(Michele Giacomantonio) La scorsa settimana ho partecipato, insieme ad altri 56 eoliani, ad un pellegrinaggio che da Assisi ci ha portato sino al Gargano e vorrei fare alcune riflessioni che riguardano il turismo. Il turismo di questi luoghi in relazione al turismo del nostro arcipelago.
Stiamo uscendo da un’estate che sotto questo aspetto, quello del turismo, non è stata per niente entusiasmante. Una affluenza piuttosto fiacca se si calcola la media stagionale; il solito grande afflusso, con confusione e caos, nei quindici giorni di agosto. Ora, a novembre, il turismo è ridotto a qualche gruppetto sparuto e così sarà fino al mese di marzo, salvo il rientro di qualche eoliano che vive fuori sede, nel periodo natalizio.
Perché? Perché il nostro turismo è stagionale, legato soprattutto al mare ed al sole. Invece se voi andate nelle località del turismo culturale e religioso, non solo Assisi che ha alle spalle una lunga tradizione ma anche quelle più modeste come Cascia, Roccaporena il paese di nascita di S. Rita, Norcia, Loreto, S. Giovanni Rotondo, Monte Sant’Angelo, Pietrelcina – quindi per la gran parte realtà del Mezzogiorno - troverete turisti-pellegrini anche in questa stagione e probabilmente lungo tutto il corso dell’anno. Gente che visita santuari e luoghi di culto ma che si ferma anche nei negozi a comperare ricordi, oggetti devozionali senza disdegnare le specialità locali dal formaggio, alla pasta ai salumi.
Sono paesi più fortunati di noi? Tutt’altro. Noi avremmo molto di più da offrire: dalla natura e dal paesaggio, alla storia ed all’archeologia, alla grande tradizione religiosa legata soprattutto a San Bartolomeo, a molti prodotti tipici locali, ecc. ecc. Avremmo molto di più da offrire, ma non siamo organizzati per offrire. Noi piuttosto riteniamo che il turismo sia un prodotto spontaneo che cresce come le more dei roveti e non debba essere coltivato e programmato. Stiamo qui ad attendere chi arriva attirato dalla fama delle nostre bellezze naturali e poi scoprono, come per caso, che siamo anche una realtà archeologica, una realtà culturale, una realtà ricca di tradizioni. E tutto questo non perché ci impegniamo a valorizzare, presentare, esaltare queste peculiarità ma perché esse esistono nostro malgrado ed esistono ancora perché, qualche volta, non siamo riusciti a devastarle. Abbiamo il Museo Archeologico perché l’hanno voluto con forte determinazione tre o quattro personaggi negli anni del dopoguerra, abbiamo la splendida rocca con le chiese di qualche secolo fa perché c’è stata donata dalla storia e recuperata per la gran parte dalla Sovrintendenza nel disinteresse del territorio, abbiamo la grande tradizione di San Bartolomeo perché ci è stata donata dalla Provvidenza. Potremmo avere un turismo capace di svilupparsi lungo il corso di tutto l’anno eppure non riusciamo a sostenere e incrementare quello che si è consolidato fra giugno e settembre.
Il turismo culturale nei suoi diversi aspetti (storico, archeologico, religioso…) è diverso dal turismo della natura e del paesaggio. Quest’ultimo ha bisogno di essere tutelato evitando che l’abusivismo lo intacchi e lo depauperi, il primo invece vuole essere valorizzato, ha bisogno di preservare e recuperare luoghi antichi e creare sempre nuovi centri di interessi. Ha bisogno di creare tanti piccoli musei o luoghi devozionali distribuiti sul territorio.
Da noi ci sarebbe bisogno, per esempio, di dare vita ad un circuito legato alla tradizione di San Bartolomeo che parta da Portinente dove si vuole che sia giunto il corpo, alla chiesetta di Sopra la Terra, a San Giuseppe fino alla Cattedrale; ci sarebbe bisogno di un circuito legato alla storia degli Eoli che abbia come cuore il tolos di San Calogero, di uno legato alla Lipara dei Cnidi, alla Lipari dei normanni e dell’Abate Ambrogio, via via sino alla Lipari dell’800 con le tradizioni della lavorazione della pomice e della coltivazione dei campi: il parmenti, i trappiti, le case di campagna con i bagghi, le littere, ecc. ecc. Ed a fianco a tutto questo, l’offerta di prodotti genuini a cominciare dal vino, dall’olio, dalla malvasia, dai dolci con la messa in mostra dei luoghi di produzione e di lavorazione.
Non si tratta di un progetto da affidare solo ad una Amministrazione comunale. Certo è importante che alla sua testa ci sia un Comune consapevole e determinato ma è necessario che questo progetto sia fatto proprio da tutta la popolazione: dagli imprenditori, dai coltivatori, dai giovani, dalle famiglie. Un progetto che rappresenti il cuore di una nuova stagione di sviluppo capace di offrire lavoro a tutti a cominciare dai giovani che oggi affrontano il futuro senza troppe speranze.