Riceviamo dal signor Attilio Onofaro e pubblichiamo:
In seguito all'Armistizio dell'8 settembre 1943, l'Italia cessò l'alleanza con la Germania nazista nel corso della 2° Guerra Mondiale.
Ciò provocò la reazione della potenza tedesca, che con varie azioni riuscì immediatamente a neutralizzare tutte le Forze Armate italiane, sia sul territorio italiano che sui fronti di guerra e di occupazione in cui esse si trovavano (in Francia, come in Jugoslavia, Albania e Grecia).
In concreto, la Germania catturò, per destinarli al lavoro, circa 820.000 militari italiani, che furono immediatamente deportati nei campi di prigionia tedeschi e nella Polonia occupata. Stessa sorte toccò a migliaia di civili rastrellati in tutta Italia, quali operai, minatori, tecnici, diplomatici, funzionari, politici, etc.
Con una mossa astuta e in sfregio alla Convenzione di Ginevra, i nostri soldati furono dichiarati da Hitler “Internati Militari Italiani” (anziché “prigionieri di guerra”) e furono coattivamente utilizzati nei lavori, specialmente per rimpiazzare i lavoratori tedeschi, destinati, invece, ai fronti di guerra.
In condizioni disumane di maltrattamenti mentali, materiali e alimentari, i nostri militari e i nostri civili furono impiegati nelle fabbriche di produzione bellica, a rimuovere macerie, a ricostruire le infrastrutture distrutte dai bombardamenti, a scavare trincee o ancora al lavoro agricolo. Il 90% di essi accettò fino alla fine questa condizione e si rifiutò sempre di aderire alla Repubblica di Salò.
Di questi, alla fine delle ostilità, più di 130.000 non faranno mai più ritorno a casa.
In più di 60 anni di storia post-bellica, lo Stato italiano repubblicano ha più volte dato la sensazione di avere dimenticato questi suoi eroi, travolti dagli eventi dopo l'Armistizio. Tante, infatti, sono state le promesse di indennizzo nei confronti sia dei sopravvissuti ai lavori forzati (la cui vita, in molti casi, ne risultò psicologicamente condizionata) che dei parenti di chi non ha più fatto ritorno dai lager nazisti. Purtroppo, altrettante sono state le beffe, nascoste tra incomprensibili cavilli interpretativi circa lo status di chi fu fatto prigioniero (ultima la deludente iniziativa italo/tedesca del 2001 intitolata “Memoria, Responsabilità e Futuro”) e la perenne indisponibilità di risorse che accontentassero tutti.
Adesso, lo Stato italiano riconosce il sacrificio dei propri cittadini attraverso la concessione di una “Medaglia d'Onore” a tutti i cittadini italiani -civili e militari e, ove deceduti, ai loro familiari – che, dopo l'8 settembre 1943 furono catturati e detenuti dai tedeschi e non accettarono l'adesione alla Repubblica di Salò.
La Medaglia ha certo un alto valore simbolico, ma, anche se in modo tardivo, servirà sia a risarcire soprattutto moralmente i molti familiari di chi nel frattempo è deceduto e i pochi reduci (oramai ultra ottantenni) del lavoro coatto, sia a creare una importante banca dati di chi, pur avendo vissuto questa terribile esperienza, è sempre rimasto nascosto e dimenticato tra le pieghe della storia.
Dalle righe di questo giornale, quindi, vogliamo lanciare un appello a tutti coloro i quali riconoscano di avere titolo (come militari o civili in vita o parenti di militari o civili deceduti) a richiedere la Medaglia d'Onore concessa dallo Stato (purtroppo, lo Stato sembra avere “dimenticato” chi e quanti effettivamente hanno vissuto questa terribile esperienza e quindi, in generale, occorre necessariamente richiederLa, tramite una modulistica obbligatoria, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che istruisce il procedimento per conto della Presidenza della Repubblica), così da ottenere il giusto riconoscimento del proprio sacrificio.
Attilio Onofaro
Egregio Direttore,
mi ha fatto enorme piacere che il suo giornale abbia dedicato uno spazio all'importante cerimonia di consegna della Medaglia d'Onore al sig. Mollica. Questa è una pagina di Storia recente, recentissima. Ecco perché ho pensato di inviarLe un breve contributo per spiegare meglio, magari ai più giovani, il senso della Medaglia d'Onore. La vicenda del Sig. Mollica, come scrivevo prima, è comune a molti italiani e a molte famiglie italiane. Il riconoscimento che il Presidente della Repubblica ha concesso al sig. Mollica è lo stesso che è stato dato a mio nonno Onofaro Calogero di Naso (ME), in onore della Sua eroica partecipazione alla 2° Guerra Mondiale, quale militare ridotto dalle forze Tedesche in condizioni di schiavitù, internato prima in un campo di concentramento e destinato, poi, al lavoro coatto in Germania, a seguito dell'8 settembre 1943.
Pur trattandosi di un riconoscimento tardivo (sono passati ben 65 anni dalla Liberazione!) e dal sapore tristemente amaro (purtroppo, mio nonno è morto un anno e mezzo fa -prima del riconoscimento- e per tanto tempo, in vita, ha aspettato che lo Stato, in qualche modo, si ricordasse del suo sacrificio), so che, da Lassù, mio nonno è ugualmente contento e con piacere, ancora una volta, ricomincerebbe instancabilmente a raccontarmi l'incredibile Storia di un ragazzo appena ventenne sopravvissuto, tra mille traversie e pericoli, ad una delle più terribili tragedie dell'umanità. Per tenere memoria. Per non dimenticare mai.>>
Attilio Onofaro
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