Il ragioniere Roberto Piemonte ci segnala questo articolo:
Dopo i 7,25 miliardi di disavanzo certificati venerdì scorso in Piemonte, arrivano i 6,19 miliardi messi nero su bianco ieri in Sicilia (qui il giudizio di parificazione è la requisitoria del procuratore generale d'appello). Il «giudizio di parificazione», cioè l'esame finale dei consuntivi regionali svolto ogni 12 mesi dalle sezioni territoriali della Corte dei conti, si sta rivelando quest'anno più complicato del solito per i governatori. I casi di Torino e Palermo si sono sviluppati anche per una serie di dinamiche locali, ma c'è una tendenza nazionale a spiegare l'emergere di numeri esplosivi: la riforma della contabilità ha imposto agli enti territoriali di "pulire" i bilanci, cancellando in pratica le entrate che finora servivano a sostenere i conti ma non avevano possibilità di trasformarsi in riscossioni concrete.
Il quadro della situazione
Il risultato è un'immagine dei conti territoriali molto più cruda, ma anche più veritiera, rispetto a quelle che in passato mantenevano in bilancio entrate teoriche utilizzate però per coprire spese reali.
Più i vecchi conti sono stati gonfiati da entrate previste ma non riscosse, e più il cambio di rotta si è rivelato "costoso", e in Sicilia questo fenomeno ha raggiunto la massima intensità: lo stesso presidente delle sezioni riunite della Corte dei conti siciliana Maurizio Graffeo parla di «pulizia epocale del bilancio. Il problema sta nel futuro. O si tiene la barra dritta o non si va avanti».
Come in Piemonte, i buchi aperti nel passato cominciano a pagarsi ora, e promettono di accompagnare la gestione della regione per molto tempo anche perché, vista la mala parata, le norme nazionali hanno concesso 30 anni di tempo per ripianare i disavanzi straordinari prodotti dalla revisione dei bilanci locali imposta dalla riforma dei conti. I tempi lunghi evitano il dissesto, che in molti casi sarebbero stati resi prodotti dal peso di rate di ammortamento inevitabilmente enormi per seguire il calendario ordinario, ma ogni euro destinato al ripiano è un euro tolto alle funzioni istituzionali della regione, dagli investimenti ai sostegni al welfare o alle politiche di sviluppo. Sotto quest'ultimo profilo, poi, i magistrati lanciano un nuovo allarme sul fatto che la Sicilia è riuscita a certificare la spesa solo del 62% dei fondi Ue della programmazione 2007-2013, collocandosi all'ultimo posto fra i territori dell'Obiettivo convergenza.
La via d'uscita
La Corte riconosce l'impegno realizzato dalla Regione nell'ultimo anno per contenere la spesa e per tenere insieme i conti, ma la scialuppa decisiva per i conti siciliani arriva dal decreto enti locali ora in discussione alla Camera, che traduce l'accordo fra regione e governo sulla compartecipazione Irpef. Come emerge dai documenti depositati in Parlamento, l'accordo aumenta la compartecipazione Irpef dell'Isola di 500 milioni nel 2016, ma la somma sale a 1,4 miliardi nel 2017 ed a 1,685 nel 2018. In cambio, la Regione deve assicurare dal prossimo anno un taglio del 3% della spesa corrente, da realizzare anche facendo sbarcare in Sicilia le riforme nazionali su dirigenti e società pubbliche in lavorazione con i decreti attuativi della riforma Madia
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