(di Michele Giacomantonio) Nel mio intervento a commento della manifestazione
“In ricordo del professore Giuseppe Iacolino” promossa il 9 novembre scorso dal
Rotary club e dal Comune di Lipari scrivevo che forse, fra i tanti aspetti
messi in luce, era stato un po’ trascurato il grande contributo di
Iacolino per fare chiarezza su alcuni
nodi importanti della nostra storia locale: un contributo, aggiungevo. che può
essere paragonato solo a quello di un altro grande protagonista della nostra
cultura, Luigi Bernabò Brea. E fra i contributi citavo la ricerca sulle origini
del Cristianesimo a Lipari ed in particolare sulla storicità della figura del
primo Vescovo di Lipari Sant’Agatone , ritenuto leggendario dai più e perfino
da Bernabò Brea.
Citavo ma non approfondivo perché preferii , allora,
soffermarmi su un altro suo importante contributo del professore: quello sullo
strutturarsi della municipalità eoliana partendo da un atto notariale del 22
maggio 1246.
Ora vorrei
cercare di sviluppare il contributo sulle origini del Cristianesimo nelle
nostre isole.
Sant’Agatone
figura storica o leggendaria?
Luigi Bernabò Brea nel suo libro “Le isole Eolie dal tardo antico ai Normanni”,
pubblicato nel 1989 aveva scritto "E'
del tutto inconsistente, dal punto di vista storico, un primo vescovo,
Sant’Agatone, che risalirebbe al III secolo, al tempo cioè della persecuzione
di Valeriano. La sua figura, è probabilmente immaginaria. Il nome sarebbe stato
preso da quello del vescovo, assai più tardo, ricordato da S.Gregorio Magno,
l’unico dei primi vescovi di Lipari il cui nome fosse ricordato da fonti
letterarie. Sant’Agatone compare infatti solo in fonti tarde e criticamente
inattendibili e cioè nel complesso di leggende, composte fra il VII e il IX
secolo che fioriscono intorno ai santi martiri di Lentini Alfio, Cirino e
Filadelfio. Il primo vescovo – aggiunge il grande archeologo – di cui si abbia notizia certa è Augusto che
partecipa a due concilii tenuti a Roma al tempo del Papa Simmaco: il primo
dell’Ottobre 501 (…); il secondo del Novembre 502(…)” (pag.14-15).
Iacolino parte, nel suo ragionamento, dall’Annuario
Pontificio che alla voce Diocesi di Lipari aggiunge tra parentesi una data: V secolo ed argomenta che visto che un
vescovo di Lipari (Augusto) risulta aver partecipato alle sessioni del sinodo
romano 501 e 502, cioè all’alba del VI secolo, ciò deve avere indotto, giustamente,
i redattori dell’Annuario ad affermare che la Chiesa di Lipari doveva già
esistere nel secolo precedente. Ma a suffragare questa ipotesi, aggiunge
Iacolino, non c’è solo la logica deduttiva dei redattori dell’Annuario ma
chiare testimonianze epigrafiche cristiane in lingua greca, rinvenute a Lipari
, tre delle quali ci riportano diritto al V secolo e molto più a ritroso nel
tempo. E cita l’epigrafe di Proba della seconda metà del V secolo che parla
della Santa e Cattolica Chiesa dei
Liparéi; quella di un anonimo del 470 e soprattutto quella di Asella che è
del 394 ma che ci rivela che a Lipari sul finire del IV secolo si erano
consolidati moduli culturali e di costume così squisitamente cristiani maturati
sicuramente in un secolo ed oltre portandoci a quella metà del III secolo
quando, secondo la tradizione, la Chiesa di Lipari era retta dal vescovo
Sant’Agatone.
Il
quadro di Sant’Agatone nella Cattedrale di Lipari. L’arrivo del corpo di San
Bartolomeo.
