Il segretario del Pd, Giuseppe Lupo, è categorico: “Mai una maggioranza con il Nuovo Centrodestra”. È stato il governatore a proporlo? “Mi auguro che l’abbiano interpretato male”, osserva, severo. Le ragioni del dissenso? “Un programma di forte cambiamento è incompatibile con la presenza della destra nella maggioranza”.
E a Roma, allora?, vi chiederete. A Roma è un’altra cosa, che discorsi. È una questione di forza maggiore a Roma. Palermo, invece, vive una stagione diversa. In verità, non è proprio così, qualche dubbio è lecito. Il presidente della Regione, Rosario Crocetta, non disponeva di una maggioranza. Ha vinto, ma non ha avuto in dote alcuna maggioranza parlamentare, perché il Pd non ha raccolto suffragi sufficienti. Perciò il governatore se l’è costruita la maggioranza, almeno sulla carta, incoraggiando la nascita di nuovi gruppi parlamentari. Non ha risolto il problema, ma questa è la norma, le maggioranze sono liquide all’Assemblea regionale siciliana ormai da tempo immemorabile. E’ stato lesto e concreto, però. Una trasfusione di sangue condotta con successo. Grazie all’emorragia dei partiti di centrodestra. Compatibile con il centrosinistra, a quanto pare. Se ne deve dedurre, dunque, che una cosa è il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano, ostile al cambiamento, ed un’altra quei deputati che, all’indomani delle elezioni, sono scesi dal taxi elettorale e hanno deciso di sostenere il governo. Naturalmente per senso di responsabilità: la Sicilia non può stare a bagnomaria per altri cinque anni.
A rigor di logica ne consegue che Articolo 4, gruppo parlamentare e partito “promosso” da Lino Leanza, è affidabile, consente di disboscare il sistema, mentre Giuseppe Castiglione, Dore Misuraca e Simona Vicari, non lo sono.
E ancora: il Nuovo Centrodestra romano di Angelino Alfano è compatibile con il cambiamento, quello siciliano, no, non lo è.
Se l’equazione è questa, e qualche dubbio potrebbe essere legittimamente manifestato, ne discende che sull’altare del cambiamento non si scherza. Bisogna disinquinare, semmai, e non mettere dentro il governo l’area politica e culturale sinonimo della conservazione.
La ricetta di Lupo qual è? “Rimpasto di governo dopo l’approvazione finanziaria”. Chiaro, ma chi entra e chi esce? Non è questione di poltrone, beninteso, Lupo non è interessato nemmeno ad uno strapuntino. Lo dice e lo ripete da una vita. Il rimpasto serve per rafforzare il governo, “la giunta deve avere la caratteristica di rappresentare una sintesi delle forze parlamentari presenti all’Ars”. Tutte? No, guai a fare di tutta l’erba un fascio: “Mi riferisco, precisa il segretario Pd, a quei partiti che hanno eletto il presidente della Regione”.
E quali sarebbero questi partiti? Proviamo a indovinare: il Pd in primis, poi il Megafono, infine l’Unione di Centro. Che sono già nell’esecutivo, fino a prova contraria. Con tecnici, però, seppure autorevoli. Sono rappresentati ma non sufficientemente? Può darsi che sia questo il gap da correggere. L’esecutivo è debole perché il Pd è scontento Il Megafono, infatti, è a posto. E l’Udc, a quanto pare, non sente il bisogno di sostituire la sua rappresentanza.
Meglio gli onorevoli che i tecnici designati dal Pd? Sembra il gioco dell’oca, ma non si sa che cosa pensare. Altrimenti D’Alia, che ha aperto al Ncd, e Crocetta, che ha parlato con Castiglione, perché sarebbero stati sconfessati sulla via di Damasco?
Se avete tempo, sfogliate i giornali degli ultimi quattro anni. Un giorno qualunque, non c’è bisogno di sceglierlo. Vi accorgerete che il passato non è affatto passato. E tutto deja vu.
E a Roma, allora?, vi chiederete. A Roma è un’altra cosa, che discorsi. È una questione di forza maggiore a Roma. Palermo, invece, vive una stagione diversa. In verità, non è proprio così, qualche dubbio è lecito. Il presidente della Regione, Rosario Crocetta, non disponeva di una maggioranza. Ha vinto, ma non ha avuto in dote alcuna maggioranza parlamentare, perché il Pd non ha raccolto suffragi sufficienti. Perciò il governatore se l’è costruita la maggioranza, almeno sulla carta, incoraggiando la nascita di nuovi gruppi parlamentari. Non ha risolto il problema, ma questa è la norma, le maggioranze sono liquide all’Assemblea regionale siciliana ormai da tempo immemorabile. E’ stato lesto e concreto, però. Una trasfusione di sangue condotta con successo. Grazie all’emorragia dei partiti di centrodestra. Compatibile con il centrosinistra, a quanto pare. Se ne deve dedurre, dunque, che una cosa è il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano, ostile al cambiamento, ed un’altra quei deputati che, all’indomani delle elezioni, sono scesi dal taxi elettorale e hanno deciso di sostenere il governo. Naturalmente per senso di responsabilità: la Sicilia non può stare a bagnomaria per altri cinque anni.
A rigor di logica ne consegue che Articolo 4, gruppo parlamentare e partito “promosso” da Lino Leanza, è affidabile, consente di disboscare il sistema, mentre Giuseppe Castiglione, Dore Misuraca e Simona Vicari, non lo sono.
E ancora: il Nuovo Centrodestra romano di Angelino Alfano è compatibile con il cambiamento, quello siciliano, no, non lo è.
Se l’equazione è questa, e qualche dubbio potrebbe essere legittimamente manifestato, ne discende che sull’altare del cambiamento non si scherza. Bisogna disinquinare, semmai, e non mettere dentro il governo l’area politica e culturale sinonimo della conservazione.
La ricetta di Lupo qual è? “Rimpasto di governo dopo l’approvazione finanziaria”. Chiaro, ma chi entra e chi esce? Non è questione di poltrone, beninteso, Lupo non è interessato nemmeno ad uno strapuntino. Lo dice e lo ripete da una vita. Il rimpasto serve per rafforzare il governo, “la giunta deve avere la caratteristica di rappresentare una sintesi delle forze parlamentari presenti all’Ars”. Tutte? No, guai a fare di tutta l’erba un fascio: “Mi riferisco, precisa il segretario Pd, a quei partiti che hanno eletto il presidente della Regione”.
E quali sarebbero questi partiti? Proviamo a indovinare: il Pd in primis, poi il Megafono, infine l’Unione di Centro. Che sono già nell’esecutivo, fino a prova contraria. Con tecnici, però, seppure autorevoli. Sono rappresentati ma non sufficientemente? Può darsi che sia questo il gap da correggere. L’esecutivo è debole perché il Pd è scontento Il Megafono, infatti, è a posto. E l’Udc, a quanto pare, non sente il bisogno di sostituire la sua rappresentanza.
Meglio gli onorevoli che i tecnici designati dal Pd? Sembra il gioco dell’oca, ma non si sa che cosa pensare. Altrimenti D’Alia, che ha aperto al Ncd, e Crocetta, che ha parlato con Castiglione, perché sarebbero stati sconfessati sulla via di Damasco?
Se avete tempo, sfogliate i giornali degli ultimi quattro anni. Un giorno qualunque, non c’è bisogno di sceglierlo. Vi accorgerete che il passato non è affatto passato. E tutto deja vu.
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