Assemblea e governo, organo legislativo ed esecutivo, dunque s’incartano perché un Prefetto della Repubblica – la figura istituzionale che sarebbe dovuta sparire già nel 1947, avverte un fumus di costituzionalità. Ma non bisogna affatto prendersela con il funzionario dello Stato, il dottor Aronica, che è stato sollecitato ad esprimere il suo punto di vista e lo fa sull’altare di una collaborazione che gli è stata richiesta dall’Assemblea regionale. Insomma, suggerisce come aggiustare le cose per tempo in modo da evitare le bocciature.
Il paradosso, non l’unico, sta proprio in questo episodio: Aronica si comporta “da amico” e svolge la sua funzione come i suoi predecessori, con spirito collaborativo. Che la sovranità dell’Assemblea venga preclusa con atti informali ma pregnanti non sembra provocare alcuna reazione in alcuno dei gruppi parlamentari. Ed una ragione c’è: ancora una volta il Prefetto salva la faccia di vaste aree del parlamento che non intendono abolire le province e non vogliono sfidare l’impopolarità di questa scelta.
Non sono in gioco né le competenze né le funzioni ed i servizi degli enti intermedi – che verrebbero salvaguardati comunque – ma la elezione diretta dei consiglieri e provinciali e del presidente dell’amministrazione provinciale, 350 persone attorno alle quale gravitano almeno duemila addetti ai lavori con uffici, segreterie, auto blu e tutto l’armamentario che gli apparati si portano appresso.
Mentre in passato la permanenza delle province è stata apertamente sostenuta, stavolta con una opinioone pubblica furibonda per i costi della politica, si preferisce lavorare sotto traccia o affidarsi al Commissario dello Stato, un metodo collaudatissimo che toglie le castagne dal fuoco alla politicaquando si trova a giocare la partita fra l’incudine e il martello.
Le province sono diventate il nostro muro di Berlino: nel 1986, cambiarono solo il nome lasciando le cose come stanno, pochi anni fa l’Assemblea bocciò l’abolizione a scrutinio segreto, e stavolta si ricorre al Commissario dello Stato. Ma stavolta, tuttavia, la matassa è più ingarbugliata, perché c’è una legge nazionale che accorpa e abolisce le province: si tratta di scegliere di che morte morire, magari confidando negli impedimenti romani. O proseguire assumendo le responsabilità politiche che ogni decisione comporta.
Il Prefetto Aronica è solo il paravento. Il governo aveva esitato già un testo, che è stato costretto a modificare per il dissenso di una delle componenti della maggioranza, l’Udc. Poi sono arrivai i “no” di varie parti politiche e non, a cominciare dal centrodestra, segnatamente il Pdl, che ha espresso la sua contrarietà in modo esplicito dopo una campagna elettorale nella quale il leader, Berlusconi, aveva assunto posizione nettamente diversa.
Resta il fronte del Movimento 5 Stelle, che non ha manifestato tentennamento. Non avendo propri rappresentanti nelle amministrazioni provinciali e confidando nella volontà dei siciliani, che non amano gli apparati, mantengono le loro posizioni, guadagnandosi a pieno titolo, una utile riconoscibilità.
Abbiamo previsto che sarebbe stata una battaglia campale, del resto. Chi vince in Assemblea, però, potrebbe lasciarci le penne alle urne. Non è la legge del contrappasso, ma l’aria che tira a suggerire la previsione.
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