Una considerazione forse ardita ma sostenuta anche
da un importante archeologo e storico della Chiesa, mons. Louis Duchesne che
nel 1912 scriveva, proprio a proposito della Chiesa di Lipari, al prof. Carlo
Alberto Gafuri che “ è poco verosimile
che, nei tempi tristi e torbidi del V secolo, si siano fondati vescovadi in
quelle regioni d’Italia” per cui era da ritenere, come quasi dimostrato,
che ogni vescovato constatato prima della guerra gotica, cioè prima del 535,
deve risalire almeno al IV secolo più o meno inoltrato. Anzi, aggiunge, il
Duchesne che si potrebbe giungere sino alla metà del III secolo “ se fosse prudente fidarsi della leggenda
bizantina di Leontini” (C.A. Garufi,
Le Isole Eolie a proposito del ‘Constitutum’ dell’Abate Ambrogio, in
“Archivio storico per la Sicilia Orientale”, anno IX,1912, pag.159 ) .
La
Legenda di Lentini
Ed allo studio di questa Legenda si dedica il prof.
Iacolino che, nel libro citato, vi riserverà ben 24 pagine. Ma che cos’è questa
Legenda bizantina di Lentini? E’ uno scritto del monaco siculo-greco Basilio
che nel 964, ben settecento anni dopo l’accadimento dei fatti e cioè il
supplizio dei martiri Alfio, Cirino e Filadelfio avvenuto fra il 251 ed il 259
al tempo dell’imperatore Valeriano, attingendo a racconti popolari, per lo più
tramandati oralmente, li assembla arricchendoli di particolari fantasiosi e
fantastici. Certo il pio monaco non aveva alcuna intenzione di dare un
contributo rigoroso alla storia ma solo di contribuire alla edificazione ed
alla pietà del popolo, e così lo scritto è risultato zeppo di personaggi
improbabili, di interventi soprannaturali e misteriosi, di un eccesso di
guarigioni miracolose, di apparizioni di Santi fino all’inverosimile senza
trascurare gli errori cronologici.
E’ possibile, si chiede Iacolino, recuperare in
questa prolissa trama romanzesca un qualche elemento di veridicità storica che
possa servire alla nostra ricerca? Una preziosa indicazione, che Iacolino fa
propria, viene dallo storico benedettino Domenico Gaspare Lancia di Brolo
secondo il quale il monaco Basilio avrebbe raccolto le tradizioni locali e le avrebbe
stese “allargandole e infiorandole con
discorsi e dettagli che, sebbene esagerati, pure non ne alteravano il fondo e,
nella sostanza, non dovevano essere privi di fondamento”. Quindi, conclude
lo storico benedettino, “ ritengo questi
atti, con tutti i loro difetti, essere tanto più preziosi per la nostra storia
quanto che ogni altra memoria di quell’epoca è perita” (Storia della Chiesa
in Sicilia nei dieci primi secoli del Cristianesimo, Palermo 1880, p.120).
Bernabò Brea, di fronte all’ampio risalto che la
Legenda dà a Sant’Agatone, aveva avanzato l’ipotesi – da lui stesso, per primo,
giudicata molto fragile – che l’Agatone delle Legenda sia lo stesso Agatone che
nel VI secolo papa Gregorio Magno
esonerava dalla carica di vescovo di Lipari riducendolo allo stato monacale. Probabilmente, aggiunge
Bernabò, questi aveva trovato accoglienza in un convento di Lentini ed era
entrato nella narrazione popolare dalla quale lo recupera Basilio facendolo
protagonista del suo racconto (op,cit, pag.14 nella nota n.5).
Iacolino invece non ha dubbi che l’Agatone di cui si
parla sia proprio il Santo vescovo del III secolo, che -
come dice la Legenda di Lentini - per paura della persecuzione dei romani
abbandona Lipari e si rifugia in una grotta alle pendici dell’Etna dove
incontra Alessandro, braccio destro del tiranno, caduto in disgrazia e anche
lui fuggitivo. Agatone lo incoraggia, lo sostiene , lo guida nel cammino della
conversione e
lo battezza imponendogli il nuovo nome di Neofito. Più tardi gli conferisce il
presbiterato e lo propone vescovo di Lentini. Quindi decide di tornare a Lipari
con “i primi cittadini delle isole e
altri del clero” che erano venuti a trovarlo a Lentini “per divina rivelazione” per annunciargli “che la persecuzione contro i Cristiani è cessata e che essi ormai
vivono tranquilli”.
