Comunque vada a finire, fra cento anni i nostri pronipoti leggeranno nei libri di storia della vita, morte, resurrezione e ancora morte del Ponte sullo Stretto, ed apprenderanno con sconcertante semplicità a quale livello di superficialità, dilettantismo, balbuzie istituzionale, politica e burocratica si trovasse l’Italia del terzo millennio.
Lo Stato dovrà spendere più di un miliardo di euro per non realizzare il Ponte sullo Stretto. A tanto si è arrivati, a conti fatti, a causa di una serie incredibile di provvedimenti, suicidi che regaleranno al Consorzio Eurolink, general contractor, uno dei risarcimenti più alto di tutti i tempi per un’opera non realizzata.
Per evitare questa jattura ci sarebbe una sola alternativa, realizzare il Ponte sullo Stretto, impercorribile perché oggi, a causa della crisi economica, ritornare sulla decisione “definitiva” di rinunciare all’opera non trova alcuno d’accordo.
Come sia possibile “accettare” l’ineluttabile, tuttavia, è un mistero: rifatti i calcoli, le sanzioni e le spese già sostenute si avvicinano all’investimento pubblico previsto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto.
Due mesi or sono l’Associazione delle grandi imprese di costruzione (Agi) avvertì in una nota che l’investimento a carico dello Stato previsto per costruire il Ponte sarebbe stato di circa 1,5 miliardi e che “la rinuncia espone al pagamento di indennizzi rilevantissimi – dovuti perché previsti dal contratto – elevando le spese e le perdite a una somma vicina al contributo pubblico necessario a realizzare l’opera”.
I costi per progettazioni, studi, sondaggi, ricordava altresì la nota, ammontano a 300 milioni di euro, sostenuti grazie agli aumenti di capitale versati negli anni dai soci pubblici della Stretto di Messina (Anas, Fs, Fintecna). Sommando spese e perdite, i costi salirebbero a una cifra vicina a 1,5 miliardi, a fronte dell’indennizzo richiesto di 1,2 miliardi.
L’idea che si potesse uscire dal ginepraio con 200-300 milioni di euro si è rivelata priva di fondamento, hanno fatto i conti senza l’oste. Scientemente o meno. Gli espedienti più recenti, messi in atto dal governo Monti per ridurre al minimo i danni, sono stati contestati dalle imprese. L’idea del Governo Monti era di offrire una contropartita a Eurolink, attraverso l’esecuzione di opere complementari al Ponte, di pubblica utilità a prescindere dalla realizzazione dell’opera, per circa 300 milioni di euro. La proposta non è stata ritenuta congrua. Del resto, perché mai Eurolink, Impregilo e le imprese, la spagnola e giapponese, avrebbero dovuto eseguire lavori, e sostenere spese, se possono incassare gli indennizzi senza colpo ferire?
Il Consorzio Eurolink si è avvalso di una impresa capofila, la Impregilo, italiana, e due società leader del settore, una spagnola e l’altra giapponese. L’ambasciata spagnola è intervenuta duramente sul governo italiano, richiamandolo al rispetto dei patti stipulati.
Come si è finiti in questo cul de sac?
Il dissenso – aperto, motivato e coerente –, di ambientalisti e parti politiche spaventate dai costi elevati e contrariati dalla inutilità di un’opera sprovvista di infrastrutture di servizio su un territorio carente di trasporti pubblici efficienti; il dissenso di principio di partiti, come la Lega Nord, che ha pubblicamente dichiarato la sua avversione; il consenso ambiguo di coloro che hanno promesso la costruzione dell’opera, facendone una bandiera elettorale, e si sono di fatto tirati indietro (è il caso del governo Berlusconi).
Il progetto prende il via nel 1968 con il bando del concorso internazionale di idee da parte dell’Anas, nell’agosto 2003 viene approvato in via preliminare dal Cipe (una campata unica da 3,3 km, il ponte più lungo al mondo; 6 corsie stradali e due binari). Nel 2006 il Governo Prodi esclude il ponte dalle priorità del programma. Nel 2008 il progetto viene ripescato dal governo Berlusconi e approvato nel 2010, ma arriva l’abiura in aula nel 2011 da parte della e stesso governo Berlusconi in Parlamento. L’atto finale spetterà al governo Monti, che seppellisce l’opera, mettendo in piedi un marchingegno per non uscire con le ossa rotte. Sarà tutto inutile. Uno spreco di denaro enorme.
