Cerca nel blog

venerdì 3 ottobre 2025

Oggi, 3 ottobre: San Gerardo di Brogne


San Gerardo di Brogne
























Gerardo nacque intorno all'898 a Stapsoul, vicino a Lomme, nella regione di Namur. Era figlio di Sancio, proprietario di territori tra la Sambre e la Mosa, e da parte di madre era forse nipote del vescovo Stefano di Liegi. Il suo biografo dice che, a partire dalla sua giovinezza, fece mostra di rare qualità morali e fisiche e che si dedicò a una brillante carriera come cavaliere al servizio del conte Berengario di Namur. Un giorno che stava rientrando da una battuta di caccia, Gerardo, passando da una delle sue proprietà, entrò nella chiesa di Brogne. Volendo assistere alla messa chiese un sacerdote e, mentre lo aspettava, si raccolse e si addormentò. In sogno vide san Pietro passeggiare attorno a una piccola chiesa e invitarlo a costruire un oratorio e a farvi arrivare le reliquie di Eugenio, martire di Toledo. Gerardo domandò come fare, e san Pietro gli rispose che non esiste niente di impossibile per Dio" e che bisognava distruggere la chiesa esistente per rimpiazzarla con un edificio più grande di cui dava le dimensioni. Al suo risveglio, Gerardo decise di obbedire all'apostolo.

Senza dubbio Gerardo non sapeva niente sull'esistenza di S. Eugenio. La storia della 'traslazione di S. Eugenio a Brogne" ci dice che questo vescovo era stato compagno di S. Dionigi e che, mentre il secondo stava evangelizzando la regione parigina, egli giunse a Toledo dove operò numerose conversioni e fondò la cattedrale. Tuttavia, desideroso di rivedere l'amico Dionigi, Eugenio partì alla volta della Gallia; arrivato a Deuil (oggi DeuillaBarre, nella Val d'Oise), venne a conoscenza del martirio di Dionigi e dei suoi amici e compose un inno in loro onore. Fatto presto prigioniero dai pagani, venne a sua volta martirizzato. I suoi assassini ne gettarono il corpo nello stagno del Marchais, vicino a Deuil. In seguito, un proprietario del luogo sognò un vecchio che gli disse che avrebbe trovato il corpo di Eugenio e che avrebbe dovuto seppellirlo onorevolmente.

In compagnia di un rappresentante del vescovo Stefano di Liegi, Gerardo si recò inizialmente presso il priorato di Deuil, ove ricevette le reliquie di S. Eugenio, poi a SaintDenis, ove poté soggiornare per qualche tempo. La traslazione di S. Dionigi a Brogne venne compiuta nel mese di agosto del 919. Gerardo ricevette anche diversi oggetti, qualche manoscritto, un altare portatile, e pare che sia tornato con alcuni monaci di SaintDenis, che decisero di popolare il nuovo monastero. Con un atto che reca la data 2 giugno 919, Gerardo aveva stabilito d'impiegare parte delle rendite delle sue proprietà per questa fondazione. Il 27 agosto 921 ottenne un attestato d'immunità da Carlo il Calvo. E difficile sapere se Gerardo in quel momento fosse abate, oppure se abbia ottenuto la direzione dell'abbazia solo in un secondo tempo. Alcuni storici hanno supposto che egli avesse ricevuto l'ordinazione a sacerdote soltanto nel 927, e che prima di insediarsi definitivamente a Brogne avesse compiuto alcuni soggiorni d'istruzione a SaintDenis.

È noto che egli si recò a Tours per ottenere alcune reliquie di S. Martino e che là incontrò l'abate laico di S. Martino di Tours, Ugo il Grande, che era anche abate di SaintDenis. In una data che è difficile precisare, sotto l'episcopato del vescovo di Liegi Ricario, successore di Stefano (921945), l'oratorio fu benedetto, le reliquie messe in una cassa e il monastero posto sotto la protezione di S. Eugenio. Tali reliquie erano destinate a rimanere in quello stesso luogo eccetto che nel 954 quando, minacciate da un'invasione degli Ungheresi, i monaci si ritirarono momentaneamente a Namur. C. era stato tentato dalla vita eremitica. Le grandi foreste delle Ardenne che circondavano il monastero gli apparivano come un rifugio per prega solitudine: questo almeno è quanto riferis seconda Vita di Gerardo I monaci desideravano averlo come abate. Tuttavia, a causa della sua tà già conosciuta, Gerardo non era destinato a rimi a lungo a Brogne.

Le prime riforme di san Ghislano
Il duca Gisleberto di Lorena (m. 939) in essendo venuto a conoscenza della fama di Gerardo lo chiamò per riformare l'abbazia di S. Ghislano. Questa, fondata nel VII secolo, a partir dalla cella di un santo era stata distrutta durante le invasioni normanne, quindi era caduta in mano ai laici. Nel 930 furono ritrovate le reliquie di S. Ghislano. Si verificarono alcuni miracoli e il vescovo di Cambrai dette il via alla traslazione di queste reliquie nella chiesa di santi Pietro e Paolo, le pose in alto perché tutti potessero vederle e, forse, per metterle in salvo dai furti. Le reliquie, infatti, divennero oggetto di disputa tra il popolo di Mons e quello di Maubeuge. Fu istituito un collegio di canonici, che però non dette esempio di vita regolata. I canonici, in realtà, portavano in processione le reliquie per il vicinato solo al fine di incrementare le proprie rendite. Ora Gisleberto, che era già abate laico di Stavelot, di S. Massimino a '14reviri e di Echternach, voleva entrare in possesso di S. Ghislano, che si trovava nell'Hainaut. Come egli aveva introdotto la riforma per Stavelot, volle fado anche per S. Ghislano. Dopo aver avuto urta visione del santo fondatore che gli chiedeva di restaurare la regola benedettina, si rivolse a Gerardo intorno al 93 i, e lo nominò abate. Quest'ultimo riuscì a recuperare le terre che erano state date ai laici, a ricostruire l'abbazia e a restaurare le funzioni liturgiche. Permise dunque che a S. Ghislano si conducesse quella vita regolare che aveva conosciuto poco tempo prima delle invasioni normanne. Il suo successo arrivò sino in Fiandra, e fu allora che intervenne il conte Arnolfo.

Le riforme in Fiandra
In Fiandra, come dappertutto, le invasioni dei popoli scandinavi avevano fatto scomparire la vita regolare nelle abbazie, e i laici ne avevano approfittato. Molti monasteri erano stati trasformati in collegiate, vale a dire che i canonici vi conducevano una vita più o meno religiosa. Dopo il 918 la contea di Fiandra era amministrata da Arnolfo, detto Arnolfo il Grande (918965). Suo padre, Baldovino II, era riuscito a conquistarsi una contea che si estendeva al di là dei golfi dell'Yscr e dell'Aa, arrivava sino a Tournesais e oltrepassava, a sud, le colline dell'Artois. Arnolfo continuò la politica paterna e seppe approfittare in maniera stupefacente dei conflitti che vedevano opposti re carolingi contro principi robertingi e normanni. Era un valente cavaliere, spesso violento ma molto pio, e come molti dei suoi contemporanei amava collezionare reliquie. Desiderava che entro i confini della sua contea fosse restaurata la consuetudine religiosa nei numerosi monasteri. La Vita di Gerardo ci dice che Arnolfo, sofferente di calcoli renali, avendo sentito parlare dell'abate di Brogne chiese a quest'ultimo di venire. C. andò, persuase il conte che i suoi peccati erano all'origine della sua malattia e gli disse di riparare ai propri errori distribuendo i suoi beni; lo fece digiunare per tre giorni, celebrò la messa e infine operò la guarigione. Il conte offrì allora a Gerardo tutto ciò che volle. Questi rifiutò l'oro e l'argento, accettando infine solo qualche dono che distribuì ai poveri, ai monaci e al suo giovane monastero di Brogne. D'altra parte, Arnolfo fece stilare un atto in cui decise di donare un possedimento terriero al monastero di S. Pietro di Gand, in cui si trovavano sepolti i suoi genitori, c affidò la riforma di tale monastero all'abate Gerardo

S. Pietro di Gand (detta anche SaintPierreauMontBlandin) era stata fondata da S. Amando, con l'aiuto di Dagoberto, nel VII secolo. Un compagno di S. Amando, S. Bavone, aveva fondato un altro monastero che aveva ricevuto il suo nome e che era divenuto la cattedrale di Gand. Tra questi due monasteri esisteva, di conseguenza, una forte rivalità. Il conte Arnolfo decise di riformare anche il monastero di S. Bavone, di cui era abate laico. Gerardo fu nominato abate di S. Pietro, ma rifiutò questo titolo per S. Bavone. Fece porre, nel 946, le reliquie del santo all'interno del monastero restaurato e riuscì a raccogliere tutti i beni usurpati dai laici intorno al complesso. Nel 953 Gerardo ottenne la nomina ad abate di suo nipote Guido.

