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giovedì 1 ottobre 2009

Vacanza alle Eolie (di Gianfranco Costantini)

(Gianfranco Costantini) Da Stromboli a Panarea sono solo poche miglia. Peccato che si facciano anche queste in gran parte a motore, in mezzo a un traffico di motoscafi, aliscafi e barconi che portano i turisti da un’isola all’altra. In ogni caso, la distanza ci spinge a fermarci per un po’ vicino a uno dei gruppi di scogli a NE di Panarea: Lisca bianca. Ancoriamo su 13 metri di fondo in una piccola rada a sud dello scoglio, abbastanza lontani dalla folla che è a fare il bagno sulla costa Nord Ovest vicino al faraglione. Non è un bagno molto lungo. C’è risacca e l’ancoraggio è scomodo. In compenso è salita un po’ di brezza, così continuiamo a vela fino a Cala Milazzese. Come era immaginabile è affollatissima. Siamo costretti ad ammainare le vele e ad accendere il motore, ma passando tra le altre barche riusciamo comunque a trovare un posticino su un fondo di sabbia e 3 metri di profondità. La maggior parte delle barche nella rada sono più grandi della nostra. Ancora una volta l’essere piccoli si dimostra un vantaggio. Montiamo il tendalino e trascorriamo il pomeriggio inframezzando le letture (io un libro portoghese che racconta di Sao Tomé e Prince; Simonetta, una serie di racconti su brutti episodi nella cultura Pop; i bambini i loro libri e qualche giornalino di enigmistica) a con qualche tuffo. E’ piuttosto tardi quando le barche a motore iniziano ad andarsene, non senza disturbare almeno un’ultima volta riscaldando i motori per una mezz’ora o lasciando l’ormeggio a velocità sostenuta: probabilmente molti non si accorgono del fatto che producono onde. Oppure è diventata una pratica comune quella di non prestare la minima attenzione al disturbo che si può produrre. Non scendiamo a terra neanche la sera. Ormai sono rimaste soltanto poche barche a vela e si sta benissimo e nel silenzio. La mattina ci svegliamo presto. Ancora non ci sono motoscafi. Montiamo il fuoribordo sul gommoncino e andiamo a fare un giro: basta girare attorno a uno scoglio per arrivare in una delle cale più fotografate delle Eolie: Cala Junco. E’ talmente bella che il motorino viene spento e continuiamo a remi. L’ormeggio nella cala è proibito, se non in caso di evacuazione dell’isola. Nonostante questo, un grosso motoscafo è ancorato a qualche metro dalla spiaggia. Non ce ne curiamo e continuiamo il nostro giro, entrando nelle piccole grotte che si aprono nelle pareti di roccia e nuotando dietro gli scogli che chiudono delle vere e proprie piscine. E’ quasi pomeriggio quando torniamo in barca e issiamo l’ancora e apriamo le vele. La nostra prossima meta è Salina: ormai da qualche giorno siamo in rada, l’acqua per lavarsi inizia ad esser poca e così anche il cibo fresco. A Salina forse si potrebbe pensare di trovare un ormeggio in transito. Quando arriviamo ci accorgiamo che non è così: le banchine appaiono quasi tutte vuote, ma appena accenniamo ad avvicinarci ci gridano – non proprio in modo cortese - che sono tutte occupate. Cerchiamo un ancoraggio fuori del porto, ma invano: tutte le aree con un fondale ragionevolmente profondo sono occupate e non ci va di ormeggiare troppo vicini ad altre barche. Riprendiamo il largo e a vela ci dirigiamo verso Lipari, che è solo a poche miglia. La travesata è tranquilla: sembra ci siano poche barche. Anche stavolta non è così. Semplicemente le barche sono tutte sulla costa orientale e da Ovest non si vedono. Quando passiamo il capo ce ne accorgiamo. E’ evidente che anche qui non sarà facile trovare un ormeggio. Ci proviamo