“Ai 383 milioni spesi per il progetto e il manternimento della Società Stretto di Messina”, ricorda Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, “si deve aggiungere il costo dell’inevitabile contenzioso, che potrebbe avere sviluppi sorprendenti. Il Consorzio Eurolink ha già invocato un risarcimento danni di 700 milioni più gli interessi, senza contare le implicazioni internazionali”.
Gian Antonio Stella, ripercorrendo tutte le fasi della storia, cita due episodi cruciali: “La mazzata”, ricorda, “arriva in ottobre del 2011 con una mozione dei dipietristi che chiede di sopprimere i finanziamenti pubblici. La mozione inspiegabilmente passa con 284 voti favorevoli e uno contrario. Oltre allo scontato sì dei leghisti, c’è anche quello del governo…Votano a favore il coordinatore del Pdl Denis Verdini, i ministri Gelmini, Brambilla e uno stuolo di sottosegretari…”.
La bandiera del Ponte, issata ad ogni vigilia di campagna elettorale, viene così ammainata, definitivamente.
Solo errori, omissioni, furbizie e incompetenza? O c’è qualcos’altro. I soldi finora spesi sono finite nelle tasche di qualcuno, i costi sostenuti sono stati pagati dai contribuenti, le sanzioni “sacrosante” in caso di inadempienza contrattuale sono premi “di consolazione” molto generosi, che fanno venire la vista agli “orbi”.
Ci si è concentrati, forse, troppo sull’assalto mafioso agli appalti nella fase di realizzazione e non si è prestata la necessaria attenzione sui marchingegni messi in atto, consapevolmente o meno, per salvaguardare gli utili delle imprese, qualunque fosse l’esito, e i guadagni di quanti hanno lucrato, in modo spropositato, sulla fattibilità dell’opera fin dal 1968, quando si cominciò a tirare fuori quattrini.
Lo Stato dovrà spendere più di un miliardo di euro per non realizzare il Ponte sullo Stretto. A tanto si è arrivati, a conti fatti, a causa di una serie incredibile di provvedimenti, suicidi che regaleranno al Consorzio Eurolink, general contractor, uno dei risarcimenti più alto di tutti i tempi per un’opera non realizzata.
Per evitare questa jattura ci sarebbe una sola alternativa, realizzare il Ponte sullo Stretto, impercorribile perché oggi, a causa della crisi economica, ritornare sulla decisione “definitiva” di rinunciare all’opera non trova alcuno d’accordo.
Come sia possibile “accettare” l’ineluttabile, tuttavia, è un mistero: rifatti i calcoli, le sanzioni e le spese già sostenute si avvicinano all’investimento pubblico previsto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto.
Due mesi or sono l’Associazione delle grandi imprese di costruzione (Agi) avvertì in una nota che l’investimento a carico dello Stato previsto per costruire il Ponte sarebbe stato di circa 1,5 miliardi e che “la rinuncia espone al pagamento di indennizzi rilevantissimi – dovuti perché previsti dal contratto – elevando le spese e le perdite a una somma vicina al contributo pubblico necessario a realizzare l’opera”.
I costi per progettazioni, studi, sondaggi, ricordava altresì la nota, ammontano a 300 milioni di euro, sostenuti grazie agli aumenti di capitale versati negli anni dai soci pubblici della Stretto di Messina (Anas, Fs, Fintecna). Sommando spese e perdite, i costi salirebbero a una cifra vicina a 1,5 miliardi, a fronte dell’indennizzo richiesto di 1,2 miliardi.