Le riforme degli abati di Gand ebbero conseguenze sulla vita monastica in Inghilterra, dove tutto era ancora da rivedere. Là moltissimi monasteri erano ancora affidati ai laici o popolati da canonici. A Glastonbury, S. Dunstano osservava la regola benedettina dal 940. Essendo stato esiliato nel 955 dal re Edwy, Dunstano si recò presso il conte di Fiandra Arnolfo il Grande e conobbe la riforma che Gerardo aveva messo in ano nei monasteri di Gand. Allorché fece ritorno in Inghilterra nel 957, Dunstano, dopo essere stato nominato vescovo quindi arcivescovo di Canterbury, applicò questa riforma nei monasteri dell'Inghilterra. Al sinodo di Winchester, nel 972, re Edgardo invitò a partecipare i monaci di Gand, nonché i monaci di FleurysurLoire, il re d'Inghilterra non poteva che accogliere bene lo spirito riformista di Gerardo che dava grande spazio al potere laico nella restaurazione delle abbazie.

Riforma di SaintBertin, SaintRiquier e SaintAMand

Il provvisorio insediamento di Dunstano a Gand non era fortuito, in quanto allora esistevano stretti vincoli tra la Fiandra e l'Inghilterra. All'epoca di Alfredo il Grande, alcuni monaci di SaintBerti n avevano già svolto un ruolo importante nella restaurazione dei monasteri inglesi. Nel 944, il conte Arnolfo recuperò l'abbazia di SaintBertin ed espresse la volontà di far riformare i monaci. Essi però si rifiutarono e la popolazione prese le loro parti. Alla fine qualche monaco rimase nell'abbazia mentre gli altri partirono alla volta dell'Inghilterra. Con l'aiuto di un monaco di SaintEvre di Toul e di Womar del Mon tBlandi n, Gerardo riformò SaintI3ertin di cui, nel 950, fu nominato abate un nipote di Arnolfo il Grande. Due anni prima Arnolfo aveva già approfittato della conquista di MontreuilsurMer per annettere SaintRiquier. Questa illustre abbazia, che aveva avuto i suoi momenti di gloria in epoca carolingia, aveva anch'essa sofferto le incursioni dei popoli scandinavi. Gerardo e Arnolfo vi posero un abate di nome Fulcherico. Nel 951, poiché Ugo il Grande aveva minacciato l'abbazia, le reliquie di SaintRiquier furono trasferite a SaintBertin.

Per inciso, l'abbazia di SaintRiquier doveva in seguito essere annessa definitivamente da Ugo Capeto. TI monastero di San Vedasto, al contrario, rimase in mano al conte di Fiandra e venne pure restaurato. Infine, Gerardo di Brogne influenzò in maniera considerevole la riforma della chiesa di SaintAmand. Il monastero, fondato a Elnone dal santo vescovo Amando, dall'inizio del X secolo era nelle mani della famiglia aristocratica degli Edward. 11 conte di Fiandra volle recuperare questo monastero, e nel 952 nominò il monaco Iieodrico abate di Elnone, in presenza dei vescovi di Cambrai, di Noyon, di lburnai e dell'abate Gerardo ra certo che Gerardo di Brogne svolse un ruolo determinante nel restauro del monastero di SaintAmand e che fu in grado, anche là, di recuperare i beni confiscati dagli aristocratici laici.

Riforma a Reims e tentativo di rifirma in Normandia
La contea di Fiandra e l'arcivescovato di Reims erano in relazione perché Arnolfo era il genero di Lrberto di Vermandois, che aveva posto il proprio figlio Ugo sul trono episcopale di Reims. Ugo, che era al tempo stesso abate di San Remigio a Reims, chiese a Gerardo di recarsi a restaurare quell'abbazia e lo nominò preposto. Ciò accadeva intorno al 940. Questa riforma venne in seguito completata da un monaco di
duca Riccardo era, come il suo collega Arnolfo, desideroso di trasformare i monasteri e di farne delle case di preghiera. Le abbazie di Jumièges e di Fontenelle erano state abbandonate al momento delle invasioni normanne e i monaci si erano ritirati all'interno dei territori. Quelli di Fontenelle (attualmente Saio tWandrille) avevano riparato nel nord e avevano portato le reliquie del loro kmdatore a Roulogne.

Il conte Arnolfo, appassionato di reliquie, era riuscito in compagnia di Gerardo a raccogliere questi tesori portandoli da Boulogne a Gand. Gerardo entrò così in relazione con la comunità di SaintWandrille. Nella stessa epoca, si dice, un certo Torf il Ricco era solito cacciare in una foresta in cui si trovava anche l'abbazia di SaintWandrille. Un cervo che egli stava inseguendo si rifugiò presso un altare della basilica in rovina. 'l'od, commosso da questo prodigio, decise di restaurare l'abbazia e di richiamare i monaci.

Secondo alcuni testi, Gerardo si sarebbe recato a Rouen presso Riccardo di Normandia intorno al 955, all'epoca in cui Arnolfo di Fiandra guidava una spedizione verso il sud. Ma non riuscì a convincere il duca di Normandia, e fu il suo discepolo Menardo, proveniente da un'importante famiglia della Lorena, a restaurare SaintWandrille nel 960. Vi riuscì così bene che il duca Riccardo Ti gli chiese di restaurare anche MontSaintMichel. Quanto a Gerardo, egli ritornò a Brogne portando un'insigne reliquia, poiché si trattava del cranio di S. Vandregisilo, attualmente conservato nell'abbazia di Marcdsous, presso Dinant.

La riforma di Gerardo
Non è possibile confrontare la riforma di Gerardo con quella di Cluny, sua contemporanea. Certamente, Gerardo é desideroso di osservare la regola benedettina e sacrifica le proprie ricchezze alla povertà monastica. Quando rifiuta l'oro e l'argento che gli promette il conte Arnolfo, egli risponde: "Abbiamo lasciato i beni che ci appartenevano, come potremmo accettare i beni degli altri? I monaci che su questa terra cercano a proprietà provano, con ciò, di non essere veri monaci. Se essi si attaccano al denaro sono solo lei lebbrosi. Accatastare ricchezze, cos'altro mesto per dei monaci se non una lebbra dell'Anima?". Ma Gerardo non sa immaginare un monastero senza beni fondiari, e tutti i suoi sforzi di restaurazione hanno per obiettivo il recupero delle terre abbandonate ai laici. Più restauratore che riformatore, vuole tornare alla situazione antecedente e ottenere delle restituzioni. Fa innalzare alcune costruzioni, vi pone reliquie, chiede ai monaci di aprire officine per gli amanuensi e di edificare delle biblioteche. Gerardo è un monaco di stampo carolingio: non riesce a immaginare un'abbazia indipendente dal potere temporale.

L'esenzione, che Cluny cercherà di ottenere, gli è totalmente estranea. Quando i principi, in particolare il conte di Fiandra, sono ben disposti alla riforma, occorre evidentemente collaborare con loro. Gerardo, per la sua origine sociale, si sente molto vicino al potere laicoaristocratico. D'altra parte, come restauratore vuole il ritorno alla regola di S. Benedetto; non ama i monasteri che alcuni canonici occupano non obbedendo a nient'altro che alla propria fantasia. La regola, nella sua perfezione e nella sua precisione, dev'essere seguita da tutti, dall'abate e dai monaci. Chiamato a dirigere numerose abbazie, Gerardo avrebbe potuto avere l'idea di costituire una sorta di famiglia di cui Brogne fosse il capo, ma anche qui si distingue dai Cluniacensi. A suo avviso ogni abbazia, sotto la protezione di un conte o di un duca, deve avere una certa autonomia.

Quanto alla spiritualità di Gerardo, è difficile farsene un'idea. I suoi biografi lo presentano come un devoto dell'eucaristia: nel corso della messa, che officia ogni giorno — fatto che all'epoca doveva essere eccezionale — si verificano alcuni miracoli, come la guarigione del conte Arnolfo o quella d'un vecchio cieco che si è lavato il volto con l'acqua che Gerardo si era fatto versare sulle mani durante le abluzioni liturgiche. Infine, come non ricordare la sua devozione per le reliquie? Al pari dei suoi contemporanei, Gerardo è alla ricerca di reliquie, siano esse quelle di S. Eugenio, di S. Vandregisilo o dei santi Innocenti che trasportò dalla chiesa di SalleslèsChimay. Egli ha bisogno di proteggersi, ma anche di avere un contatto diretto con i fondatori delle chiese. Se Eugenio è il santo patrono di Brogne, è per il fatto che è stato amico di Dionigi, secondo la tradizione discepolo di S. Paolo e inoltre martire.

