Pareva che fossero tutte le condizioni perché l’ex presidente della Regione Siciliana, Totò Cuffaro, ottenesse l’affidamento ai servizi sociali dopo il parere favorevole della Procura della Repubblica di Roma, invece il Tribunale di sorveglianza della Capitale ha espresso una decisione negativa. E sono stati spiazzati tutti, a cominciare dal mondo dell’informazione che aveva preparato “l’accoglienza” fuori dalle mura di Rebibbia.
Anche per il detenuto, naturalmente, è stato un fulmine a ciel sereno, perché aveva assaporato la possibilità di lasciare il carcere. E con lui, l’avvocato, Maria Brucale, studio legale a Roma, che l’ha assistita da un anno a questa parte, lungo il percorso che avrebbe dovuto accompagnarlo all’Istituto dei Ciechi di Roma, dove la Procura aveva deciso di mandarlo una volta che avrebbe lasciato Rebibbia.
“Siamo basiti, abbiamo accolto la decisione con amarezza, con autentico dispiacere”.
Avete in animo di accettare il “verdetto” o ricorrere?
“La prospettiva possibile è un ricorso in cassazione, ma possiamo reiterare la richiesta di affidamento ai servizi civili. Occorre che vi siano nuovi presupposti per farlo…”.
Vi aspettavate una decisione diversa, questo è chiaro. Perché confidavate nell’esito positivo?
“Cuffaro si è costituito in carcere, ha accolto la detenzione come una occasione di formazione personale, ha condiviso le sofferenze degli altri detenuti”.
Nient’altro?
“Cuffaro ha ottenuto una valutazione favorevole da parte dell’èquipe che lo ha seguito durante questi tre anni di carcerazione, convincendosi del percorso di cambiamento compiuto dal detenuto. Il giudizio di rieducazione, insomma, è abbondantemente intervenuto”.
E allora, che cosa ha pesato negativamente?
“Il tribunale ha ritenuto che non ci siano stati spazi di collaborazione con la giustizia. E questo non lo capiamo, i fatti risalgono al 2001, non comprendiamo che cosa avrebbe dovuto o potuto dire che già non si sapesse. La decisione del tribunale nega il percorso di rieducazione, Cuffaro ha pagato”.
Avete il sospetto che elementi estranei ai fatti ed alla road map rieducativa abbiano inciso sulla decisione?
“Mi limito a ricordare che i giudici che processarono Cuffaro e lo condannarono non hanno mai ritenuto sussistenti elementi di pericolosità soggettiva, che cioè fosse un rischio per la società concedere la libertà a Cuffaro. Per questa ragione il regime di carcerazione è iniziato dopo la condanna in Cassazione”.
Lei ha manifestato amarezza e dispiacere per la decisione del tribunale. Ritiene ingiusto che si tenga in carcere Cuffaro per motivi che non hanno nulla a che vedere con i codici, pare di capire.
“Non c’è chi non sia a conoscenza della situazione delle carceri italiane, il sovraffollamento, le terribili condizioni dei detenuti. Il governo, e non solo, è intervenuto per alleggerire la situazione carceraria, la decisione del tribunale è contro corrente anche per questa ragione. So bene che è sempre difficile per un magistrato assumere decisioni favorevoli al detenuto quando c’è di mezzo la mafia. Il giudice avrebbe dovuto superare questo elemento, che richiedeva un pizzico di coraggio e non c’è riuscito. Forse ha inciso anche la notorietà del personaggio”.
E quel permesso premio dato al mostro di Genova, il siciliano Gagliano.
“Non lo so, talvolta il contesto è determinante. C’è stata cattiva informazione su questo episodio. Chi ha concesso il permesso non sapeva niente del vissuto del detenuto, per lui si trovava in carcere per rapina ed invece aveva ammazzato della gente”.
A dire “no” non si rischia niente, è questo che vuole dire?
“Sono casi completamente diversi. Di Cuffaro il magistrato del tribunale di sorveglianza sapeva tutto”.
Anche per il detenuto, naturalmente, è stato un fulmine a ciel sereno, perché aveva assaporato la possibilità di lasciare il carcere. E con lui, l’avvocato, Maria Brucale, studio legale a Roma, che l’ha assistita da un anno a questa parte, lungo il percorso che avrebbe dovuto accompagnarlo all’Istituto dei Ciechi di Roma, dove la Procura aveva deciso di mandarlo una volta che avrebbe lasciato Rebibbia.
“Siamo basiti, abbiamo accolto la decisione con amarezza, con autentico dispiacere”.
Avete in animo di accettare il “verdetto” o ricorrere?
“La prospettiva possibile è un ricorso in cassazione, ma possiamo reiterare la richiesta di affidamento ai servizi civili. Occorre che vi siano nuovi presupposti per farlo…”.
Vi aspettavate una decisione diversa, questo è chiaro. Perché confidavate nell’esito positivo?
“Cuffaro si è costituito in carcere, ha accolto la detenzione come una occasione di formazione personale, ha condiviso le sofferenze degli altri detenuti”.
Nient’altro?
“Cuffaro ha ottenuto una valutazione favorevole da parte dell’èquipe che lo ha seguito durante questi tre anni di carcerazione, convincendosi del percorso di cambiamento compiuto dal detenuto. Il giudizio di rieducazione, insomma, è abbondantemente intervenuto”.
E allora, che cosa ha pesato negativamente?
“Il tribunale ha ritenuto che non ci siano stati spazi di collaborazione con la giustizia. E questo non lo capiamo, i fatti risalgono al 2001, non comprendiamo che cosa avrebbe dovuto o potuto dire che già non si sapesse. La decisione del tribunale nega il percorso di rieducazione, Cuffaro ha pagato”.
Avete il sospetto che elementi estranei ai fatti ed alla road map rieducativa abbiano inciso sulla decisione?
“Mi limito a ricordare che i giudici che processarono Cuffaro e lo condannarono non hanno mai ritenuto sussistenti elementi di pericolosità soggettiva, che cioè fosse un rischio per la società concedere la libertà a Cuffaro. Per questa ragione il regime di carcerazione è iniziato dopo la condanna in Cassazione”.
Lei ha manifestato amarezza e dispiacere per la decisione del tribunale. Ritiene ingiusto che si tenga in carcere Cuffaro per motivi che non hanno nulla a che vedere con i codici, pare di capire.
“Non c’è chi non sia a conoscenza della situazione delle carceri italiane, il sovraffollamento, le terribili condizioni dei detenuti. Il governo, e non solo, è intervenuto per alleggerire la situazione carceraria, la decisione del tribunale è contro corrente anche per questa ragione. So bene che è sempre difficile per un magistrato assumere decisioni favorevoli al detenuto quando c’è di mezzo la mafia. Il giudice avrebbe dovuto superare questo elemento, che richiedeva un pizzico di coraggio e non c’è riuscito. Forse ha inciso anche la notorietà del personaggio”.
E quel permesso premio dato al mostro di Genova, il siciliano Gagliano.
“Non lo so, talvolta il contesto è determinante. C’è stata cattiva informazione su questo episodio. Chi ha concesso il permesso non sapeva niente del vissuto del detenuto, per lui si trovava in carcere per rapina ed invece aveva ammazzato della gente”.
A dire “no” non si rischia niente, è questo che vuole dire?
“Sono casi completamente diversi. Di Cuffaro il magistrato del tribunale di sorveglianza sapeva tutto”.
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