Secondo Iacolino, al di là delle
digressioni del narratore, il monaco Basilio avrebbe rispettato la verità di
fondo che i racconti popolari contenevano. E la verità è che esiste un vescovo
che è fuggito per paura di fronte ad una persecuzione di cui esistono riscontri
storici, come riscontri storici esistono della successiva pacificazione ai
tempi dell’imperatore Gallieno che ai cristiani restituì beni patrimoniali e
libertà di culto. Se uno degli scopi di Basilio era quello di rievocare la
genesi della Chiesa Leontinese perché, con la sua fervida fantasia, si
chiede Iacolino, non fece risalire quella Chiesa a quella di Siracusa che,
rispetto alla periferica Chiesa di Lipari, vantava più nobili memorie e più
solide tradizioni? E perché affidare il battesimo di questa chiesa ad un
vescovo fuggiasco per paura della persecuzione? Evidentemente – osserva sempre
Iacolino – il ruolo che nella primitiva comunità di Lentini esercitò il vescovo
di Lipari doveva avere radici così profondamente storiche da non potere
sottacersi o subire alterazioni di sorta.
Oltre Iacolino? Il Cristianesimo a Lipari prima del
III secolo?
Fin qui
Iacolino: la Chiesa di Lipari esisteva già nel III secolo e suo vescovo era il
Sant’Agatone che presiede all’arrivo delle spoglie di San Bartolomeo come
affermano Giuseppe l’Innografo e San Teodoro Studita.
E prima
ancora? Esistono credenze popolari che fanno supporre una datazione più antica
dell’arrivo del Cristianesimo a Lipari?
“E’
credenza – scrive il Can. Carlo Rodriquez nel 1841 nel suo saggio Breve cenno storico sulla Chiesa Liparese,
(Palermo,
estratto dal Giornale letterario, n. 225 e 226, 1841, pag. 5 e 6)
– che la fede cristiana si fosse stabilita in Lipari sin dal tempo
degli Apostoli; e Paolo (l’Apostolo) venuto in Reggio, si reputa per mera
tradizione passato da Messina , e per la vicinanza di quella provincia a
quest’isola qui esservi condotto, predicare il Vangelo ed innalzare alla cima
del sacerdozio per la prima volta Liparese Chiesastico. Ma niun documento
esiste per rafforzare opinione siffatta; per il che à uopo di altri tempi più a
noi vicini intertenerci, poiché le Siciliane Storie non furono a noi
tramandate, anzi distrutte nella saracenica invasione…”.
Prima
del Rodiquez , però, nel 1783, della possibilità che la Chiesa di Lipari fosse
stata fondata da San Paolo ne aveva parlato Giuseppe La Rosa nel primo volume
della sua “Pyrologia Topostorigrafica
delle Isole di Lipari”( a cura di Alfredo Adornato, Lipari, 1997).
Come
il Can. Rodriquez, l’avv. La Rosa segue il discorso tradizionale del naufragio
a Malta e, ripreso dopo tre mesi il viaggio,
della sosta a Reggio a cui aggiunge Messina e ipotizza la tappa a
Lipari, lungo il tragitto, grazie al Comandante della nave che avrebbe accolti
i desideri di Paolo. Una ipotesi forse più credibile di quella tradizionale riportata
dal Rodriquez secondo il quale l’evangelizzazione di Lipari e Messina sarebbe
avvenuta durante la sosta a Reggio cioè il tutto – Reggio, Messina e Lipari -
in una mezza giornata che è il tempo che, secondo l’evangelista Luca, la nave
avrebbe sostato a Reggio prima di salpare per Roma (“Poi navigando lungo la costa giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si
levò il vento del sud e così in due giorni potemmo arrivare a Pozzuoli 28,13).