La morte di Gerardo e il suo culto
Al termine della sua vita, Gerardo si sarebbe recato a Roma. Beneficiato da san Pietro di una visione in giovane età, avrebbe voluto così ringraziare il successore di Pietro e avrebbe inoltre ottenuto un privilegio da papa Stefano VIII. Alcune recenti ricerche hanno comprovato che tale atto è un falso fabbricato a Brogne a metà dell'XI secolo; d'altra parte Gerardo avrebbe potuto fare comunque un pellegrinaggio a Roma. Durante il viaggio si verificò un miracolo, poiché egli protesse il carro che stava per rotolare in un precipizio fra le Alpi con le pietre in porfido destinate ad abbellire la chiesa di Brogne. Gerardo mori il 3 ottobre 959. Filiberto, cappellano di Ottone I, gli successe in qualità di abate. Più d'un secolo dopo, un monaco di S. Ghislano scrisse una prima Vita su richiesta dell'abate di Brogne. Occorre attendere il marzo del 1131 perché papa Innocenzo II, che si trovava a Liegi, canonizzi Gerardo; cosa che venne ratificata dal concilio di Reims nell'ottobre del 1131. Le reliquie dell'abate furono trasportate in una cassa e vi rimasero sino al XVII secolo.

Nel 1617 fu adibita una nuova cassa e creata una confraternita in ordine di San Pietro e San Gerardo. L'abate di Brogne è venerato nelle abbazie da lui riformate, in particolare a S. Bavone di Gand, ma anche a Waulsort, che è stata riformata da vescovi lotaringi.

PRATICA. Per Dio nulla è impossibile, impariamo ad ammirare il Signore e a credere in lui in ogni momento della nostra vita

PREGHIERA. Oh Signore aiutaci nella preghiera e fa che il nostro Santo Gerardo interceda per noi.

Buongiorno. Oggi è venerdì 3 ottobre.


 

giovedì 2 ottobre 2025

Sciopero generale di domani "pro fottiglia": I collegamenti minimi garantiti da Caronte&Torist

Messina - 02/10/2025 - In previsione dello sciopero generale di venerdì 3 ottobre proclamato dalle organizzazioni sindacali CGIL e Unione Sindacati di Base in difesa della Flotilla, dei valori costituzionali e per Gaza, il Gruppo Caronte & Tourist ha predisposto lo schema dei servizi minimi da assicurare nello Stretto di Messina e da e per le isole minori individuando navi e lavoratori comandati.

Nello specifico, Caronte & Tourist comunica che nelle ventiquattro ore di sciopero (dalle ore 00:00 alle ore 23:59) saranno in servizio nello Stretto due navi tra Rada San Francesco e Villa San Giovanni e una nave ogni due ore tra Tremestieri e Villa San Giovanni.

Per quanto concerne invece le isole minori, saranno in servizio tre navi da e per le Eolie; due navi da e per le Egadi; una nave da e per Ustica; una nave da e per Pantelleria; una nave da e per le Pelagie


Ulteriori informazioni saranno disponibili online sul sito del Gruppo Caronte & Tourist (carontetourist.it).

Continuità territoriale marittima – Grave preoccupazione dei Comitati 20-30 e Trasporti Eolie per le scelte della Regione Siciliana

Comunicato stampa

Lipari, 2 ottobre 2025 

Oggetto: Continuità territoriale marittima – Grave preoccupazione per le scelte della Regione Siciliana

Il Comitato 20-30 e il Comitato Trasporti Isole Eolie esprimono forte preoccupazione per l’esito dell’incontro tenutosi il 29 settembre 2025 presso la Regione Siciliana sul tema della continuità territoriale marittima.

La convocazione, avvenuta con *tempistiche inadeguate e senza obiettivi chiari, ha impedito un confronto serio e condiviso, escludendo le comunità locali, le associazioni e le categorie economiche. Un metodo che mina la credibilità delle istituzioni e tradisce il principio di partecipazione democratica. Ancora più grave è stata l’assenza dei sindaci, interlocutori fondamentali in un processo che riguarda la vita quotidiana delle nostre isole.

Durante la riunione sono emerse contraddizioni allarmanti: da un lato si è parlato di rafforzamento del servizio e di mantenimento degli itinerari e delle frequenze, anche alla luce dell’aumento delle risorse da 55 a 105 milioni di euro; dall’altro si è annunciata la cancellazione dei collegamenti con la Calabria e la soppressione della storica linea Napoli–Eolie.

Questo doppio linguaggio genera sfiducia e disorientamento. Inoltre, la comunicazione che non sono previsti ulteriori incontri in presenza, ma solo la possibilità di inviare note scritte, appare come un tentativo di chiudere il dialogo, relegando i cittadini al ruolo di spettatori passivi di decisioni già prese.

La soppressione dei collegamenti con Napoli e con la Calabria rappresenterebbe un atto politico gravissimo. Non si tratta di una semplice modifica tecnica, ma di una scelta che condannerebbe le Eolie e in particolare l’isola di Stromboli a un isolamento inaccettabile. Questi collegamenti sono la nostra autostrada sul mare, il nostro ponte vitale verso il continente, essenziali per garantire diritti fondamentali come salute, studio, lavoro e mobilità.

Chiediamo con forza:

  La convocazione urgente di un nuovo incontro con le parti sociali 

  L’istituzione di un tavolo tecnico permanente e di un osservatorio territoriale, con la presenza diretta delle isole minori, delle categorie produttive e delle amministrazioni locali 

  La garanzia di tariffe certe e trasparenti, definite con criteri analoghi a quelli dei servizi integrativi regionali, per evitare aumenti spropositati come quelli già verificatisi (fino al +56%)

Eventuali fluttuazioni dei flussi turistici o eventi straordinari non possono ricadere sui cittadini: deve essere lo Stato, attraverso le linee di continuità territoriale, a farsi carico della sostenibilità economica del servizio.

Oggi, la Regione Siciliana, il Governo nazionale e le comunità delle isole minori hanno l’opportunità di ripensare il sistema dei collegamenti marittimi in modo equo, stabile e rispettoso delle esigenze reali dei territori. Non sprechiamo questa occasione: apriamo all’ascolto e costruiamo insieme soluzioni concrete.

Comitato 20-30 

Comitato Trasporti Isole Eolie

Accadde oggi...nel 2005


 

Collegamenti con le isole minori. Vertice sui nuovi bandi di gara. L'articolo del direttore Sarpi sulla Gazzetta del sud del 2 ottobre 2025


 

Auguri ai neo sposi Antonio Quadara e Annalise Donato

Gioia e amore vi accompagnino per tutti i giorni della vostra vita insieme. 

Auguri di cuore

Alicudi, impossibile catturare altre capre. L'articolo del direttore Sarpi sulla Gazzetta del sud del 2 ottobre 2025


 

Ginostra (Stromboli): Chiuso il porto del Pertuso per rischio frana

Il Sindaco Gullo ha emanato un'ordinanza di interdizione immediata dello scalo di alaggio denominato "Porto del Pertuso" nella frazione di Ginostra, sull'isola di Stromboli. Il provvedimento, di natura cautelativa e urgente, si è reso necessario a seguito del fenomeno franoso che ha compromesso la sicurezza dell'area.

La decisione è stata presa dopo la relazione e il sopralluogo effettuato dal dottor Domenico Russo, Responsabile del Servizio di Protezione Civile, in data 1° ottobre 2025, che ha confermato il distacco di una porzione della falesia sovrastante lo scalo.

La relazione ha evidenziato una situazione di grave precarietà e rischio per la pubblica incolumità, causata dalla presenza di ulteriori elementi instabili in corrispondenza della nicchia di distacco della frana. Ed ancora dallo stato di degrado delle gabbionate di sostegno e della rete paramassi, che risulta vistosamente deteriorata.

Per prevenire rischi per persone e cose, l'ordinanza stabilisce l'interdizione immediata e fino a nuova disposizione dell'intera area dello scalo di alaggio, vietandone l'utilizzazione alla popolazione, agli operatori marittimi e a terzi a qualunque titolo.

Pesca, al via bando da 3 milioni di euro.

Al via bando da 3 milioni di euro per il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi nei porti di pesca e nei luoghi di sbarco. Il provvedimento, che prevede finanziamenti fino a 1,5 milioni di euro per ogni progetto, si rivolge ai Comuni, alle Autorità di sistema portuale del mare e ai gestori di porti di pesca.

«Questo bando è una risposta concreta alle sfide quotidiane delle marinerie siciliane che da anni chiedono strutture adeguate per lavorare in sicurezza e garantire al consumatore un prodotto di qualità - dice l’assessore all’Agricoltura e alla Pesca Luca Sammartino - Con questo intervento, vogliamo non solo potenziare le infrastrutture, ma anche spingere l’innovazione tecnologica per rendere sempre più moderno e sostenibile il settore».

Il bando rientra nell’ambito del Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (Feampa) 2021-2027 e mira a investire risorse in porti di pesca esistenti e in nuovi luoghi di sbarco. Si intende migliorare la tracciabilità delle produzioni, potenziare la gestione delle attività di pesca e ridurre l'impatto ambientale, mentre vengono garantite migliori condizioni di lavoro e sicurezza per gli operatori. Il fine è rafforzare la competitività del settore siciliano, che si inserisce nel quadro degli obiettivi europei di sostenibilità e innovazione.

L'avviso è consultabile a questo link

Ambiente, circa 13 milioni di euro per contrastare il consumo di suolo. Savarino: «Straordinaria opportunità per i Comuni»

Contrastare il cambiamento climatico attraverso la rinaturalizzazione dei suoli degradati nei centri abitati e nelle aree urbane. È questo l’obiettivo dell’avviso pubblicato dalla Regione Siciliana e finanziato con circa 13 milioni di euro del Fondo per il contrasto del consumo di suolo 2023-2027, istituito dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica e destinato a tutte le Regioni italiane.

