(di Franco Arcovito)La favola che Roberto Rossellini abbia accompagnato verso la bocca infuocata del cratere di quel vulcano la mitica Ingrid Bergman «per farla incontrare con Dio. » e poi, immaginiamo dopo l'incontro, la stessa diventasse l'indimenticabile protagonista del film "Stromboli. Terra di Dio" da lui girato, è certo giovata molto a rendere nota l'isola di Stromboli.
La più eccitante, forse perché la più eccitata geologicamente parlando, delle sette sorelle che formano l'Arcipelago delle isole Eolie è da allora (1949) diventata, in effetti, la regina incontrastata del turismo vagamente intellettuale che sguazza nel Mediterraneo occidentale alla ricerca di incandescenti emozioni che ne surriscaldino gli animi.
Notevole, anzi unica, è infatti l'emozione che scuote dentro quando si avverte prima il cupo brontolio e poi l'erutto fragoroso del vulcano che sta spurgando un po' della infinita riserva di energia lavica ribollente e materiale piroclastico solido contenuti nelle sue viscere.
Specie se ciò avviene nel buio della notte e se, invece che nei borghi più popolati di S. Bartolomeo, Piscità, Ficogrande, S. Vincenzo o Scari, ci si trova nella piccola frazione di Ginostra, poche case arrampicate sul crinale sud-ovest della montagna, praticamente isolata dal resto dell'isola via terra e, fino a pochi mesi fa, anche dal resto del mondo via mare.
Infatti, nonostante sia forse il suo più bel fiore all'occhiello, l'approdo naturale più piccolo del mondo, il Pertuso, consente l'accesso o il varo, mare permettendo, solo a piccole barche, una per volta. Il molo artificiale, in via di ri-consolidamento dopo l'erosione di rigetto immediato operata dal mare, costruito di recente per agevolare i trasporti marittimi leggeri e creare una via di fuga quando il vulcano dovesse esagerare, ha spezzato l'incantesimo dell'isolamento e, forse, ha un po' scalfito il fascino di quello stretto passaggio tra gli scogli. Agli irriducibili sentimentali, comunque, resterà la visione delle due infaticabili mule (incrocio tra un asino e una cavalla) che il loro simpatico padrone tedesco guida dolcemente ad inerpicarsi verso le case per il trasporto di bagagli e provviste.
"Iddu", cioè Lui, come lo chiamano i residenti, quando vibra, sembra trasformare tutti quei 12,6 kmq di territorio in una sorta di enorme trottola (strumbulu, appunto, per i locali). Insomma Stromboli, questa montagna che sputa fuoco più di tutte le altre cime dell'Arcipelago che emergono da quel grande canyon sottomarino disegnato dalla natura nel basso Tirreno, non può non creare inquietudine e paure. Ma allora, a parte quelli che ci sono nati e non sono migrati cedendo, nel 1930, alla peronospera che decimò tutti i vitigni ed alla violenta devastante eruzione (dell'11 settembre. anche lì), perché la gente ci va? Perché, addirittura, nonostante il recente piccolo Tsunami e la successiva ordinanza della Capitaneria di Porto che fa obbligo di distanziarsi almeno 400 metri, molte barche piene di turisti, di solito sensati, si spingono quasi fin sotto quell'area nota come la Sciara del Fuoco?
Spavalderia da raccontare al ritorno dalle vacanze anche se, ormai da anni, guardando la traccia scura di pendio che l'ha ospitata, il torrente di lava incandescente (la via di fuoco) si può solo immaginare, ignoranza sulla potenziale pericolosità di quel posto, semplice incoscienza? Certo, ma non si tratta solo di questo.
Non sembra azzardato ipotizzare che potrebbe giocare un certo ruolo accattivante la concatenazione tra il richiamo atavico della brutale consistenza della montagna, in grado di vomitare masse enormi di lava incandescente, che poi si immerge nelle profondità avvolgenti di quel mare d'acqua sempre mutevole. Apparentemente una sfida perenne tra simbolismi. La rappresentazione naturale della contrapposizione e della necessaria ricerca di integrazione tra l'immutabile, il monte, capace però di trasformarsi in un drago che vomita fuoco ed il transitorio, l'acqua, in grado però di avvolgere ed assorbirne qualsiasi sfogo.
Però, chi è arrivato su quest'isola verso la metà degli anni Sessanta resta indifferente a questo tipo di elucubrazioni. Anche oggi. Perché il suo pensiero, semplicemente, vaga su ricordi molto più terra-terra.
