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domenica 10 marzo 2013

SETTIMANA DI FUOCO A ROMA E PALERMO, L’ORDALIA DELL’ARS

La Sicilia, come la barca di Javier Tomeo, beccheggia sull’acqua torbida, fra muraglie d’alberi che esalano un lezzo bruciante ed appiccicoso. La barca è reduce da viaggi tribolati, alla tolda da qualche mese a questa parte risiede un capitano di lungo corso, che ricorda uno dei personaggi predestinati ed insieme irriducibili di Conrad, in balia del mare – ora piatto ora turbolento  – e degli eventi.
Fosse un romanzo, verrebbe da leggerlo in un fiato e fare notte, se occorre. Ma è vita. E allora il sapere come va a finire, non è il cruccio più duro, perché il presente pretende lacrime e sangue e lascia uno spiraglio appena visibile a ciò che verrà.
La riforma delle province è una specie di ordalia: si cammina sui carboni ardenti per un lungo tratto. E’ la prova del fuoco: si supera, vuol dire che il Padreterno sta dalla parte della Sicilia.
La rilevanza dell’evento non è commisurata all’entità della riforma ed dei rivolgimenti che dovrebbe provocare, ma alla sua fattibilità. Sarà come attraversare le Alpi con gli elefanti, l’impresa di Annibale, che lasciò stupefatto il nemico. O come trasportare la nave al di là delle montagne, l’impresa di Fitzcarraldo, l’avventuriero Carlos Firmin Fitzgerald, la cui idea fissa era costruire un teatro d’opera a Iquitos, nel cuore della foresta amazzonica.
Se credete che simili metafore siano un’esagerazione, vi sbagliate, a meno che non abbiate dell’abolizione delle province un’idea gattopardesca, un maquillage, l’ennesimo, per ridare fiato, senza in realtà darlo, alle esauste risorse dell’Isola.
Nel 1086 l’Assemblea regionale siciliana mise in piedi baracche e burattini allo scopo di attuare finalmente lo Statuto speciale della Regione con i consorzi di comuni. Le province avrebbero dovuto  passare il testimone, regalando la centralità ai comuni. Una svolta epocale, il decentramento di competenze e funzioni regionali a favore delle comunità locali, dotate di autonomia decisionale e di risorse, ma obbligate a sinergie consortili nel governo dei servizi pubblici.
L’art.3 della legge 9 del 1986, modificò alcune competenze, ma lasciò le cose come stavano: le province create dal fascismo non furono sfiorate di una virgola. I poteri delle municipalità diminuirono. L’art.3 istituì “liberi consorzi di comuni denominati province”. Un capolavoro.  I costi, invece che diminuire aumentarono, perché si introdusse l’elezione diretta delle amministrazioni provinciali.
Martedì prossimo, quando l’Assemblea esaminerà il disegno di legge, insomma, non sapremo che cosa effettivamente accadrà, perché gli escamotage sono possibili.
La Sicilia inaugurò, com’è noto, l’elezione diretta del sindaco e del Presidente della Provincia, guadagnandosi in quella circostanza a ben ragione , la fama di laboratorio politico del Paese. Potrebbe fare da apripista anche questa volta se non prevarranno le resistenze e le furbizie.
Sarà una settimana, la prossima, davvero straordinaria. E non solo per l’appuntamento legislativo di Palazzo dei Normanni, naturalmente. Il Parlamento dovrà eleggere i Presidenti di Camera e Senato, il Capo dello Stato dovrà affidare l’incarico di formare il nuovo governo, ultimo adempimento del suo mandato ormai in scadenza. Ed alla Cappella Sistina si aprirà il Conclave chiamato a sostituire il primo Pontefice che di sua volontà ha rinunciato al Soglio di Pietro.
Palazzo dei Normanni lavorerà in un clima di grandi aspettative, del quale potrebbe giovarsi. Confidiamo nell’empatia, in mancanza d’altro.

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