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mercoledì 1 gennaio 2014

IL GOVERNO ARRANCA, MA CROCETTA HA LA SUA “ARMA LETALE”

La battaglia non è alle spalle, anzi. L’aveva infilata in finanziaria, la riforma delle partecipate, ma ha dovuto ritirarla, dovrà riproporla a parte, mentre in commissione Bilancio cade il taglio del salario del 10 per cento di tutti i dirigenti della sanità pubblica e l’articolo che prevedeva un costo ridimensionato per la vendita degli alloggi popolari. L’Ars insomma, corregge, lima, rinnega, in qualche caso, restaura. Manipola e ridimensiona l’idea del governo. In parte era messo in conto, in parte no.
Ma riportiamo indietro il film. “Con il voto di oggi è finita la maggioranza che ha eletto Crocetta e il governatore ne prenda atto. La maggioranza oggi si è liquefatta nel segreto dell’urna”. Il commento di Giuseppe Castiglione alla vicenda d’aula che ha portato alla bocciatura della proroga dei commissari delle Province è compiaciuto quanto basta. Non va oltre, non attacca. È composto. Rileva. Constata. Non affonda. In passato lo scambio “istituzionale” di cortesie, è stato non frequente, ma puntuale. Ncd, la forza che sta alla finestra a Roma ed a Palermo.
Se ci sarà un “tutti dentro”, l’arma segreta del governatore finalizzata anche a contenere un eccesso di velleità del suo partito, il Pd, Castiglione “si sacrificherà”. Crocetta, il governatore che, secondo alcuni, cavalcherà nei prossimi mesi la logica del “tanto peggio tanto meglio”, l’uomo che sfugge ad ogni maggioranza organica, l’uomo che non la vuole. Troppi vincoli, troppi accordi, poco spazio per l’agire ”rivoluzionario”.
Entrando in sala stampa un deputato di FI, mascherando un sorriso contenuto dopo il voto del ko su proroga dei commissario delle Province, si lasciava scappare: ”Questa legge sarà il punto di non ritorno o passa o sarà lo stesso Crocetta a chiedere di fare un governo con chi ci sta”.
Lui, Crocetta l’indomito sfibrato, ha utilizzato l’energia nervosa rapidamente. Sprofondato nella sedia, dopo il voto contrario di sabato, ha subìto il conteggio dopo essere andato al tappeto, mentre i suoi occhi rapidissimi fiutavano al volo l’opportunità dell’ennesima denuncia-attacco al sistema di ieri che non muore oggi, la sua formidabile tecnica di difesa. Continuerà a farlo anche in queste ore, ma sarà dura.
Il voto che entro 45 giorni dovrà dire se sulle Province ha ragione Crocetta o Musumeci, viene caricato di un significato che va oltre le cose. Cade, con eccesso di casualità, nello stesso periodo del rimpasto tanto annunciato quanto rinviato. I rapporti di Crocetta con D’Alia sono al minimo storico.
La finanziaria smantellata, è un altro sintomo. L’occasione persa, come la definisce il presidente, riferendosi ai grillini, di governare insieme, non è un’idea riproponibile. Insomma è il momento, per tutti, di transitare dalle parole ai fatti. O di tacere tutti insieme. Nell’imbarazzo generale di una caduta che non risparmierebbe nessuno.
E qui arriva “l’arma letale”, neanche tanto segreta, che Crocetta ha riposto con cura il giorno in cui è stato eletto. Le dimissioni. Da sbandierare, da agitare, da rimuovere e poi, ancora da riprendere. Fare un passo concreto, dallo “spauracchio” all’ipotesi. Bluffare in attesa che qualcuno venga a vedere le sue carte, puntando ad improbabili rilanci. Ogni bluff però, ha le sue probabilità di rischio. Ecco che le parole di Castiglione suonano più chiare, meno sibilline. Accordo istituzionale di lungo periodo o aut aut?
La fotografia di un tiepido sabato di dicembre all’Ars, è quella di una classe politica siciliana intorpidita tra “cortigiani e maddalene pentite”, nelle parole di Musumeci, alle prese con un governatore che ha da perdere, forse meno di tutti gli altri. Ad uno, singolarmente, e complessivamente. Chissà se domani i cortigiani aumenteranno ancora.

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