comunque, ma sia il porto, sia tutti i pontili galleggianti sono occupati. Di fronte ai due distributori di carburante che sono sulla costa la folla è ancora maggiore. Un po’ scuri in volto, rinunciamo. Proprio mentre stiamo allontanandoci da uno dei pontili un ragazzino ci grida che forse qualche posto si può trovare vicino Marina Corta, dall’altra parte del monastero. Proviamo. Intanto teniamo d’occhio lo scandaglio: i fondali restano sempre sopra i 10 metri, molto spesso sopra i 20. Troppi per le nostre schiene. Marina corta è composta da una specie di T, nello spazio a Nord – praticamente nel centro della città – sono ormeggiati pescherecci, in quello a Sud c’è qualche barca da diporto: ma sembrano di quelle stanziali o di quelle utilizzate per portare i turisti. Ci avviciniamo comunque alla ricerca di qualcuno che sia in grado di darci indicazioni. Apparentemente non c’è nessuno. Ma proprio mentre stiamo per allontanarci nuovamente un ragazzino ci insegue sul molo. Avrà meno di dieci anni, ma comunque riesce a farsi vedere e a chiamarci: c’è un posto per noi, ma dall’altra parte. Lentamente, con prudenza entriamo: non sappiamo quanto sia profondo, le barche ormeggiate sono per lo più gozzi e tutto è pieno di cime. I ragazzini sul molo ci dicono che possiamo stare lì. Costa solo 45 euro. Però, dobbiamo dare fondo alla nostra ancora nel centro del porto per poi arretrare fino alla banchina, tra un gommone e un gozzo. Una volta ormeggiato i ragazzini ci dicono che non è proprio regolare restare lì, ma si può perché c’è posto. Certo se arriva la Guardia costiera si deve andar via. Intanto, loro continuano ad offrire posti alle barche che si avvicinano: un paio di ragazzini fanno da vedetta e una percentuale sulla “mancia” spetta a chi ha avvistato e chiamato la barca che accetta di ormeggiare. In pochi minuti, i 45 euro della richiesta iniziale sono diventati 50, visto che non hanno da cambiare. Ma siamo ancora fortunati. Ai gommoni e ai motoscafi a fianco a noi ne chiedono altrettanti per rimanere un paio d’ore. Pagare i bambini invece di un ormeggiatore con il pontone galleggiante non mi dispiace, tanto più che siamo praticamente al centro del paese, affacciati su una piazza con due chiese medioevali e sotto il convento in cui è ospitato il Museo. Peccato, che dopo un po’ vediamo arrivare un ragazzo più grande, in motorino, che ritira dai bambini i soldi che hanno ottenuto da chi si è fermato. A terra ci aspettano le granite del bar sul porto, poi la spesa (il supermercato che è sulla via principale consegna i prodotti in barca), poi una cena in un piccolo ristorante chiamato la Cambusa. E’ tutto molto buono: tonno, involtini di melanzane, pesce alla griglia, involtini alla messinese, persino il vino della casa. Ciò che è rimasto veramente impresso nelle nostre memorie però sono i cannoli, riempiti sul momento. Un ormeggio tanto centrale non consente una grande privacy e non consente neanche di sottrarsi alla musica dei bar, che continua fino a notte fonda. La musica notturna non disturba però così tanto da non consentirci di visitare, quasi appena svegli, il museo. Sapevamo che era bello, ce ne avevano parlato in tanti. Ma si rivela comunque una sorpresa. Iniziamo visitando la chiesa, che ha all’interno un chiostro dell’XI secolo, poi continuiamo nelle sale, correndo - perché purtroppo sappiamo che dobbiamo al più presto tornare in barca e salpare – tra i resti di necropoli paleolitiche e neolitiche, vasi greci, statuette romane, maschere ellenistiche e gioielli e ceramiche medio-evali: la storia del bacino Mediterraneo è lì racchiusa tra le mura di un monastero.