Più credibile, ma comunque sempre improbabile l’ipotesi di La Rosa. Quale tempo
avrebbe potuto concedere un Comandante ad un passeggero che era oltretutto in
cattività? Qualche ora? E sarebbe stata sufficiente per evangelizzare la gente
di Lipari e trovare un Vescovo?
Di
fronte a questi nodi non stupisce che Iacolino non abbia preso in seria
considerazione l’idea che S.Paolo fosse mai passato da Lipari e l’abbia
evangelizzata. Secondo il professore questa di rivendicare una evangelizzazione
diretta degli apostoli sarebbe trattato un vezzo diffusosi in età rinascimentale fra
molte Chiese per darsi una sorta di blasone apostolico.
Pure
avendo condiviso negli anni passati la posizione del prof. Iacolino tanto da
averla sostenuta nel mio “Navigando nella
storia delle Eolie” che è del 2010, in questi ultimi anni mi sono venuto convincendo che l’ipotesi di
un passaggio per Lipari di San Paolo è tutt’altro che peregrina, ma a
differenza di Rodriquez e La Rosa – come ho scritto nel saggio “La nascita del cristianesimo nelle Eolie”
pubblicato nel libretto “La religione
nella Lipari antica”,( Marina di
Patti, 2016) dove faccio un primo resoconto di questa ricerca - nella mia ipotesi questo non sarebbe avvenuto nell’ultimo
tratto del viaggio: da Malta a Roma passando per Reggio ma sostituendo il
naufragio a Malta con un naufragio a Lipari.
Una rilettura di Giuseppe La Rosa
Come nasce questa ipotesi del naufragio a Lipari?
Innanzitutto da una rilettura di quanto scrive l’avv. La Rosa, che al di là del
come e del quando sarebbe avvenuta la sosta di San Paolo alle Eolie, ha una sua
originalità. Egli sottolinea con forza la tradizione esistente a Lipari ai suoi
tempi ( e ormai oggi dimenticata) di essere stati evangelizzati da Paolo.
Che San Paolo sia passato da Lipari e l’abbia
evangelizzata “appresso i Liparoti – scrive il La Rosa - ve n’è antichissima tradizione passata da Padri a Figli, e dall’una
all’altra generazione sino a questi tempi: e tanto appunto pare volesse
significare Innocenzio Papa in una sua epistola scritta a Decenzio, rapportata
dall’Abbate Rocco Pirro nella sua Sicilia Sacra, dove tratta della Chiesa di
Lipari, per le parole di quel Pontefice ci s’insinua in qualche modo essere
stata la Sicilia con l’Isole adiacenti convertita dall’Apostoli che vi crearono
vescovi (Rocco Pirri, in Sicilia Sacra de Ecclesiae Liparensis, nota 8)”.
Che La Rosa dica che ai suoi tempi era viva questa
tradizione non è un dettaglio da
trascurare. Infatti egli scrive in un ‘epoca, il 1783, dove le tradizioni si
conservavano più facilmente perché non c’era il bombardamento giornaliero e
continuo dei mass-media che allargano la conoscenza nello spazio ma la riducono
nel tempo. Inoltre una realtà isolata come erano le Eolie le storie che si
raccontavano in casa e si ripetevano nelle strade e nelle piazze, non dovevano
essere molte. Per di più non si era ancora diffusa nelle isole quella
secolarizzazione che aveva aggredito la centralità del sacro a vantaggio del
profano. La religione era ancora un dato centrale della cultura a cui
ricondurre ogni evento come fa appunto anche un erudito come La Rosa parlando,
ad esempio, dei terremoti.
Una seconda sollecitazione a perseverare in questa
ricerca viene da una scoperta: solitamente
oggi quasi tutte le versioni degli Atti degli Apostoli palano di
Malta come l’isola del naufragio ma, in realtà Luca negli Attii parla di Melita
(Μελιτη ) l’ isola del miele. ”Una
volta in salvo venimmo a sapere che l’isola si chiamava Melita”(At 28,1).