«Incrementare le aree verdi e rendere permeabili zone che adesso sono ricoperte da asfalto o cemento – commenta l’assessore al Territorio e all’ambiente Giusi Savarino – permetterà non solo di abbassare i picchi di calore ma anche di assorbire le bombe d'acqua che i sistemi fognari attualmente non riescono a convogliare, oltre a migliorare la vivibilità delle nostre città e dei nostri piccoli centri. Un’iniziativa che punta a rendere migliore e più sostenibile il futuro della nostra Isola».

Il bando del dipartimento Ambiente invita gli enti locali della Sicilia (Comuni, Città metropolitane e Liberi consorzi) a proporre progetti che incrementino gli spazi verdi pubblici attraverso il recupero di aree che presentano deterioramento del suolo e degrado degli ecosistemi. Tra gli interventi finanziabili: demolizioni di manufatti edilizi, integrazione e arricchimento del suolo, piantumazione di alberi o siepi, creazione di orti pubblici, installazione di sistemi e opere per il recupero delle piogge. I Comuni si impegnano, inoltre, a introdurre sulle zone riqualificate il vincolo di “area verde inedificabile a uso pubblico” (pena la perdita dei fondi).

Le proposte, che potranno essere inviate al dipartimento fino a 60 giorni dopo la pubblicazione dell’avviso sulla Gazzetta ufficiale della Regione Siciliana, saranno valutate dal punto di vista tecnico dall’Autorità di bacino e, successivamente, dal Mase per la significatività ambientale. I finanziamenti saranno, infine, assegnati in base alla graduatoria stilata dal ministero.

«Si tratta di una straordinaria opportunità per salvaguardare il territorio e rendere i nostri centri abitati più verdi, accoglienti e vivibili. Per questo speriamo che i progetti presentati siano tanti e a questo scopo – aggiunge Savarino – promuoveremo l’organizzazione di un evento che coinvolga l’Anci e i rappresentanti degli enti locali per sensibilizzare, attraverso l’illustrazione dell’avviso, sul tema e sollecitare la presentazione delle istanze».

L’avviso, con i relativi moduli per la presentazione dei progetti, è pubblicato sul sito istituzionale della Regione Siciliana a questo link.

Ottobre rosa. Caronte & Tourist porta a Messina il Villaggio della Salute della Carovana Komen per la prevenzione dai tumori al seno

 

COMUNICATO STAMPA 

Ottobre rosa. Caronte & Tourist  porta a Messina il Villaggio della Salute della Carovana Komen per la prevenzione dai tumori al seno: lunedì 6 ottobre la conferenza stampa di presentazione

Messina, 2 ottobre 2025 - Il Gruppo Caronte & Tourist porta a Messina il Villaggio della Salute di Komen Italia nell'ambito delle celebrazioni per il 60° anniversario di attività. Dal 14 al 16 ottobre, Villa Dante ospiterà una delle quattordici tappe nazionali della Carovana della Salute: uno spazio dedicato a screening gratuiti per la prevenzione dei tumori al seno rivolti a donne in condizioni di fragilità sociale ed economica.

L'iniziativa sarà presentata lunedì 6 ottobre alle ore 11:00 nel corso di una conferenza stampa presso la sede del Gruppo in Via Ing. Franza 82 (Messina, Z.I.R.), alla presenza dei rappresentanti di Komen Italia e dei partner istituzionali: Comune di Messina e Messina Social City

Il progetto rientra nell'Ottobre Rosa – Mese Internazionale della Consapevolezza sul Tumore al Seno e ha come obiettivo la promozione della cultura della prevenzione, strumento fondamentale per ridurre l'incidenza del tumore al seno e aumentare le possibilità di guarigione attraverso la diagnosi precoce.

Durante la conferenza stampa verranno illustrati il programma delle tre giornate, le modalità di accesso agli screening gratuiti e le attività di informazione e sensibilizzazione aperte a tutta la cittadinanza. Saranno anche annunciate le prossime iniziative del Gruppo per promuovere – nell’ambito delle celebrazioni per il 60° compleanno – una “sanità di prossimità”.

Tanti auguri di..

Buon compleanno a Benedetto De Mariano, Rosanna Giovenco, Antonino Cafarella, Milena Grano, Ramona Biviano, Angelo Mirabito, Alina Maslowski, Erika Varro, Miriam Ziino



Al via dal 3 ottobre le iscrizioni e le lezioni alla Scuola calcio della Ludica Lipari (maschile e femminile)


 

La "Pagina Culturale":QUELLA DI FLORENZIA, UNA STORIA DA RACCONTARE di Michele Giacomantonio (Puntata 9 di 10)


Nona puntata
LA MISSIONE IN BRASILE

1. Verso una nuova esperienza

Florenzia aveva sempre desiderato che la sua congregazione avesse un respiro missionario. Già nel 1905 al tempo della fondazione aveva pensato di qualificare in questo senso il suo progetto e, nel 1937, aveva scritto al vescovo di Acireale per conoscere le pratiche da compiere per aprire una casa in Africa orientale, ma il proposito non ebbe seguito.
Alla Madre venivano in mente questi ricordi, mentre padre Oderico, un cappuccino missionario in Brasile, in una mattina primaverile della fine di maggio del 1953, le parlava della drammatica situazione dei poveri e dei bambini in quelle terre, dove soprattutto l’ignoranza e, per quanto riguardava gli indios, un’esistenza disumana e priva dei diritti civili, erano alla base della fame e della miseria. Padre Oderico sperava che Florenzia accettasse di inviare in Brasile alcune suore per aprire una missione.
 C’è tanto lavoro da fare – spiega il missionario – e, per quanto qui la situazione sia difficile per moltissimi, non c’è paragone con la povertà di quei luoghi. Proprio stamattina ho letto un articolo sulla situazione economica e politica del Brasile. Questi sono anni drammatici segnati dall’inflazione e, soprattutto, da una corruzione dilagante che fanno di questo enorme paese al tempo stesso una realtà ricchissima per le materie prime e poverissima dal punto di vista sociale. Questo in generale, reverendissima Madre, ma nello stato di Goiàs nel Mato Grosso, che è la realtà che conosco meglio, la situazione è forse peggiore, anche se proprio in questa regione è stata progettata e sono iniziati i lavori per realizzare una nuova capitale, Brasilia. Questo vorrà dire investimenti e lavoro, ma c’è anche il rischio che si approfondiscano le forti lacerazioni sociali e il caos.
Dare il via a un’esperienza missionaria – osserva Florenzia – mi piacerebbe molto, è sempre stato il mio sogno. Soprattutto da quando abbiamo il riconoscimento pontificio. Mi è sempre rimasta in mente una conversazione che ebbi a New York con madre Francesca Cabrini, ora divenuta santa. A un certo punto mi disse: “Ho desiderato con forza aprire la casa generalizia a Roma ed avere il riconoscimento pontificio. Che senso ha fare i missionari nel mondo con un istituto riconosciuto solo dalla diocesi?”. Questa sua considerazione non l’ho mai dimenticata e mi ha sostenuto, quando, subito finita la guerra, volli venire a Roma proprio per realizzare questo programma. Ma noi siamo ancora poche e con risorse molto limitate.
La missione in Brasile potrebbe essere l’occasione per avere nuove vocazioni.
Sarebbe una grazia del Signore. Se lei ci aiuta, proveremo ad avviare anche questa esperienza. Ne parlerò al prossimo Consiglio. Certo, non posso pensare di accompagnare io le mie suore come ho fatto ancora fino a una decina di anni fa, sono ormai troppo vecchia e acciaccata, ma sceglierò io una a una le suore da mandare. 

