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lunedì 25 gennaio 2016

Riflettendo su unioni civili, matrimonio e famiglia (di Michele Giacomantonio da farecomunione)

Pubblichiamo questa lettera in un momento in cui tanto si parla di unioni civili, di matrimonio e di famiglia e lo facciamo con umiltà e nell'intento di promuovere una riflessione al di là delle posizioni preconcette e nella speranza di contribuire a far crescere lo spirito di misericordia che come ci ricorda Papa Francesco è il nome di Dio.
                                                                                                           Lipari 24 gennaio 2016
Caro don Gaetano,
stamattina ti ho detto che volevo riflettere con te sul problema del matrimonio e delle unioni civili, non era certo quella l’occasione perché eravamo troppo a ridosso della Messa, per cui volevo fissare solo un appuntamento. Ma tu hai reagito come a volere chiudere il problema dicendo che bisogna riconoscere i diritti di tutti e quindi ben vengano le unioni civili ma non si devono confondere col matrimonio e la famiglia, come ha ribadito ancora Papa Francesco in questi giorni, perché si tratta non di norme della Chiesa ma della legge naturale. Poi nella Messa hai ripreso più volte il concetto soprattutto sottolineando il ruolo della donna nella famiglia come madre e custode del valore della tenerezza. Tutte cose che condivido pienamente ma che non mi risolvono il problema che da qualche tempo mi vado ponendo e che soprattutto è riemerso con forza in questi giorni in cui si rischia di dividere la gente fra chi vuole la famiglia arcobaleno e quelli che vogliono la famiglia vera e già si vedono le strumentalizzazioni della Lega con il Pirellone illuminato a favore del “family day”.
Voglio fare ancora una premessa. Tutta la mia formazione è stata rigorosamente ortodossa e sul tema del matrimonio ho anche superato un esame di teologia e di morale alla Cattolica di Milano. Non ho mai avuto una posizione “omofoba” come si dice oggi, ma diffidente nei confronti della omosessualità e degli omosessuali sì. Fino a pochi anni fa mi faceva specie dovere riconoscere omosessuali nell’ambito dei miei amici ed ho fatto fatica a superare questo pregiudizio soprattutto riflettendo sul fatto che non si tratta di una libera scelta ma di un effetto della natura, che spesso confonde i cromosomi e fa nascere uomini in un corpo di donna e viceversa, o della cultura per indirizzi che si radicano fin dalla più tenera età. E’ già questo dovrebbe renderci più prudenti quando si parla di legge naturale.
Ma non è tanto questo il nodo del problema che voglio porre. Il problema è quale sia il cuore della famiglia e del matrimonio cristiano. Quando ero ragazzo si diceva che il cuore era la procreazione ed ancora prima si insegnava alle giovinette timorate che l’atto sessuale non dovevano farlo per il loro piacere ma per volontà di Dio. “Non lo fò per piacer mio ma per amor di Dio”, così si usava scrivere in alcune famiglie cattolicissime sulla vestaglia da notte della figlia che affrontava la prima notte di nozze. Nei moralisti più rigidi si insegnava che era peccato ogni atto nel matrimonio di carattere sessuale che non era orientato alla procreazione. Poi si fece strada la linea che a fianco alla procreazione come finalità secondaria del matrimonio c’era anche “la mutua assistenza fra i coniugi” . Quando io diedi l’esame di teologia e morale non si parlava ancora di amore ma di “mutua assistenza”. Forse un salto di qualità si compie con Il Vaticano II dove, in particolare nella Gaudium et Spes, si giunge praticamente ad una inversione rispetto alla dottrina tradizionale mettendo al primo posto l’amore coniugale (G.S. n.48) ed al secondo posto la doverosità di una procreazione responsabile a partire dalla ritrovata centralità della coscienza dei coniugi, pur nella consapevolezza che «i coniugi cristiani... non possono procedere a loro arbitrio ma devono essere sempre retti da una coscienza che si deve conformare alla legge divina e permanere attenta al magistero della Chiesa» (GS, n. 50).
