Sul destino dell'Asp scendono ora in campo le organizzazioni sindacali confederali, a difesa di una gestione ordinaria la cui "avocazione" nelle mani di un commissario "liquidatore" non farebbe che danneggiare la gestione dei servizi sanitari sul territorio messinese. Col serio rischio, in soldoni, che per tagliare i costi si decida di chiudere magari qualche ospedale della provincia ritenuto troppo oneroso.
L'allarme scaturisce dalla normativa regionale che prevede la responsabilità diretta del manager in caso di mancato rispetto dei parametri contabili in materia di dissesto. Nella fattispecie, l'Azienda sanitaria messinese ha registrato nel consuntivo 2010 un disavanzo di 26 milioni, 18 dei quali in più rispetto a quanto concordato con l'assessorato regionale alla Sanità. Tale situazione metterebbe a rischio la poltrona del direttore generale Salvatore Giuffrida, da due anni alla guida dell'azienda, che però potrebbe essere non sostituito da un nuovo manager con pieni poteri, ma da un commissario con mandato limitato alla probabile estinzione del deficit. Con esiti sui quali, come detto, c'è solo da temere.
Cisl e Uil, in una nota esprimono viva preoccupazione e fermo dissenso per l'eventuale commissariamento. «Questa incresciosa soluzione – scrivono il segretario generale della Cisl Calogero Emanuele e quello della Uil Fpl Giuseppe Calapai – potrebbe causare danni enormi per la garanzia dei livelli minimi essenziali di assistenza. Il rapporto dell'azienda con i sindacati avviato con incontri e scontri, talvolta anche molto duri, ha aperto, tuttavia, allo scambio ed al confronto volto ad un reale processo di risanamento. Proprio per il fatto che la sanità del territorio è stata fortemente sacrificata, penalizzata e depotenziata dalla logica univoca del rientro della spesa, si rende necessario uno sforzo di responsabilità che non si risolve con una drastica interruzione del processo avviato, in quanto le logiche di risparmio e di taglio della spesa devono essere supportate da relazioni stabilizzanti che danno inevitabilmente i propri frutti nel tempo. Se la politica vuole una risoluzione, che abbia il coraggio di dare al manager pieni poteri per l'assunzione diretta di responsabilità e non un commissario, il quale avrebbe sicuramente il ruolo di semplice "commissario liquidatore" con il solo scopo di abbattere ancor di più i livelli essenziali di assistenza e smantellare gli ospedali delle zone isolane e montane quali Mistretta e Lipari». Anche la Cgil, poi, interviene con una nota nella quale tra l'altro si stigmatizza la drastica riduzione delle prestazioni sanitarie in provincia, «negando in molti casi l'accesso a tantissimi utenti, soprattutto nelle prestazioni riabilitative dove il budget assegnato alla provincia di Messina è pari a 15 milioni di euro, contro gli 80 milioni della provincia di Catania». «La Cgil e la Funzione Pubblica – dichiarano Clara Crocè e Lillo Oceano – ritengono che la programmazione sanitaria, la riorganizzazione ospedaliera e territoriale, la riduzione dei costi attraverso l'eliminazione di sprechi e clientele, debbano essere posti alla base per la valutazione dei manager. Laddove, secondo gli indirizzi politici, il manager fosse ritenuto inadempiente appare ragionevole la sua sostituzione; non certamente la drastica e penalizzante decisione del commissariamento dell'ASP 5 di Messina».
Intanto, il manager Giuffrida ha nei giorni scorsi incontrato il presidente della Regione Salvatore Lombardo e l'assessore regionale alla Sanità Massimo Russo, che hanno annunciato una decisione nel giro di pochi giorni. «Nessuno mette in discussione l'abnegazione, ma i conti vanno fatti quadrare», ha dichiarato il governatore. In effetti, va evidenziato come i vertici dell'Azienda sanitaria messinese di sforzi ne abbiano fatti eccome. Basti un solo dato: dagli oltre 60 milioni di deficit ereditati nel 2009 si è passati ai 28 già citati.
Giuffrida ha inoltre sempre ribadito di avere fino ad oggi mantenuti i livelli essenziali di assistenza, pur praticando una cospicua riduzione dei costi complessivi. ll dg ha sottolineato anche che «la facile soluzione di cancellare uno o due ospedali rappresenta una miopia strategica in quanto non adeguata alla complessità del territorio della vasta provincia messinese. In una politica di risanamento non è possibile ignorare la realtà territoriale su cui si interviene. L'obiettivo non può essere centrato solo attraverso soluzioni economiche effettuate a tavolino senza avere presenti situazioni di contesto percorsi e tempi».
L'Azienda, ad esempio, già dai primi mesi del 2010 ha realizzato con grande sforzo un'inversione del trend di crescita della spesa farmaceutica: nei primi sei mesi del 2011, ad esempio, il risparmio è stato di ben 1,7 milioni di euro. Ciò a seguito dell'avvio di incisive azioni gestionali, come l'indicazione ai medici di famiglia di prescrivere i generici. Inoltre, per quanto riguarda la spesa del personale nel corso dell'anno 2010 la direzione strategica ha attivato un'importante manovra che ha previsto una riduzione di oltre 7 milioni di euro rispetto al 2009. Ed ancora sono state realizzate economie di spesa per consulenze e collaborazioni esterne, costi per missioni e manovre di contenimento che daranno i risultati nel triennio 2011-2013.
Hanno inciso poi sul disavanzo una serie di disposizioni regionali, quali i decreti di innalzamento dei budget dell'assistenza riabilitativa, dell'assistenza ospedaliera privata, dell'assistenza specialistica convenzionata esterna, con previsione di extra-budget non del tutto finanziate dalla Regione. Senza contare un credito di 3 milioni non riconosciuto dalla Regione e l'incidenza della mobilità passiva, cioè i viaggi della speranza verso altri ospedali: i dati sui quali gli uffici hanno potuto lavorare erano riferiti a valori ridotti rispetto a quelli finali forniti successivamente dall'assessorato.
«Molte evidenze, quindi – rileva ancora il manager – sono riscontrabili solo nel tempo, ma tuttavia mettono in luce l'avvio di un processo virtuoso cui bisogna accordare fiducia, nella consapevolezza che la crescita dei costi aziendali non sempre è comprimibile vista l'esigenza di assicurare l'erogazione delle prestazioni previste dai livelli essenziali di assistenza. Di fatto, non sempre le politiche di contenimento sono compatibili con la necessità di garantire un servizio sanitario efficiente, che consenta di soddisfare pienamente il diritto alla salute dei cittadini».
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