La contesa fra Malta e Meleda
sull’isola del naufragio
E proprio questo termine diede luogo in passato ad
una disputa perché nel “De administrando imperio” l’imperatore
e storico bizantino Costantino Porfirogenito, nell’anno 949, afferma con
sicurezza: il naufragio della nave che trasportava San Paolo avvenne a
Melita-Meleda, isola della Dalmazia a nord di Ragusa ( Costantino
Porfirogenito, De Administrando Imperio,
ed. Gy. Moravcsik,
trans. R.J.H. Jenkins, rev. ed., Washington, Dumbarton Oaks Center for
Byzantine Studies, 1967. “Alteram (insulam) quae Melete sive
Malozeatae, cuius in Acta apostolorum, S. Lucas meminit, Melitem eam appellans,
ubi et vipera divi Pauli digitum mordens ab eo exussa igne conflagravit” ,
cap. 36, pag. 163).
Gli
scogli degli isolotti detti oggi isole di San Paolo, nella baia di San Paolo a Malta.
Meleda oggi Mljet e la costa Dalmata.
Di contro, nel 1600 cominciò a fiorire una ricca
letteratura sul naufragio di San Paolo favorevole alla ben più importante
(politicamente) isola di Malta divenuta nel 1530 la nuova sede dei Cavalieri Ospitalieri con
l’aiuto e la benedizione di Papa Clemente VII e dell’imperatore Carlo V. I
Cavalieri Ospitaleri vennero così
soprannominati Cavalieri di Malta e continuarono la
loro azione contro la guerra di corsa musulmana, combattendo con la loro flotta
i corsari provenienti dal Nordafrica berbero. Malgrado avessero a disposizione
solo poche navi, erano degli esperti navigatori e causarono non poche noie alle
navi ottomane, attirandosi la gratitudine del Papa e degli stati cristiani.
Forte di questo dato di fatto, Malta cercò di affermare la sua candidatura ad isola
del naufragio di Paolo.
Si apre quindi una contesa fra Malta e Meleda. E se
Meleda si affida allo storico e poeta raguseo Ignazio Giorgi (1675-1737),
abbate dei Benedettini Neri di Méleda, consultore e teologo della Repubblica di
Ragusa, che nel suo opuscolo dal titolo “D. Paulus apostolus in mari,
quod nunc Venetus Sinus dicitur, naufragus et Melitale Dalmatensisi insulae
post naufragium hospes” descrive il viaggio avventuroso compiuto
dall’Apostolo sull’Adriatico, ovvero nel Golfo di Venezia, avvalorando la
propria tesi con citazioni attinte da oltre trecento scrittori antichi e suoi
contemporanei, dall’altra il Cavaleriato sviluppa tutta la propria influenza
che è fortissima soprattutto a Roma. Il lavoro del Giorgi, pubblicato a Venezia
nel 1730,diede origine ad una polemica dalmato-maltese che si è
prolungata con varie fasi sino ad oggi anche se nella seconda metà del ‘700
papa Benedetto XIV cercò di chiuderla a favore di Malta.
Proprio questa disputa mi ha richiamato alla mente che nel Mediterraneo oltre a Malta e Méleda c’è una terza isola che si collegava al miele nel suo nome antico: Lipari il cui nome greco era Meligunis (Μελιγουνίς ) che potrebbe voler dire “isola del miele” .
Proprio questa disputa mi ha richiamato alla mente che nel Mediterraneo oltre a Malta e Méleda c’è una terza isola che si collegava al miele nel suo nome antico: Lipari il cui nome greco era Meligunis (Μελιγουνίς ) che potrebbe voler dire “isola del miele” .
Rileggere gli Atti degli Apostoli
A questo punto il terzo passo è stato quello di
rileggere con attenzione cosa Luca dice a proposito del viaggio e del
naufragio.
