(da IL VELINO) Si discute animatamente a Recife, Brasile, dove è in corso il meeting della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi, Iccat, del quale si tireranno le linee guida della pesca del tonno rosso per i prossimi anni. Dopo numerose "schermaglie" tra chi rappresenta gli operatori del mare - è in gioco a Recife anche la sopravvivenza del comparto ittico specializzato - e gli ambientalisti, da quanto ha appreso IL VELINO, l'Iccat, in accordo con Giappone e Marocco ha proposto di ridurre a 13.500 tonnellate la quota di pescato relativa all'Unione europea. Quota rimasta - come deciso lo scorso anno a Marrakech - a 19 mila tonnellate. Quota che significherebbe per le 25 imbarcazioni italiane "sopravvissute", circa 1935 tonnellate. Per quanto riguarda la stagione di pesca il periodo "proposto" sembrerebbe quello dal 16 maggio al 14 giugno. Con una novità però: non è più previsto il periodo di recupero in caso di fermo per cattivo tempo. Previste inoltre operazioni congiunte congelate al livello del 2009. Una "proposta" questa, che non è piaciuta all'Italia che, all'interno del coordinamento europeo, ha votato contro. Restando però in questo modo isolata nella sua battaglia. La palla passa ora agli Stati Uniti che non è neppure detto accettino una quota così alta, dato che la loro intenzione -a causa delle pressioni interne da parte delle associazioni ambientaliste - sembra essere quella di scendere sotto le 10mila tonnellate. La partita è quindi ancora aperta.
Solita vecchia storia insomma: l’Iccat si riunisce e cambia le carte in tavola. Le stesse approvate dalla Commissione a Marrakech nel 2008. “Regole che l’Italia ha rispettato appieno mantenendo il piano di riduzione e distinguendosi in Europa per virtuosismo”, spiega al VELINO il direttore di Federcoopesca Gilberto Ferrari. Tutto in discussione dunque, con Stati Uniti, Canada e Giappone che giocano al ribasso sulla pelle europea. Il fatto è - da quanto ha appreso IL VELINO – che il Giappone pur di non vedere inserito il tonno rosso nel Cites, è disposto ad accettare un ulteriore taglio dello sforzo di pesca. Taglio che andrebbe a pesare però sulla pesca dei paesi europei. Una situazione, quella dei operatori del mare, che non si distingue troppo da quella degli agricoltori: drammatica. Se si tiene conto che le barche oggi in Italia sono 47 e che 21 di queste hanno aderito al bando di demolizione, le barche sopravvissute sono – se si considerano anche i ritardatari – circa 25. Se poi si tiene conto che ogni barca avrà a disposizione circa 70 tonnellate di pescato all’anno a cinque euro al chilo, i conti sono presto fatti: un fatturato per imbarcazione di circa 350 mila euro. Ma, come si sa, fatturato non vuol dire guadagno. Ogni barca ha un costo di cantiere e manutenzione di circa 50 mila euro, di gasolio di circa 80 mila euro e di personale di circa 120 mila euro. Senza considerare poi il valore intrinseco delle imbarcazioni – più o meno 2,5 milioni di euro – gli imprevisti e gli investimenti di ammodernamento fatti e richiesti compiuti attraverso mutui. Totale: il guadagno è poco meno di zero. “I pescatori non ce la fanno più”, spiega Ferrari. Senza considerare la confusione che la decisione Iccat genererà a livello nazionale. Le quote di pescato per ogni barca andranno riviste a seconda di quelle che rimangono e che restano. Tutto in forse quindi, soprattutto il futuro dei pescatori.