare
m’invade, e in cuor m’annega ogni rimpianto.
Lieve mi freme accanto
l’onda e mi parla dolce nell’orecchio.
M’è caro ormai l’esilio, mi son care
ormai quest’alte rupi e queste rive
gialle di zolfo e di ginestre: e solo
questo deserto mare
m’ode talvolta mormorar parole
dove non trema il pianto, ma un segreto
riso felice che nel cuor mi duole.
ormai quest’alte rupi e queste rive
gialle di zolfo e di ginestre: e solo
questo deserto mare
m’ode talvolta mormorar parole
dove non trema il pianto, ma un segreto
riso felice che nel cuor mi duole.
Curzio Malaparte
Lipari, 28 aprile 1934
Malaparte lascia Lipari il 27 giugno del 1934.
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