L’idea che si potesse uscire dal ginepraio con 200-300 milioni di euro si è rivelata priva di fondamento, hanno fatto i conti senza l’oste. Scientemente o meno. Gli espedienti più recenti, messi in atto dal governo Monti per ridurre al minimo i danni, sono stati contestati dalle imprese. L’idea del Governo Monti era di offrire una contropartita a Eurolink, attraverso l’esecuzione di opere complementari al Ponte, di pubblica utilità a prescindere dalla realizzazione dell’opera, per circa 300 milioni di euro. La proposta non è stata ritenuta congrua. Del resto, perché mai Eurolink, Impregilo e le imprese, la spagnola e giapponese, avrebbero dovuto eseguire lavori, e sostenere spese, se possono incassare gli indennizzi senza colpo ferire?
Il Consorzio Eurolink si è avvalso di una impresa capofila, la Impregilo, italiana, e due società leader del settore, una spagnola e l’altra giapponese. L’ambasciata spagnola è intervenuta duramente sul governo italiano, richiamandolo al rispetto dei patti stipulati.
Come si è finiti in questo cul de sac?
Il dissenso – aperto, motivato e coerente –, di ambientalisti e parti politiche spaventate dai costi elevati e contrariati dalla inutilità di un’opera sprovvista di infrastrutture di servizio su un territorio carente di trasporti pubblici efficienti; il dissenso di principio di partiti, come la Lega Nord, che ha pubblicamente dichiarato la sua avversione; il consenso ambiguo di coloro che hanno promesso la costruzione dell’opera, facendone una bandiera elettorale, e si sono di fatto tirati indietro (è il caso del governo Berlusconi).
Il progetto prende il via nel 1968 con il bando del concorso internazionale di idee da parte dell’Anas, nell’agosto 2003 viene approvato in via preliminare dal Cipe (una campata unica da 3,3 km, il ponte più lungo al mondo; 6 corsie stradali e due binari). Nel 2006 il Governo Prodi esclude il ponte dalle priorità del programma. Nel 2008 il progetto viene ripescato dal governo Berlusconi e approvato nel 2010, ma arriva l’abiura in aula nel 2011 da parte della e stesso governo Berlusconi in Parlamento. L’atto finale spetterà al governo Monti, che seppellisce l’opera, mettendo in piedi un marchingegno per non uscire con le ossa rotte. Sarà tutto inutile. Uno spreco di denaro enorme.
“Ai 383 milioni spesi per il progetto e il manternimento della Società Stretto di Messina”, ricorda Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, “si deve aggiungere il costo dell’inevitabile contenzioso, che potrebbe avere sviluppi sorprendenti. Il Consorzio Eurolink ha già invocato un risarcimento danni di 700 milioni più gli interessi, senza contare le implicazioni internazionali”.
Gian Antonio Stella, ripercorrendo tutte le fasi della storia, cita due episodi cruciali: “La mazzata”, ricorda, “arriva in ottobre del 2011 con una mozione dei dipietristi che chiede di sopprimere i finanziamenti pubblici. La mozione inspiegabilmente passa con 284 voti favorevoli e uno contrario. Oltre allo scontato sì dei leghisti, c’è anche quello del governo…Votano a favore il coordinatore del Pdl Denis Verdini, i ministri Gelmini, Brambilla e uno stuolo di sottosegretari…”.
La bandiera del Ponte, issata ad ogni vigilia di campagna elettorale, viene così ammainata, definitivamente.
Solo errori, omissioni, furbizie e incompetenza? O c’è qualcos’altro. I soldi finora spesi sono finite nelle tasche di qualcuno, i costi sostenuti sono stati pagati dai contribuenti, le sanzioni “sacrosante” in caso di inadempienza contrattuale sono premi “di consolazione” molto generosi, che fanno venire la vista agli “orbi”.
Ci si è concentrati, forse, troppo sull’assalto mafioso agli appalti nella fase di realizzazione e non si è prestata la necessaria attenzione sui marchingegni messi in atto, consapevolmente o meno, per salvaguardare gli utili delle imprese, qualunque fosse l’esito, e i guadagni di quanti hanno lucrato, in modo spropositato, sulla fattibilità dell’opera fin dal 1968, quando si cominciò a tirare fuori quattrini.
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