La cappella della Casa generalizia a Roma
E il Consiglio approvò la proposta di Florenzia e, il 20 giugno 1953, si svolse nella cappella della casa di Roma la cerimonia del saluto alle suore missionarie: suor Matilde, che sarà la superiora, quindi suor Assuntina, suor Arcangela e suor Isabella. Florenzia dà lettura di una lettera che consegna poi a tutt’e quattro le suore. Raccomandiamo – dice fra l’altro la lettera – spirito di sacrificio e di abnegazione, amore sororale, rispetto e obbedienza alla Madre superiora, tale da essere la sposa fedele di Gesù e la degna figlia del Serafico Padre San Francesco. Il Signore la benedica e l’accompagni”.
Il 30 giugno partirono da Roma e il viaggio in mare durò 15 giorni, salpando da Genova e toccando Lisbona, Rio de Janeiro, fino a Santos, dove il viaggio via mare si concluse per iniziare quello via terra verso Sâo Paulo, Uberaba e, infine, Jatai.
Di questo viaggio, come della missione in Brasile, suor Matilde terrà un diario in cui andrà registrando fatti e sentimenti, a cominciare da quelli contrastanti che accompagnano le suore alla partenza: animo generoso, entusiasmo, cristiana rassegnazione, fede viva pensando di compiere i divini voleri, dolore per il distacco da Florenzia, dalle consorelle e dal proprio paese. Viaggiavano in terza classe, ma non era più la terza classe del viaggio di Florenzia per New York di sessant’anni prima. La nave era nuova, bella, pulita, anzi addirittura candida, e suor Matilde, suor Arcangela, suor Assuntina e suor Isabella avevano le loro cabine.
Durante la navigazione, le nostre suore conversano con gli altri viaggiatori, ma non trascurano le preghiere e le celebrazioni. Diligentemente suor Matilde annota nel suo diario che al pomeriggio c’è la recita del rosario, partecipata da parecchi passeggeri, nella grande terrazza della nave, alternata a canti popolari accompagnati dalla fisarmonica; poi la benedizione con altri canti alla Vergine in lingua italiana e spagnola. Quanto alle messe, vi erano diverse celebrazioni nei vari reparti e nelle sale di seconda classe alle quali le nostre suore avevano libero accesso.
Questo permette loro di fare amicizia con altre suore che viaggiavano in seconda e prima classe. Purtroppo non mancò il cattivo tempo e il mare burrascoso che, qualche volta, le costringeva a disertare i pasti e a rimanere in cabina distese sul letto perché il mare era così forte che era anche difficile stare in piedi. Ma c’erano anche le occasioni per grandi momenti di allegria e il tempo per imparare un po’ di portoghese. E questo, mentre aiutavano il cappellano a scegliere e copiare le canzoncine da cantare durante il rosario della sera, e a preparare alcuni bambini per la prima comunione.

Finalmente, il 15 luglio, si arrivò a Rio de Janeiro. Tutti sono sul ponte più alto per scorgere le montagne che si disegnano all’orizzonte e assistere all’avvicinamento verso questa terra nuova che, per molti, sarebbe dovuta diventare la loro nuova terra. Ecco finalmente il Corcovado, la montagnola a forma di pan di zucchero, con in cima la statua del Cristo.
Scese a terra, le nostre suore trovano chi le accompagna proprio ai piedi della statua da cui possono ammirare la città di Rio. Viene loro detto, e suor Matilde lo appunta sul diario, che solo a Rio si potevano contemplare i monti, perché per tutto il Brasile avrebbero trovato solo sterminate pianure e verdi boscaglie. Partiti da Rio, il giorno dopo sono a Santos che di fatto è il porto di Sâo Paulo, la meta del viaggio via mare.
Al porto, ad attenderle per aiutarle nel disbrigo delle faccende burocratiche, vi è padre Odorico.
Benvenute in Brasile, sorelle – esordisce il cappuccino –, prima di raggiungere Jatai che sarà la sede della missione, ci fermeremo otto giorni a Sâo Paulo, ospiti delle suore agostiniane per ambientarvi un po’ e cominciare a fare i conti con la lingua portoghese che credo non conosciate.
– Ne abbiamo avuto qualche saggio sulla nave – commenta suor Isabella – e abbiamo capito che è piuttosto intricata e difficile.
– In queste giornate – continua padre Oderico – visiteremo alcuni ospedali per vedere come funzionano, visto che questa in futuro sarà la vostra occupazione e incontreremo anche il vicario vescovile di Jatai dalla cui parrocchia dipenderete.
Come le suore agostiniane, anche il vicario fu molto affabile e disponibile con le nostre suore. Le agostiniane le sommersero di attenzioni e di consigli aiutandosi nella conversazione con i gesti, quando le parole non erano comprese e il vicario promise di prendersi cura di loro mettendole in guardia che proprio a Jatai la situazione era un po’ delicata, perché nel comprensorio vi era una discreta presenza di protestanti e la loro comunità aveva manifestato anch’essa interesse per l’ospedale.
– Ma sono sicuro –concluse salutandole – che con un po’ di sana prudenza e di carità cristiana tutto andrà per il meglio.

2. L’ospedale di Jatai

Da Sâo Paulo a Jatai andarono in aereo. A incontrarle a Jatai c’erano suore e frati  agostiniani, la dottoressa dell’ospedale col marito che erano bergamaschi. In macchina si andò subito a vedere la casa dove avrebbero vissuto. Vista da fuori, era nuova, graziosa, luminosa, vicino all’ospedale, ma dentro è lo squallore: un tavolo, quattro sedie e quattro letti, questo tutto il mobilio, inoltre mancava una pila per lavare. Lo scoramento più grande veniva dalla campagna circostante, dalle poche case sparse nei dintorni, da una polvere rossa che si infiltrava dappertutto fino nei polmoni. Un deserto, così parve subito la loro destinazione. E, di improvviso, furono sopraffatte dalla nostalgia per la patria lontana e dovettero fare forza sulle motivazioni più profonde per non cedere allo sconforto.
Si andò a salutare il vescovo e poi, per i primi giorni, fu deciso, fino a che si fossero ambientate, di rimanere ospiti delle agostiniane.
Le suore agostiniane sono affettuose e gentili – confidò suor Matilde alle compagne –, ma non ha senso che indugiamo. È bene che diamo inizio alla nostra missione in senso pieno. Oggi stesso prenderemo contatto con le autorità dell’ospedale per renderci conto del nostro lavoro e effettuare le consegne.
Così, già il 27, le nostre suore si trasferiscono nella loro casa e vanno a visitare l’ospedale. Nella casa si tratta di stabilire la routine degli impegni comuni.
Siccome non abbiamo una cappella – suggerisce la superiora –, le preghiere le recitiamo in salotto e tutte le mattine, subito dopo la meditazione, andiamo in parrocchia – anche se un po’ distante – per partecipare alla messa.
L’ospedale era una costruzione nuova e la cerimonia delle consegne fu, di fatto, una vera e propria inaugurazione con la benedizione di locali, la presentazione dei dottori, e la visita in infermeria dove ancora c’erano solo due ricoverati: una donna e un giovane, giunti proprio quella mattina.
Anche se in quel continente era inverno, continuavano a portare gli indumenti estivi perché, se pur l’aria al mattino era piuttosto fresca, spuntando il sole, sembrava estate. Inoltre, d’inverno per sei mesi praticamente non pioveva e la mancanza di acqua faceva aumentare quella polvere rossa che le costringeva a indossare tutti i giorni vestiti puliti e lavare la stessa biancheria in continuazione, perché la gran parte dei bagagli tardava. Quando arrivarono le casse con la biancheria e le masserizie, si pensò a sistemarle e si ottenne anche un armadio.
In ospedale le suore andavano tutti i giorni, si faceva l’inventario del materiale esistente e si curava che la pulizia venisse ben fatta. Si comperò una macchina da cucire e si iniziò a preparare lenzuola, cuscini, federe, indumenti per i dottori e la sala operatoria. Intanto, gli ammalati cominciarono ad arrivare, anche se alcuni giungevano appena in tempo per i sacramenti. Ciò che era più evidente - fra la gente che batteva alla porta dell’ospedale e quella che si incontrava per strada - era la miseria. Comunque, con gli ammalati le suore stabilirono un rapporto di fiducia e di stima tanto che, quando andavano via, persino i poveri, volevano sdebitarsi offrendo qualcosa per riconoscenza.
 Vi era sempre il problema della lingua e, nei primi tempi, fu un vero martirio farsi capire. Non era solo il portoghese e la parlata degli indios, vi era anche che in quella zona la pronunzia era più stretta e, quindi, la lingua più difficile a orecchie non abituate. Ma questo “martirio” aveva anche risvolti umoristici. La gente rideva a sentire le suore che si sforzavano di parlare portoghese e le suore ridevano per certe parole strane che pronunciavano i locali. La sera, nei momenti di ricreazione, facevano esercizio di lingua: dettato, copiato, lettura e fra loro scherzavano, perché si sentivano come scolare alla prima classe. Le domenica andava da loro una suora agostiniana ad aiutarle in questi esercizi.
Ma, per quanto le suore si prodigassero soprattutto per creare in ospedale un clima di collaborazione e di fiducia reciproca, i problemi non mancavano. C’era la barriera della lingua, ma l’incomprensione era ben maggiore. Approfittando dell’assenza del direttore che era in malattia, il personale assistente, le infermiere e gli aiutanti tendevano a crearsi spazi di autonomia, osteggiando le suore per sottrarsi al loro controllo, facevano cioè da padrone e le suore sopportavano tutto in silenzio. Anche quello dei pasti era divenuto un problema. Non riuscendo ad adattarsi ai cibi brasiliani, le suore avevano preso a cucinarsi per loro conto qualche piatto italiano. Ma proprio questo scatenò critiche e  sospetti. Si diceva che consumavano troppo olio, che si appropriavano dei viveri di prima scelta, ecc. Così furono costrette a cucinarsi i pasti nella loro casa.
Persino il fatto che sollecitassero un contributo veniva criticato e negato secondo la tesi che, essendo suore, avrebbero dovuto lavorare gratuitamente, visto che si trattava di un’opera di carità che aveva solo un finanziamento dello Stato, il cui importo era insufficiente e, quindi, erano necessari contributi dei privati.
Dovette intervenire il vicario e parroco di Jatai, per chiarire quali fossero le condizioni per il lavoro delle suore. Si superò così, dopo mesi, quella condizione di estrema povertà in cui erano state costrette a vivere fin dal loro arrivo. Ma il clima dei rapporti continuava a non essere dei migliori.