“Appena cominciò
a soffiare un leggero scirocco, ritenendo di poter realizzare il progetto,
levarono le ancore e si misero a costeggiare Creta da vicino. Ma non molto
tempo dopo si scatenò dall'isola un vento di uragano, detto Euroaquilone. La nave fu travolta e
non riusciva a resistere al vento: abbandonati in sua balìa, andavamo alla
deriva. Mentre passavamo sotto un isolotto chiamato Cauda, a fatica
mantenemmo il controllo della scialuppa”.(Atti
27,13-16 ).
“Come giunse la
quattordicesima notte da quando andavamo alla deriva nell'Adriatico, verso
mezzanotte i marinai ebbero l'impressione che una qualche terra si avvicinava. Calato
lo scandaglio, misurarono venti braccia; dopo un breve intervallo,
scandagliando di nuovo, misurarono quindici braccia. Nel timore di finire
contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando con ansia che
spuntasse il giorno” (Atti,27,27-29).
“Quando si fece
giorno, non riuscivano a riconoscere la terra; notarono però un'insenatura con
una spiaggia e decisero, se possibile, di spingervi la nave .Levarono le ancore
e le lasciarono andare in mare. Al tempo stesso allentarono le corde dei
timoni, spiegarono la vela maestra e, spinti dal vento, si mossero verso la
spiaggia. Ma incapparono in una secca e la nave si incagliò: mentre la prua,
arenata, rimaneva immobile, la poppa si sfasciava sotto la violenza delle onde”
(Atti 27, 39-41…).
Viaggio di San Paolo a Roma. Itinerario tradizionale con
naufragio a Malta
“[Il centurione diede] ordine che si
gettassero per primi quelli che sapevano nuotare e raggiungessero terra;44poi
gli altri, chi su tavole, chi su altri rottami della nave. E così tutti
poterono mettersi in salvo a terra(Atti
27, 43,44).
Viaggio di San Paolo a Roma. Itinerario con naufragio a
Lipari.
Per quanto riguarda il viaggio il vento di uragano che si
scatenò doveva essere un vento che soffiava dal sud verso il nord perché dopo
14 giorni di deriva si trovarono nell’Adriatico che allora comprendeva anche lo
Ionio. Un tragitto che taglia inesorabilmente fuori Malta. La nave entrò nel
canale d’Otranto e prese a risalire l’attuale Adriatico dirigendosi verso le
coste della Dalmazia?
Sembra strano che una nave di Alessandria che faceva
abitualmente il tragitto per l’Italia (Atti, 27, 6) confondesse lo stretto di
Messina col canale d’Otranto per quanto la visuale fosse compromessa e
risalisse la costa greca e quella dalmata,. Più probabilmente come Malta anche
Meleda diventa una meta improponibile.
Rispetto
a Malta e Meleda, Lipari è l’unica che si trova sulla rotta per Roma.
Un riscontro straordinario
E
pare quasi di vedere il bastimento che in una notte d’autunno, sospinto da un
forte scirocco, si approssima alla rocca di Lipari che è circondata da una
scogliera bassa – detta Sottoilpalo - dove la prua del naviglio avrebbe potuto
incagliarsi mentre la poppa rimane esposta ai marosi. E pare sempre di vedere i
naufraghi che si gettano a mare e cercano di raggiungere Marina Lunga che
allora era solo una spiaggia, dove li accolgono gli abitanti che Luca definisce
“barbari” probabilmente perché parlano un linguaggio che non comprende
anche se intorno al 60 d. C. la gente di Lipari avrebbe dovuto comprendere non
solo il latino visto che si trovavano da più di trecento anni sotto la
dominazione di Roma ma anche il greco che era la loro lingua originaria.
Ma siamo all’alba e la gente che incontrano non saranno stati certo membri della borghesia locale ma popolani, forse pescatori che parlano un qualche dialetto locale.
Ma siamo all’alba e la gente che incontrano non saranno stati certo membri della borghesia locale ma popolani, forse pescatori che parlano un qualche dialetto locale.
“Una
volta in salvo, venimmo a sapere che l’isola si chiamava Melita
(Μελιτη)”. Gli abitanti ci trattarono con rara umanità, ci accolsero tutti
attorno ad un fuoco che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia e
faceva freddo”.(Atti 28, 1-2).
