È morto venerdì mattina, con prime luci dell’alba, Gabriele Sinopoli, 65 anni, ex direttore di banca, vittima nel settembre del 2012 di un feroce pestaggio a pochi metri da casa, ad opera di alcuni giovani del posto.
Dai postumi dell’aggressione Gabriele, fratello del celebre direttore d’orchestra Giuseppe, stroncato da un infarto sul palco di Berlino nel 2001, non si era mai ripreso: aveva passato sei mesi in ospedale, prima ricoverato in terapia intensiva e poi in reparto, fino a quando fu dimesso, nel marzo del 2013. Da allora la sua esistenza è stata costellata da continue ricadute e una serie di interventi chirurgici, come riporta il Gazzettino di Venezia-Mestre. Le condizioni di salute di Sinopoli, che lascia una moglie e un figlio piccolo, sono precipitate quindici giorni fa, tanto da richiederne il ricovero all’ospedale Sant’Angelo di Mestre, dove è deceduto.
Ora sarà l’autorità giudiziaria a stabilire se c’è un nesso di causalità tra la morte e l’episodio avvenuto nel settembre 2012.
“L’ultimo anno e mezzo di Gabriele è stato molto difficile per la qualità della vita degradata, conseguenza generale di quell’evento – afferma con fermezza e lucidità la sorella Anna, vicino a lui fino all’ultimo -. È stato un anno e mezzo faticoso, per lui e per la sua famiglia. Se c’è una sorta di giustizia superiore a quella terrena, questa Corte cerchi di fare giustizia”. I legali difensori dei ragazzi coinvolti avevano ottenuto un patteggiamento, ricorda Anna, con condanna a due anni con pena sospesa. “Per noi è stato come se l’avessero fatta franca di fronte al dramma che avevano provocato. Il 9 giugno ci sarà l’udienza preliminare: se il sacrificio della morte di Gabriele è servito a qualcosa, è che sia avvenuta prima di quel giorno: confidiamo che la Corte riveda il tutto”. Vuole tenere viva l’attenzione, la sorella di Gabriele: per la sua memoria, per tutte quelle zone degradate di provincia che lei chiama “favelas metropolitane”, e che ogni città, dietro la facciata linda per turisti, ha. Chi più, chi meno. “Vorrei che lo sdegno della gente per questo gesto di degrado, di periferia, di favelas metropolitana, resti vivo. So che è dura per loro – dice riferendosi ai ragazzi coinvolti - ma nessuno li ha obbligati a quella violenza inutile”.
Era la notte tra il 2 e il 3 settembre 2012, Sinopoli tornava a casa, era in auto e stava transitando in via Verdi, affollatissima via di Mestre: tanti giovani, tanto alcool, tanto sballo. Sono bastati due colpi di clacson verso quei ragazzi che con lo spritz in mano sostavano in mezzo alla strada, a far scattare l’ira di alcuni di loro: un paio di calci alla macchina, un pugno in faccia a Sinopoli che aveva osato abbassare il finestrino. Poteva finire lì; sarebbe rimasto un’inutile gesto balordo. Invece gli aggressori, tutti identificati nel giro di pochi giorni (giovani tra i 25 e trent’anni della periferia di Mestre, qualcuno con precedenti per rissa, qualcuno colpito da Daspo), hanno seguito Sinopoli fino a casa, per poi iniziare il pestaggio in stile “Arancia Meccanica”, come riportano le cronache locali di allora. Il ricovero in ospedale, da cui era stato dimesso, poi la corsa due giorni dopo per un malessere intenso che l’ha portato al coma. L’accaduto aveva sollevato una forte reazione da parte dell’opinione pubblica e delle autorità sulla sicurezza e sui i fenomeni figli della movida ‘borderline’ come il ‘binge drinking’, “bere per sballare”.
Ora sarà l’autorità giudiziaria a stabilire se c’è un nesso di causalità tra la morte e l’episodio avvenuto nel settembre 2012.
“L’ultimo anno e mezzo di Gabriele è stato molto difficile per la qualità della vita degradata, conseguenza generale di quell’evento – afferma con fermezza e lucidità la sorella Anna, vicino a lui fino all’ultimo -. È stato un anno e mezzo faticoso, per lui e per la sua famiglia. Se c’è una sorta di giustizia superiore a quella terrena, questa Corte cerchi di fare giustizia”. I legali difensori dei ragazzi coinvolti avevano ottenuto un patteggiamento, ricorda Anna, con condanna a due anni con pena sospesa. “Per noi è stato come se l’avessero fatta franca di fronte al dramma che avevano provocato. Il 9 giugno ci sarà l’udienza preliminare: se il sacrificio della morte di Gabriele è servito a qualcosa, è che sia avvenuta prima di quel giorno: confidiamo che la Corte riveda il tutto”. Vuole tenere viva l’attenzione, la sorella di Gabriele: per la sua memoria, per tutte quelle zone degradate di provincia che lei chiama “favelas metropolitane”, e che ogni città, dietro la facciata linda per turisti, ha. Chi più, chi meno. “Vorrei che lo sdegno della gente per questo gesto di degrado, di periferia, di favelas metropolitana, resti vivo. So che è dura per loro – dice riferendosi ai ragazzi coinvolti - ma nessuno li ha obbligati a quella violenza inutile”.
Era la notte tra il 2 e il 3 settembre 2012, Sinopoli tornava a casa, era in auto e stava transitando in via Verdi, affollatissima via di Mestre: tanti giovani, tanto alcool, tanto sballo. Sono bastati due colpi di clacson verso quei ragazzi che con lo spritz in mano sostavano in mezzo alla strada, a far scattare l’ira di alcuni di loro: un paio di calci alla macchina, un pugno in faccia a Sinopoli che aveva osato abbassare il finestrino. Poteva finire lì; sarebbe rimasto un’inutile gesto balordo. Invece gli aggressori, tutti identificati nel giro di pochi giorni (giovani tra i 25 e trent’anni della periferia di Mestre, qualcuno con precedenti per rissa, qualcuno colpito da Daspo), hanno seguito Sinopoli fino a casa, per poi iniziare il pestaggio in stile “Arancia Meccanica”, come riportano le cronache locali di allora. Il ricovero in ospedale, da cui era stato dimesso, poi la corsa due giorni dopo per un malessere intenso che l’ha portato al coma. L’accaduto aveva sollevato una forte reazione da parte dell’opinione pubblica e delle autorità sulla sicurezza e sui i fenomeni figli della movida ‘borderline’ come il ‘binge drinking’, “bere per sballare”.
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