Approfitto delle osservazioni di Aldo Natoli sull’applicazione della tassa di soggiorno perché mi danno la possibilità di approfondire meglio alcuni aspetti non toccati dal nostro comunicato stampa del 7 gennaio. Il problema è infatti tutt’altro che meramente riconducibile all’utilizzo che se ne farà dei fondi.
Abbiamo più volte richiesto e continueremo a farlo di entrare nel merito dell’utilizzo degli stessi proprio perché siamo consci dell’esigenza di impiegarli come previsto dalla legge, ovvero per: “….finanziare interventi in materia di turismo e interventi di fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali”.
Concordo, pertanto con quanto suggerito da Aldo Natoli circa la necessità di battersi affinché i proventi di questo genere di tasse vengano utilizzati il più possibile per il miglioramento dell’offerta turistica complessiva. Siamo, comunque, consapevoli, che non sarà semplice trovare il giusto equilibrio tra l’esigenza dei comuni di far quadrare i propri bilancie quella di non vedere del tutto snaturato l’impiego delle somme che ne deriveranno. Da qui anche la battaglia condotta dal Sindaco Marco Giorgianni per estenderne l’utilizzo ad altri servizi pubblici.
Chiarito questo, è bene sottolineare alcune sostanziali differenze tra le due diverse forme di tassazione.
Quella di soggiorno è una tassa che colpisce soltanto chi soggiorna nelle strutture ricettive regolari. Ipotizzando, ad esempio, una tassa di soggiorno media pari a circa € 3,50 (che moltiplicata per il numero complessivo delle presenze ufficiali nel Comune di Lipari potrebbe dare il totale necessario in questo momento al comune per chiudere il proprio bilancio), una famiglia di 4 persone per un soggiorno di 4 notti pagherebbe una media di € 56, una coppia che si ferma una settimana € 49, un gruppo di 50 persone che si ferma tre giorni € 525. È evidente che stiamo parlando di importi consistenti perché spalmati su una platea limitata: i pernottanti nelle strutture ricettive regolari.
Con una tassa di sbarco pari ad € 1,50 e controlli serrati si potrebbe raggranellare un importo di poco inferiore ma che non impatterebbe in alcun modo sul nostro turismo perché distribuito su un numero di paganti ben maggiore (sia turisti che escursionisti), versato una tantum. Con importi di € 2,50 ed ampliata possibilità di spesa (qualora la proposta di legge approvata dalle Camere dovesse essere convertita in legge) si riuscirebbero molto probabilmente (fermi restando i controlli) a coprire gli attuali fabbisogni del bilancio comunale.
Pertanto, la tassa di soggiorno è sicuramente uno strumento discriminante (la paga solo chi soggiorna e chi lo fa nelle strutture ufficiali e viene regolarmente censito) rispetto alla tassa di sbarco che interessa, in misura decisamente meno impattante, quanti godono dell’arcipelago eoliano.
Inoltre, anche il Codacons è nettamente contrario alla tassa di soggiorno, fin da subito contestata dall’associazione dei consumatori e bollata come un “balzello che danneggia il turismo e aumenta i costi a carico degli utenti”.
Altro mito da sfatare è quello che ha fatto scaturire la dichiarazione “La tassa di soggiorno la paghiamo tutti, italiani e stranieri ogni volta che soggiorniamo per motivi di vacanza, di lavoro e di salute in ogni città”.
In Italia ci sono 8.092 comuni. Di questi, in circa 3.000 la tassa di soggiorno risulterebbe ad oggi applicabile mentre soltanto in circa 500 è stata effettivamente istituita. È proprio notizia di oggi che al Senato è stata respinta la proposta di estendere la tassa di soggiorno a tutti i comuni.
Christian Del Bono
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