“Là
vicino vi erano i possedimenti appartenenti al governatore dell’isola di nome
Publio, questi ci accolse e ci ospitò con benevolenza per tre giorni” (Atti
28,7).
Comunque il
governatore doveva essere romano come rivela il nome Publio e Lipari era
governata dai romani fin dal 251 a. C. e la casa di Pubblio avrebbe potuto
essere dove oggi c’è Piazza Mazzini o addirittura il Municipio, quindi a poche
centinaia di metri da Marina Lunga, rendendo realistica una comunicazione a
distanza soprattutto di primo mattino.
Il padre di Publio, racconta Luca, giaceva a letto colpito da febbre e da dissenteria. Paolo lo guarì e guarì anche altri abitanti dell’isola che avevano malattie. Questo procurò a Paolo e i suoi amici molti onori ed, al momento della partenza i rifornimenti necessari.
Il padre di Publio, racconta Luca, giaceva a letto colpito da febbre e da dissenteria. Paolo lo guarì e guarì anche altri abitanti dell’isola che avevano malattie. Questo procurò a Paolo e i suoi amici molti onori ed, al momento della partenza i rifornimenti necessari.
“Dopo tre mesi
salpammo con una nave di Alessandria, recante l’insegna dei Dioscuri, che aveva
svernato nell’isola. Approdammo a Siracusa dove rimanemmo tre giorni. Salpati
da qui giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si levò lo scirocco e così
l’indomani arrivammo a Pozzuoli”(Atti 28, 11- 13).
Abbiamo voluto seguire, riprendendoli direttamente da Luca, quei passaggi del racconto che in qualche modo riguardano l’isola e ci sembra di poter dire che tutto sembra adattarsi a Lipari in maniera stupefacente. Il fatto che Paolo possa essere rimasto a Lipari tre mesi aspettando che passasse l’inverno per trovare una nave che lo porti a Roma, rende ancora più suggestiva questa ricostruzione facendo pensare quale grande iniziazione al cristianesimo potrebbe avere ricevuto la chiesa dei Liparei.
Un ultimo interrogativo? Perché una nave di Alessandria, che dopo tre mesi porta i naufraghi via dall’isola, fa scalo prima a Siracusa e poi a Reggio quando Reggio è a poche miglia da Lipari? Questa nave, che fu costretta a svernare a Lipari dalle condizioni meteomarine, potrebbe avere avuto due tappe programmate: quella di Siracusa e quella di Pozzuoli o addirittura Ostia che era il porto di Roma. Siracusa è la vera tappa programmata prima di procedere per il continente ed infatti a Siracusa si ferma tre giorni, mentre Reggio sembra essere solo una tappa di passaggio, una sosta in attesa del vento favorevole..
Abbiamo voluto seguire, riprendendoli direttamente da Luca, quei passaggi del racconto che in qualche modo riguardano l’isola e ci sembra di poter dire che tutto sembra adattarsi a Lipari in maniera stupefacente. Il fatto che Paolo possa essere rimasto a Lipari tre mesi aspettando che passasse l’inverno per trovare una nave che lo porti a Roma, rende ancora più suggestiva questa ricostruzione facendo pensare quale grande iniziazione al cristianesimo potrebbe avere ricevuto la chiesa dei Liparei.
Un ultimo interrogativo? Perché una nave di Alessandria, che dopo tre mesi porta i naufraghi via dall’isola, fa scalo prima a Siracusa e poi a Reggio quando Reggio è a poche miglia da Lipari? Questa nave, che fu costretta a svernare a Lipari dalle condizioni meteomarine, potrebbe avere avuto due tappe programmate: quella di Siracusa e quella di Pozzuoli o addirittura Ostia che era il porto di Roma. Siracusa è la vera tappa programmata prima di procedere per il continente ed infatti a Siracusa si ferma tre giorni, mentre Reggio sembra essere solo una tappa di passaggio, una sosta in attesa del vento favorevole..
Michele Giacomantonio
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