Quindi dopo la preghiera iniziale si è entrati nel merito dell’argomento. Lo si è fatto con un metodo innovativo collegando pezzi di filmato di Firenze con commenti di approfondimento.
Ancora la parola a don Lonia che si è soffermato sul discorso cardine che è stato quello di Papa Francesco. Questa volta il Papa non è intervenuto a conclusione dei lavori come era accaduto nelle edizioni precedenti ma praticamente all’inizio chiamando i 2200 delegati rappresentanti di tutte le diocesi italiane a ripensare questo nostro umanesimo in crisi alla luce di Cristo e cioè di quelli che lo stesso Papa ha definito i caratteri fondamentali della sua personalità: l’umiltà, il disinteresse, la beatitudine.
La suggestione di sentire le sue parole risuonare nella splendida Basilica fiorentina mentre le riprese inquadravano il giudizio raffigurato nella volta con al Centro il Cristo che mostra i fori delle sue mani, si accompagnava al commento del relatore che ricordava come il Papa metteva in guardia da mali antichi della Chiesa come il Pelagianesimo (la fiducia nelle strutture prima che nello Spirito) e il Docetismo (innamorarsi delle teorie al di là della concretezza della vita) ed allo stesso tempo suggeriva l’esempio assieme ai santi di figure, come don Camillo, ormai entrate nella cultura popolare.
Su questa strada si è proseguito affrontando il tema della “Cinque vie: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare”, utilizzando un filmato di TV2000 intercalato, ad ogni via, da suggerimenti affidati al dott. Michele Giacomantonio, anche lui come don Lonia delegato della Diocesi a Palermo. In particolare Giacomantonio parlando del verbo “uscire” ha sottolineato come questo vuole essere lo stile della Chiesa di oggi ed infatti Papa Francesco non perde occasione per ricordarci che chi costruisce muri e non ponti e piazze non è cristiano. Ed a proposito del verbo “annunciare” ha ricordato il messaggio di un gruppo di giovani nel corso del Convegno: “Noi figli – hanno detto questi giovani – abbiamo bisogno di fare pace con un mondo adulto che non vuole lasciarci le chiavi, che ci nega la fiducia ed al tempo stesso non esita a scandalizzarci ogni giorno”.
Infine l’intervento di padre Nico Rutigliano, guanelliano, anch’egli delegato a Firenze che ha illustrato il metodo sinodale che il Convegno ha sperimentato come metodo da diffondere in tutte le diocesi e le parrocchie perché cresca veramente una chiesa sinodale. Ricordando che il Convegno praticamente non ha avuto relazioni introduttive oltre il discorso del Papa ma solo degli interventi di stimolo sulle cinque vie tesi soprattutto a chiarire i concetti, ha spiegato che i 2200 delegati del convegno sono stati divisi in cinque sezioni, una per ogni via da approfondire, ed ogni sezione in gruppi di centro distribuiti nei vari saloni della Fortezza fiorentina, quindi i gruppi di 100 in dieci gruppetti di dieci persone ciascuno facendo attenzione che in ogni gruppo ci fosse almeno un vescovo, religiosi e laici, giovani ed anziani, uomini e donne. Ed è stato ogni gruppo di dieci ad approfondire, sulla scorta di una scaletta, il tema assegnato. Quindi la collazione del risultato dei gruppi nel gruppo più ampio dei cento e dal gruppo dei cento all’assemblea dei 2200. Certo nei vari passaggi molte riflessioni rischiano di smarrirsi ma certamente nessuno potrà dire di non avere partecipato alle osservazioni finali.
Vivace il dibattito che ha concluso i lavori nel quale è intervenuto anche Mons. Gaetano Tripodo, Vicario generale della Diocesi o, come si dice in situazioni di sede vacante, “delegato ad omnia”. I partecipanti che provenivano da tutte le isole dell’arcipelago mentre hanno espresso il loro gradimento per una presentazione del Convegno a cui i media avevano prestato una attenzione insufficiente, dall’altra hanno manifestato la difficoltà a realizzare nelle parrocchie questo metodo sinodale sia perché i parroci risultano troppo occupati nelle incombenze d’ufficio ed hanno poco tempo per dedicare alla formazione dei fedeli, sia perché la gente che vuole impegnarsi veramente è poca e fra questi pochi si alimentano spesso antipatie, gelosie, pregiudizi. Bisognerebbe, è stato detto, ripartire dal Consiglio pastorale e renderlo veramente operante con incontri almeno mensili nei quali tutti sono stimolati a prendere la parola su temi ben definiti. Un Consiglio pastorale che affronti i problemi delle parrocchie ma che sappia anche interfacciarsi con gli altri consigli delle altre parrocchie e sappia rivedere le funzioni dei ministeri ordinati come mezzo per promuovere un discernimento collegiale e non per definire posizioni di prestigio personale.
Michele Giacomantonio
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