Ieri soffiava forte il maestrale, e il vasto blu del mare era interrotto da piccole creste bianche, che comparivano rapide e decise, per dissolversi altrettanto rapidamente. Piccole e acquatiche metafore della vita, che si ripropone di continuo, si incrocia con altre vite, e finisce anche lei per dissolversi nel mare del tempo. Ieri il vento della vita si è portato via un amico, interrompendone la lunga sofferenza. Ne ha spento il sorriso sornione, l’ironia acuta, la propensione alle lunghe conversazioni con cui intratteneva chi passava a salutarlo sul ponte di comando, parlando di isole, di scali insabbiati, di politici ladri, di sport, di vecchi personaggi eoliani, di belle donne, di navi e di rotte lontane.
Negli ultimi tempi, queste chiaccherate erano spesso amareggiate dall’incertezza del futuro, non tanto il suo, prossimo alla pensione, ma quello dei marittimi di una società maldestramente abbandonata a sé stessa, dei suoi marinai: telegrammi a vuoto, cantieri interminabili, risposte sempre più vaghe a richieste precise, e – talvolta – anche l’imbarazzo di dover scendere dall’aliscafo e prelevare contante dalle biglietterie per pagare il bunkeraggio, altrimenti non si viaggiava. Con il comandante Violante ho stretto amicizia tanti anni fa, quando viaggiavo spesso da Rinella, dove la sera si fermava il suo aliscafo; ottimo conoscitore delle “qualità” umane, mi inquadrò presto come eterno ritardatario, e furono tante le mattine nelle quali riuscii a rientrare a Lipari grazie a un complice squillo di tromba che, paternamente, Giovanni suonava qualche minuto prima di mollare gli ormeggi. Era un piccolo gesto di simpatia e di gentilezza, come tutti quelli che rammenti di avergli visto fare.
Del resto, bastava salire a bordo quando c’era lui per percepire un’atmosfera di garbo, di serenità e anche di allegria, come gli indimenticabili duetti con il direttore Vittorio, che solo chi è veramente un Comandante può permettersi, esprimendo allo stesso tempo i massimi livelli di coscienziosa professionalità. Violante era amato dai suoi equipaggi e dai suoi passeggeri, per quella grande umanità che – senza togliere nulla agli altri suoi colleghi – lo caratterizzava in modo speciale. Per noi, isolani condannati a spendere sul mare ogni nostro spostamento, questa dote era preziosa, era un bene non scritto nelle convenzioni sui trasporti marittimi, ma non per questo meno importante. Ricordo un dicembre di molti anni fa, quando un’interminabile perturbazione ci aveva confinato, in tanti, a Milazzo; il disagio era forte, ma il vento pure e tutti eravamo rassegnati all’impossibilità di tornare a casa. Al primo vago sentore di un miglioramento, il comandante Violante mise da parte ogni perplessità, comunicando di voler tentare: e fu una traversata veramente eroica, dove – chi non lo conosceva già – capì dalle prime ondate di essere nelle mani di un marinaio di grandissima esperienza, e di pari coraggio.
Quando scendemmo dalla passerella a Pignataro, unico scalo possibile in quelle condizioni, gli rivolgemmo sguardi colmi di gratitudine per essere arrivati contro ogni pronostico; dal ponte di comando, la sua bella figura, stanca ma sempre incline alla modestia, ricambiò i saluti come se avesse appena parcheggiato l’auto nel garage. Quanti sguardi grati deve avere raccolto nella sua lunga carriera di uomo di mare che – come tutti i marinai – sosteneva di detestare il suo lavoro, mentre lo amava profondamente. Ieri soffiava forte il maestrale, ma il comandante Violante non avrebbe esitato a mollare gli ormeggi.
Pietro Lo Cascio
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