Satnam Singh era una persona, un essere umano. Aveva due occhi come noi. La bocca come noi. Un braccio solo perché l'altro gli è stato strappato da una macchina sulla quale faceva lo schiavo e gli ha fatto uscire tutto il sangue che aveva, dello stesso colore del nostro. La moglie urlava di terrore mentre il suo aguzzino (non chiamiamolo datore di lavoro) li portava davanti alla loro casa e li buttava fuori dal furgone e lanciava il braccio amputato in mezzo alle cassette della frutta. La moglie l'ha visto e sentito mentre diventava sempre più freddo e finché moriva, tra le sue braccia. Non aveva il permesso di soggiorno. Non era regolare. Adesso alla moglie le è stato concesso per motivi di non so che tipo. E' successo tutto vicino a Latina ma forse lui non merita un giorno di lutto come il lavoratore italiano che è morto oggi a Bolzano. Lui, Satnam Singh, era nero, irregolare, ma non è morto sul lavoro, è stato assassinato per un paio di euro all'ora per noi. Non era un dipendente, era uno schiavo, uno schiavo di tutti noi. E se pensiamo o diciamo: io che c'entro, siamo ancora più complici e colpevoli.
Francesco Coscione
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