Non credo che sia un caso che proprio in quest’ultimo decennio si faccia strada una lettura del tutto nuova del Cantico dei Cantici grazie soprattutto al grande teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer con le sue Lettere dal carcere e ad Enzo Bianchi il priore di Bose. Enzo Bianchi sulla scia di Bonhoeffer sottolinea come questo libretto dell’Antico Testamento, che fin dagli anni 80 d.C. i rabbini inclusero nel canone biblico ereditato poi dalla Chiesa, parli dell’amore di due ragazzi, un amore molto carnale, probabilmente non regolamentato dal matrimonio, che diventa immagine dell’amore di Dio per Israele nella visione ebraica e di Cristo per la sua Chiesa in quella cristiana. Se addirittura l’amore di Dio per il suo popolo e di Cristo per la sua Chiesa non teme di venire tradito o sminuito dal paragone con l’amore umano tanto più questo deve valere per l’amore fondamento del matrimonio e della famiglia. Oggi forse si può finalmente dire che l’amore, senza se e senza ma, è il fondamento del matrimonio e della famiglia. Tutto il resto viene dopo: la procreazione, l’educazione dei figli, ecc. Perché se non c’è l’amore la famiglia di fronte alle difficoltà rischia di trasformarsi in un inferno e non ci può essere comunione ed educazione.
Proprio per questo matrimonio e famiglia hanno una tale forza attrattiva che tende a diventare modello di tutte le comunità create degli uomini fondate su sentimenti condivisi anche se non si tratta di “amore umano carnale”. E giustamente la Chiesa non ha alcun problema a estendere il termine di famiglia anche alle comunità religiose, agli istituti di suore, di monaci, di sacerdoti… Si blocca invece di fronte alle unioni civili. Invece di cogliere in positivo l’ esigenza del definirsi famiglia di questi “diversi” che sulla base di un sentimento di amore (certo particolare, ma chi siamo noi per negare che non sia amore?) ambiscono in qualche modo a rientrare nella “norma” uscendo dalla marginalità non solo culturale e sociale ma anche istituzionale, applicando a se stessi i valori della famiglia tradizionale, la Chiesa si impegna in una battaglia, che mi sembra di retroguardia, perché questi “diversi” non ardiscano definirsi famiglia. E così rifiutando di prendere sul serio i loro sentimenti non si può sviluppare una vera e propria pastorale nei loro confronti, non si può, per esempio, parlare di fedeltà, di reciprocità, di tenerezza a chi ama di un amore “diverso”.
E cosa vuol dire che la Chiesa rispetta tutti, anche i “diversi”? Che li tollera, che non li insulta, che non li scaccia dalle chiese ? Ma non era quello che faceva Gesù con i pubblicani e le prostitute. Gesù li accoglieva, parlava con loro, si accostava alle loro difficoltà. E qui siamo di fronte a gente che è tale senza loro colpa …..
Questo avrei voluto discutere con te. Non sono sicuro di avere ragione ma mi sembra che non siamo ancora arrivati al cuore della misericordia.
Un’ultima considerazione. Ho visto ieri i telegiornali che mostravano le piazze delle “unioni arcobaleno”. Rispetto agli altri anni mi sono sembrate più composte, senza slogan aggressivi, senza azioni provocatorie. Ho pensato che forse è dipeso anche dalla testimonianza di questo Papa, dal fatto che il PD si sia fatto promotore di una legge per regolamentare le unioni civili, del fatto che qualcosa va comunque maturando. Mi auguro che domenica prossima ci sia altrettanta compostezza nelle piazze del "family day" e non ci si lasci strumentalizzare da chi tende a trasformare tutto in polemica politica.
Ti ringrazio per essermi stato ad ascoltare. Con tanta amicizia
Michele

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