3. Florenzia e la missione 
Florenzia seguiva la missione delle sue figliole, da Roma, con partecipazione e apprensione. Avrebbe voluto sicuramente essere ancora lei ad aprire con loro questa nuova pista, ma era rassegnata a seguirle solo col pensiero e la preghiera. Ogni sera verso le 21, guardando dalla terrazza un aereo alto nel cielo, soleva dire: “Questo mi porta la lettera delle suore del Brasile”. Capitava che il giorno dopo il postino recasse davvero questa lettera e lei, tutta felice, commentava: “Ve lo dicevo io!”.
Si preoccupava di ognuna. Dava consigli e rincuorava. Prima di ricevere la prima lettera da loro, ne aveva spedite tre. Alla lettera risponderà immediatamente e confesserà: “Quando riceviamo una vostra lettera, è una festa per noi, specie per la sottoscritta che ne vorrebbe una al giorno”.
È felice di sapere che si stanno abituando al clima e all’ambiente, ma si preoccupa per la loro salute e per il vitto che risparmiano per non pesare troppo sull’ospedale. Consiglia di procurarsi una cucinetta in casa per prepararsi un uovo o qualche altra pietanza di loro gusto. Consiglia di stare attente e tenersi tutte in salute, perché sarebbe un disastro se qualcuna si ammalasse. Considera l’assegno di 20 mila lire che finalmente hanno ricevuto per il lavoro in ospedale e, se da una parte, le sembra poco, dall’altra osserva che però ricevono anche il vitto. È contenta di sapere che tutt’e quattro lavorano all’ospedale, ma è preoccupata per suor Assuntina, a cui è legata da particolare affetto, perché a Roma si prendeva cura di lei e sa come è facilmente impressionabile di fronte alle malattie. Prega la superiora di toglierla dall’assistenza diretta degli ammalati, perché potrebbe cadere lei stessa malata. Meglio farle fare la guardarobiera o la sorvegliante in cucina. Apprende che vi è una terra destinata alle suore a Rio Verde, paese poco distante, e pensa subito che col tempo si potrà aprire una casa anche lì. Quando legge che suor Matilde le chiede di inviare altre suore istruite e al più presto perché il lavoro è tanto, ha una reazione immediata. “Lei sa lo scarso numero che siamo nella nostra comunità… Come si permette dire tali cose, mia cara. Lei è partita da qua, col pensiero di avere costì delle vocazioni e mandarle qua, invece chiede aiuti e suore istruite. Mi sembra che non si ragiona, cara Superiora, stia tranquilla, si sottometta con tutto il cuore ai voleri di Dio e il Signore la colmerà di grazie”.
L’irritazione, però, è frutto di un momento e Florenzia torna a preoccuparsi per le sue figliole.
“Cara Superiora, lei dev’essere di cuore grande, coraggiosa e avere molta fede in Dio. Mi è stato detto che costì vi sono le Suore Francescane missionarie e, quando sono arrivate, nessuna accoglienza hanno avuto e sono state all’aperto notte e giorno per molti giorni; vi sono anche le suore dove va a prendere lezione suor Benedetta e hanno pianto per sei mesi. Voi siete state ricevute con tanta carità, quindi, cara Superiora, la prego di fare il tutto per imparare la lingua ed anche imparare a scriverla così potete fare scuola e con la scuola tanto bene. Le suore, che dovrebbero venire costì, dovranno essere istruite e sapere parlare bene il portoghese, ma per questo passeranno diversi anni.
 Il fico maturo si prende dall’albero e si mette in bocca, ma per le altre cose si richiede tempo e poi la tristezza sarà cambiata in gioia”.
La suora nella sua lettera le ha parlato della miseria che c’è dovunque e della tristezza che le assale di fronte a questa visione e alla consapevolezza di poter fare troppo poco. Florenzia cerca di consolarla e teme che le consorelle possano cadere in depressione; per questo consiglia di non pensarci troppo: “Quelli sono nati nella miseria e non vi fanno caso, lei li raccomanda al Signore, se può beneficarli con qualche cosa lo faccia ed il Signore gliene darà merito”. Poi si rivolge direttamente a suor Matilde, che ha responsabilità della missione, e le consiglia che “quando si sente abbandonata e desidera sfogare in pianto, lo faccia pure, pianga e sfoghi il suo cuore innanzi al crocifisso che porta al fianco”. Quindi la conforta ancora e la prega di non impressionarsi perché povere si trovano in una terra sconosciuta, senza conoscere la lingua. Il buon risultato si vedrà piano piano e non in un sol colpo. “Si vedrà dopo che starete diciotto anni come sono stati gli altri e anche voi avrete scuole e noviziato e molte case aperte”.

4. L’ospedale al centro di tensioni
Le tensioni in ospedale non distraggono le suore  ad  apportare miglioramenti alla loro casa. Così fu realizzata la cappella che divenne un punto di riferimento per tutti gli abitanti della zona. Presto essa non fu più sufficiente e si dovette cercare una stanza più grande e procurarsi altri banchi. La domenica era sempre gremita di gente.
Via via che l’ospedale si riempiva di malati, aumentavano i problemi per il loro sostentamento e quello del personale, perché i contributi che arrivavano erano insufficienti e la superiora, quale direttrice dell’ospedale, non sapeva come fare quadrare i conti. Spesso, inoltre, venivano messe di fronte a decisioni già prese senza consultarle come fu per il corso delle vincenziane sull’organizzazione e per la formazione delle infermiere. Si dovettero comperare in tutta fretta letti, materassi, lenzuola, coperte, biancheria e allestire un locale per le due suore e un altro per le alunne. Per fortuna con le vincenziane si creò un buon rapporto e si viveva concordi e in armonia. Il corso fu proficuo anche per le nostre suore. Suor Assuntina non solo riuscì a vincere le sue resistenze a occuparsi dei malati, ma frequentò il corso, lo superò e imparò così bene da poter dirigere lei, in seguito, le allieve. Nell’occasione vennero anche infermiere diplomate da Rio, provette e competenti, che contribuirono a valorizzare l’ospedale in cui aumentò il numero degli interventi chirurgici.
Quando le vincenziane andarono via, lasciarono una relazione di encomio alle Suore Francescane per l’accoglienza data loro e per l’impegno nell’ospedale, fecero un elenco delle cose necessarie che ancora mancavano e chiesero che venissero donate alle suore, per la cappella, le statue di san Francesco e dell’Immacolata.
Ma più passava il tempo e più la situazione economica dell’ospedale peggiorava perché aumentavano i malati e anche i dottori e il personale, mentre le risorse rimanevano sempre le stesse. Le suore, che avevano la responsabilità della direzione e della gestione, non sapevano come fare, ma nessuno se ne curava. Chiesero che venisse assunto un buon economo, ma la richiesta sembrò cadere nel vuoto. Così si viveva a credito ed erano già quattro mesi che non si pagavano la farmacia, l’energia elettrica e tutto il resto che era necessario. Finalmente arrivò il tanto atteso economo, ma l’unico risultato che si ottenne fu quello di mettere tutti d’accordo – dottori, personale e suore – contro il suo modo di gestire che faceva mancare perfino il necessario.
Comunque, le preoccupazioni delle suore sembrarono diminuire perché ora c’era chi si doveva occupare di fare quadrare i conti. Non si alleviò, però, la loro povertà che veniva mitigata dalle cortesie delle suore agostiniane.
Come se i problemi esistenti all’ospedale non bastassero, ne emerse uno nuovo che mise in discussione la pace religiosa. Andarono via due infermiere e vennero sostituite da altre quattro di confessione protestante. E siccome non si sopportavano con le infermiere cattoliche, litigavano in continuazione. Il direttore era rientrato, ma non faceva niente per superare questi problemi anche perché aveva esigenze elettorali e non voleva inimicarsi nessuno. E così la litigiosità divenne endemica e investì ciascun membro del personale.
Per di più il vicario, che aveva accolto le suore e le aveva sempre protette, lasciò Jatai. Anche se il nuovo sacerdote che lo sostituì era virtuoso e buono, non aveva, però, l’esperienza e l’autorità del suo predecessore e le suore si sentirono più sole e sempre più abbandonate. Non sapevano più a chi rivolgersi per chiedere protezione dai soprusi che in ospedale non mancavano anche da parte di qualche dottore.
Dopo qualche mese, le infermiere protestanti andarono via perché stufe degli scontri continui. Con le suore non avevano mai avuto problemi, ma queste tirarono ugualmente un sospiro di sollievo, perché erano preoccupate per la tensione in ospedale e temevano sempre che potessero fare del proselitismo fra i malati. Infatti, partite le infermiere, in ospedale si visse un periodo di pace e di serenità, ma era un equilibrio instabile, perché i problemi di fondo relativi ai finanziamenti non erano stati risolti.
Proprio per questo suor Matilde cercò di vedere se riusciva, impegnandosi direttamente, a smuovere la situazione. Quando nel luglio del 1955 dovette andare a Rio de Janeiro per il Congresso eucaristico, ne approfittò per interessarsi dell’ospedale. Andò al Ministero della Salute e si incontrò con alcuni deputati del Goiàs per chiedere maggiori finanziamenti pubblici. Tentò anche una questua presso le famiglie italiane ricche di Rio, ma ne ricavò solo umiliazioni.
Così, quando fu il momento di tornare, era visibilmente delusa e sconfortata.
Che cosa ha suor Matilde? Che cosa la angustia?, le chiese la superiora delle suore italiane presso cui era alloggiata.
Torno a Jatai e trovo in ospedale i problemi di sempre. Mi ero illusa di riuscire a scuotere la sensibilità delle autorità e delle famiglie ricche di Rio, ma è stato un buco nell’acqua. È difficile dirigere un ospedale senza risorse; tutti i malumori e anche i sospetti si scaricano su chi ha l’incarico della gestione, cioè su noi suore.
So che cosa intende dire, suor Matilde – la confortò la superiora –, perché anche noi gestiamo un ospedale per fortuna senza i problemi che avete voi. Che vuole che le dica. L’unico consiglio che mi sento di darle e che, se non vede possibilità di miglioramento, è meglio che abbandoniate Jatai al più presto e vi trasferiate in un’altra città del Brasile. C’è una grande richiesta di suore che sappiano gestire un ospedale.
Abbandonare Jatai e trasferirsi altrove? Suor Matilde non poteva dire che non ci avesse mai pensato. Ma era un pensiero fugace nei momenti di maggiore disperazione. Il pensiero di un istante che non era mai stato preso in seria considerazione. Avrebbe voluto dire dichiarare fallimento e poi che cosa avrebbe detto Florenzia e il vescovo di Jatai?...
Ma più trascorreva il tempo più la situazione si deteriorava. Soprattutto i rapporti delle suore con l’economo che, essendo zio del direttore e amico del deputato locale, non perdeva occasione per denigrarle sostenendo che non lavoravano ed era costretto lui a occuparsi di tutto. I dottori avrebbero potuto smentirlo, ma scelsero la linea del comportamento ipocrita e tutto questo contribuì ad avvelenare ulteriormente il clima.