Torna ai preparativi, ai pacchi di cartone pieni di scatolette di carne e viveri conservabili da portarsi sulla motonave Lipari che, salpando da Messina e dopo sette otto ore di navigazione passate a sognare incontri straordinari in un luogo straordinario, lo avrebbe sbarcato a Stromboli, per vivere l'isola per un mese o fin quando i soldi bastavano. Rivede gruppi di ragazzi che stabilivano un feeling immediato con quelli che sbarcavano dalla stessa motonave proveniente da Napoli, tutti un po' stralunati perché quella tratta avveniva di notte e, soprattutto, quelle ragazze straniere che mostravano di divertirsi un mondo alle italianizzazioni pazzesche della loro lingua.
Respira l'aria polverosa mescolata all'odore del citiso eolico della modesta casa, con latrina fuori nel cortile, presa in affitto per un mese dalla corpulenta Alfonsetta, importante perché gestiva l'unico simil-spaccio alimentare. Casa con quattro cinque letti al massimo per dieci o quindici persone, il cui pavimento, verso l'alba, si copriva di asciugamani, sacchi a pelo e materassini di gomma su cui, stremati, ronfavano quelli che, avendo tirato tardi attorno ai falò sulla spiaggia (alla Grotta di Eolo o chi sa dove), avevano trovato i letti già occupati.
Ripensa agli incontri con personaggi importanti, tipo quel geniale Cavaliere del Lavoro che, primo ad intuire le potenzialità degli Aliscafi, fu anche il primo a scorazzare con la Fiat 500 per gli stretti vicoli di Stromboli battuti solo da qualche Motoape (a Lapa), e Richard Mason, quello scrittore un po' schivo ma cordiale che aveva già visto trasformati in film due suoi libri di successo ("Il vento non sa leggere", con Dirk Bogarde e, soprattutto, "Il mondo di Suzie Wong", con William Holden). E poi altri personaggi, certo meno noti, ma non lì a Stromboli: Hans, il tedesco esperto pescatore subacqueo ancora oggi sull'isola; Nicola, il messinese, che aveva aperto una boutique in quella specie di Far West commerciale che era Stromboli all'epoca; Achille Bonito Oliva (sì, quello della Transavanguardia), che già allora strapazzava le giovani menti dissertando su arte e filosofia, mescolandole con barzellette ed espressioni colorite dal suo marcato accento napoletano.
E tanti altri eclettici allegri e pacatamente folli, alcuni dei quali, oggi, sono però in grado di far vincere una causa che sembra persa in partenza, ricostruire un ginocchio scassato o, volendo esagerare, scrivere dei bei pezzi sui giornali e ancora, se non proprio costruirlo, dare un contributo alla progettazione del Ponte sullo Stretto di Messina.
Quella gente, alcuni meno che ventenni nel '65, quando dovesse arrivare e quindi tornare a Stromboli, risentendo il gusto in bocca e l'odore delle enormi frittate con patate che Donna Peppina preparava loro per farli risparmiare, difficilmente si soffermerà sulla forma triangolare, possente e magnifica dell'isola che, vista dal mare, presenta sempre una nuvoletta bianca sopra. E trascurerà anche le immagini del vulcano e della sciara, oggi (fortunatamente) solo di polvere nera anche perché, dall'ex osservatorio di Punta Labronzo, solo 110 metri s.l.m., li ha sentiti e visti in azione sul serio. Invece, probabilmente, la prima proiezione che costruirà la loro mente riguarderà la partenza. Ma non quella di oggi, frenetica e appesantita dai troppi bagagli, e neanche quella dalla località Ficogrande di Stromboli. Penserà alla frazione di Ginostra, dove mancava la corrente elettrica e qualsiasi impianto telefonico e idrico, tanto che l'acqua, quando c'era, si prendeva con i secchi calati nelle rare cisterne in cui erano state convogliate le piogge e dove, per un misterioso passa parola, si ritrovavano tutti in occasione della partenza di qualcuno. Nel tempo che ci voleva alla piccola barca, il rollo, che dal Pertuso portava passeggero in partenza e relativi bagagli alla nave, tutti gli scogli venivano occupati da ragazzi e ragazze che, nell'ovattato sottofondo dello sciabordio dei remi sovrastato a tratti da qualche brioso "ciaooo", così come faceva chi era arrivato in barca (di pescatori) da Stromboli, gettavano dei fiori in mare e, se la partenza avveniva all'imbrunire, accendevano anche delle candeline.
Nessuno di loro, a quanto sembra, si è mai preoccupato di chiedere al comandante della nave ancorata in mare a breve distanza quale fosse l'effetto di questo saluto, di questo tenero arrivederci al prossimo anno visto da fuori. Sarà perché, a loro, bastava quello che provavano dentro?