Ma se suor Matilde non sapeva come fare, c’era invece chi il problema se lo stava prendendo a cuore. Padre Oderico, infatti, che aveva avuto modo di parlare a Rio con suor Matilde della loro condizione, ai primi di settembre cominciò a interessarsi per trovare una migliore destinazione per queste suore, giacché si sentiva responsabile essendo stato lui a volerle in Brasile. E l’impegno del frate cappuccino diede i suoi risultati. Suor Matilde ricevette una sua lettera che la invitava a Cravinhos, nello stato di Sâo Paulo, dove il vicario cercava delle suore per dirigere l’ospedale del posto.
Si trattava di una prospettiva. Certo non andava ignorata, ma la situazione doveva essere valutata bene. Questo fu il giudizio unanime della piccola comunità, quando a sera suor Matilde mise le sue compagne al corrente della proposta. In realtà, le nostre suore non avrebbero voluto lasciare Jatai e speravano sempre in un miglioramento della situazione. Ma era un miglioramento di cui non si scorgeva la minima possibilità. Anzi, oltre al resto, prendeva piede un’attività tutta clientelare del direttore, sostenuto dallo zio economo, che faceva trattamenti di favore, esonerando dal pagamento, per amicizia o per convenienze private, assistiti benestanti e, comunque, in grado di pagarsi le prestazioni mediche. Contro questa pratica la superiora scrisse una lettera alla presidenza dell’ospedale, preoccupata che lungo questa china si sarebbe arrivati al fallimento e, quindi, alla chiusura. Ma non ricevette alcuna risposta anche perché, alla presidenza, erano stati prevenuti dall’economo che con i membri di questa aveva rapporti diretti. Quanto ai rapporti interni, lo stesso economo, che con ogni probabilità voleva liberarsi delle suore, cominciò a sostenere la tesi, spesso in forme provocatorie, che vi erano differenze notevoli di prestazione e capacità fra cattolici e protestanti e che solo questi ultimi sapevano educare la gioventù. E non si trattava solo di discussioni teoriche. Queste vennero presto accompagnate anche da tentativi di licenziamento nei confronti di infermiere cattoliche che le suore, a fatica, riuscirono a evitare. Malgrado tutto, si cercava di curare al meglio i ricoverati e questi, osservando i soprusi che le suore pativano, restavano ammirati della loro sopportazione.
Così le suore decidono che, senza dare pubblicità alla richiesta, avrebbero cercato di verificare la prospettiva di Cravinhos.
  
5. Si apre una nuova prospettiva
A gennaio del 1956, suor Matilde e suor Assuntina raggiungevano a Cravinhos padre Oderico per incontrare il parroco e il prefetto della cittadina. Si parlò della direzione dell’ospedale e il prefetto offrì un vasto terreno per realizzare la casa del noviziato. Il parroco avrebbe voluto che accettassero subito e, per convincerle, le portò a visitare l’ospedale. Era una struttura, poterono constatare con soddisfazione, meglio attrezzata e organizzata di quella di Jatai. Suor Matilde propendeva per il sì, ma dovevano prima consultarsi con Florenzia.
D’accordo – dice il parroco –, ma a condizioni che la vostra accettazione sia certa e che vi troverete a Cravinhos prima di Pasqua.
Noi – aggiunse il prefetto – siamo disposti a fare qualunque spesa. Anche a realizzare, annesso all’ospedale, l’appartamento delle suore, garantendo una buona retribuzione mensile.
Sembra che sia questa la volontà di Dio – commentò suor Matilde –, accettiamo, ma vi chiediamo di attendere il tempo di ottenere il beneplacito da Roma, che sicuramente sarà positivo.
Erano tutti soddisfatti e contenti.
La missione era praticamente conclusa ma, prima che tornassero a Jatai, padre Oderico voleva che conoscessero padre Donizzetti, un sacerdote che veniva considerato un santo e viveva in un paese vicino. Così lo vanno a trovare. Il padre le accoglie con grande affabilità e conversa a lungo con loro esortandole anche lui a trasferirsi a Cravinhos, ma anche a disporre il proprio animo alle sofferenze, perché la vita che avevano accettato era dovunque difficile.
Prima di salutarle, vuole che passino da casa sua per offrire loro un caffè. In realtà, vuole che tocchino con mano la sua azione pastorale. Infatti, dinanzi alla sua casa vi è un via vai di persone, per lo più povere e derelitte, che vanno a trovarlo prospettandogli i propri problemi, le malattie e per mostragli le piaghe. Con tutti parla del Vangelo e, al tempo stesso, compie delle guarigioni che sembravano impossibili e incredibili e, quindi, miracolose.
Il giorno dopo, prima di prendere l’aereo, le nostre suore vanno a trovare il vescovo, della cui diocesi Jatai fa parte, per parlargli della proposta che hanno ricevuto. Il vescovo è contrario a questo trasferimento, perché teme che il lavoro fatto vada in fumo e i protestanti prendano il sopravvento.
È vero, Eccellenza – risponde suor Matilde –, ma Jatai sembra un vicolo cieco, mentre rinunciare a Cravinhos vorrebbe dire gettare via una grande prospettiva per il nostro istituto. Certo, se fossimo più numerose in Italia, potremmo chiedere di mandare qui altre suore per continuare a gestire Jatai senza sacrificare Cravinhos. Ma è una richiesta che non mi sento nemmeno di fare alla mia superiora generale.
Infatti, Matilde ha ancora ben presente la reazione di Florenzia, anche se in seguito la stessa Florenzia aveva ripreso l’argomento per scusarsi: “Cara superiora, io le chiedo scusa di averla mortificata ma, se mi crede, certe volte mi sento la testa così confusa per tanti discorsi che sento che non sono buona a formulare un pensiero. Lei, tanto buona, mi saprà compatire… Mia cara, lei ha più che ragione a volere estendere l’opera trovando delle buone occasioni, ma dove si prendono le vocazioni? Noi tutti i giorni preghiamo la Vergine santissima che ci mandi delle buone vocazioni e speriamo che appagherà le nostre brame, ma si richiede del tempo. Fidiamo in Dio”.
Oggi non è possibile, ma speriamo nel futuro, questa sarebbe stata la risposta da Roma con la sollecitazione a guardarsi intorno anche lì per trovare delle vocazioni, e di interessare, a questo fine, i parroci dei paesi vicini.
L’incontro col vescovo rimane così senza una conclusione lasciando ognuno sulle proprie posizioni.
Intanto, a riprova che Jatai era un capitolo da chiudere al più presto per le suore, giunge il 2 marzo 1956 con una solenne cerimonia in ospedale per consacrarlo al Cuore di Gesù. Suor Matilde sperava che la consacrazione potesse concorrere a migliorare la situazione interna, ma non fu così. Anzi, proprio in quei giorni, si arrivò a uno scontro aperto col rappresentante della presidenza dell’ospedale, oltre che col direttore e l’economo. Il conflitto partì dal licenziamento di un’infermiera. La motivazione? Costava troppo e non rendeva altrettanto.
Era chiaramente un pretesto e suor Matilde pensò che fosse giunto il momento di mettere sul tappeto tutte le loro rimostranze. Ma se credeva di trovare nel responsabile parole di comprensione e rassicurazioni, si sbagliava. Questi reagì con estrema durezza e, dimostrando di avere una consonanza di vedute col direttore e l’economo, accusò la superiora di avere troppe pretese e che la crisi era dovuta al fatto che proprio lei aveva speso troppo, nei pochi mesi in cui aveva avuto la responsabilità della gestione e così via.
Questo scontro lasciò una situazione di estremo imbarazzo ormai insostenibile, anche perché, al di là dell’atteggiamento verso le suore, la stessa struttura era ormai allo sbando. Ognuno decideva per proprio conto e le decisioni di un giorno venivano annullate in quello successivo. Vi erano dottori che procuravano aborti e le infermiere, rifiutando di coadiuvarli, si appellavano alle suore. Ma queste, se intervenivano, erano umiliate dalla direzione. Questi episodi non potevano che confermare la volontà di lasciare Jatai, malgrado le resistenze del vescovo, che però non faceva nulla perché la situazione cambiasse. Per organizzare la partenza ormai si aspettava solo la decisione di Florenzia.
In questa situazione di avvilimento giunse, alla vigilia di Pasqua, la notizia che Florenzia era morta. Fu un colpo duro perché inaspettato. Le suore si chiusero in lutto per piangere la Madre scomparsa, ma siccome si era in periodo pasquale, si dovette aspettare il 10 aprile per celebrare le esequie nella cappella. Intanto, insieme alla notizia della morte, era giunto il consenso ad abbandonare Jatai per trasferirsi a Cravinhos. 

La casa di Cravinhos quando arrivarono le suore.
Era l’ultimo atto di governo della sua congregazione che Florenzia aveva compiuto, prima di chiudere gli occhi per sempre. Negli stessi giorni arrivava una lettera del parroco di Cravinhos che informava che il contratto che le suore avevano inviato due mesi prima era stato ponderato dal vescovo locale, dalle autorità dell’ospedale e da lui stesso, ottenendo da tutti il pieno consenso. Mancava solo il consenso del vescovo della diocesi di Jatai. Per convincerlo fu necessario che ci si appellasse a Roma, ma alla fine anche questo scoglio fu superato.
Il 19 maggio giunge una lettera di padre Oderico che dava alle suore appuntamento per il 24 maggio all’aeroporto di Uberaba. Solo cinque giorni per preparare la partenza, con tanta pena nel cuore perché, malgrado le sofferenze e le umiliazioni, in quei luoghi avevano investito anche tanta passione e tanta speranza. All’ospedale salutarono i dottori che non volevano credere alla loro dipartita, le infermiere e il personale inserviente. Andarono anche a trovare il direttore a casa, ma non fu possibile incontrarlo, mentre la moglie ebbe la cortesia di comunicare loro che non si sarebbero curati molto della loro perdita. Comunque, si lasciarono a lei i documenti e gli inventari.
Il commiato più sincero e commovente fu con le Suore e i Frati Agostiniani che li accompagnarono anche all’aeroporto. Qui, a salutarle, c’era anche il personale dell’ospedale e un dottore con le infermiere.
  
6. Il tentativo di vocazioni brasiliane
Uno dei punti che Florenzia continuava a sollecitare era che si cercassero delle vocazioni in Brasile e, a dire il vero, durante la permanenza a Jatai le suore avevano vissuto anche un’esperienza in questa direzione che, purtroppo, non era andata a buon fine.
L’esperienza era iniziata l’8 dicembre 1954. Alla casa si presentò una donna che insisteva perché la figlia quattordicenne venisse ammessa al corso di infermiera. Ma la ragazza non aveva l’età e non si poteva fare niente. La povera donna, che aveva gravi problemi a mantenere le figlie, sconfortata insisteva e, alla fine, chiese che almeno potesse rimanere nella casa per divenire suora. Impietosita, la superiora acconsentì ad accoglierla per alcuni giorni per conoscerla meglio. E disse alla donna di andare a prendere gli indumenti della ragazza e di riaccompagnarla il giorno dopo. Il giorno seguente, la donna tornò contenta e allegra, ma aveva con sé non una ma due figlie. Vi era, infatti, anche la più piccola di solo 12 anni che, con grazia, chiese di poter rimanere con la sorella. Così si accettarono come esterne e subito si scoprirono volenterose e buone, docili e ubbidienti, di modo che, dopo la festa di Natale, si acconsentì a farle restare come interne. Erano le due prime vocazioni della missione.
Il 6 settembre arrivò alla casa una giovane di Rio Verde, indirizzata dal parroco del luogo, che voleva avviarsi alla vita religiosa. A suor Matilde, dopo un colloquio, non parve che la ragazza avesse predisposizione per la vita religiosa, ma siccome era povera e abbandonata dal padre che si era fatta una nuova famiglia, la si accettò. Così la missione ora aveva due postulanti e una piccola aspirante.
La più piccola era molto discola, ma anche le altre davano preoccupazioni. Soprattutto la più grande, quella venuta da Rio Verde, che aveva ormai 22 anni e sarebbe potuta divenire novizia. Invece, il suo comportamento andava peggiorando con il passare dei giorni. Non ubbidiva, era invidiosa e diverse volte la superiora fu sul punto di rimandarla a casa, ma ogni volta questa chiedeva perdono e prometteva di cambiare.
Prima di Pasqua, tornando suor Assuntina da un corso di formazione presso l’ospedale di Goiània, portò con sé una ragazza di 15 anni che diceva di volersi fare suora. Anch’essa era povera con una famiglia disgregata e, quindi, la si prese per spirito di carità. Subito si scoprì, però, che le postulanti più grandi non la vedevano di buon occhio ed erano maturati malumori e invidie. Suor Matilde cercava di rimediare a questi screzi, suggerendo alle più grandi comprensione e compatimento e, all’ultima arrivata, l’esigenza di adattarsi alle regole stabilite.
Gli sforzi della superiora andarono alla fine in porto, ma non nella direzione da lei sperata. Le tre ragazze si misero d’accordo fra loro per farle un odioso dispetto proprio nei giorni del lutto per Florenzia. Scoperte, reagirono con ipocrisia e arroganza, tanto che suor Matilde si convinse che non c’era più nulla da fare e che, senza indugiare oltre, bisogna rimandarle a casa tutte, anche la più piccola che si era lasciata trascinare dalle altre. Questa, che di nome faceva Lenzia e ora aveva 13 anni, si era molto affezionata alle suore. Quando la madre andò a riprendersela, fu difficile distaccarla dalla superiora e, piangendo, implorava di perdonarla e di non mandarla via. Tre giorni dopo, era di nuovo alla casa dicendo che non voleva vivere con la madre che faceva una vita dissoluta. Prometteva fedeltà e sosteneva che divenire suora è la sua vocazione.
Le suore si commossero e le consentirono di fermarsi in attesa di decisioni. Ma nei giorni successivi vennero a reclamarla: prima un cugino con prepotenza, e poi la stessa madre. Lenzia al cugino rispose con durezza e lo mandò via. Ma alla fine acconsentì a seguire la madre promettendo alle suore che sarebbe tornata. Questo non avvenne. Si concludeva così, con un apparente fallimento, non solo la prima esperienza di postulantato in Brasile, ma la stessa missione.
  
7. Un nuovo inizio a Cravinhos
A Cravinhos, il 28 maggio sera, furono accolte da una popolazione festante che in processione si recò alla chiesa madre e, sul piazzale della chiesa, ci furono i discorsi di benvenuto del parroco e del prefetto e di presentazione delle suore alla popolazione. Quindi la cerimonia in chiesa con il canto del Te Deum.
Fin dal giorno dopo, le suore iniziarono il loro lavoro e il loro apostolato fra gli ammalati dell’ospedale chiamato “Santa casa”, dove riscossero la piena fiducia del presidente e dei dottori. Collaborarono anche in parrocchia con l’insegnamento catechistico ai piccoli e agli adulti, preparando uomini e donne a ricevere per la prima volta il sacramento della penitenza e dell’eucaristia e spronando a regolarizzare matrimoni.
Finalmente, giunsero le vocazioni di due ragazze brasiliane che chiesero di fare parte della comunità come postulanti. Era una grande fortuna tanto a lungo desiderata. Le due ragazze vennero accettate a poca distanza l’una dall’altra e furono di valido aiuto perché, oltre alla vocazione religiosa, avevano anche quella di infermiera.
Cravinhos rappresenterà un nuovo inizio che aprirà la strada ad altre esperienze sia in Brasile, sia in Amazzonia, sia in Perú, e ancora oggi è uno dei punti di forza dell’esperienza missionaria dell’Istituto.
 (continua)